Nella notte tra il 3 e il 4 agosto si è diffusa sul web mondiale la notizia della probabile chiusura delle produzioni del celeberrimo Studio Ghibli. La cosa ha ovviamente gettato nello sconforto l'immensa schiera dei fan della casa d'animazione di Mitaka, lasciati con la prospettiva di doversi accontentare in futuro solo di riproposte e merchandise, o al più di visite commemorative al Ghibli Museum.
Col passare delle ore, tuttavia, l'orizzonte si è decisamente rischiarato: il caso pare essersi gonfiato in seguito ad un errore di traduzione di un malaccorto fan («Studio Ghibli will close and [sic] production studio anime, leaving himself only as a company that will manage its trademarks»); dalle 'colonne' di Oh Totoro (pagina Tumblr) si sarebbe poi esteso a macchia d'olio attraverso la Rete, tra sconcerto e incredulità.

Il ritiro di Hayao Miyazaki e le sue affermazioni sull'inevitabilità del tramonto dello studio avevano certo contribuito a creare un clima da 'tutti a casa', per lo meno presso certa stampa, non solo specializzata (indicativi i trafiletti su Le Monde e Liberation in occasione della proiezione francese di Kaze Tachinu: «L'ultima profezia di Miyazaki», «La fine di un'avventura inedita, estetica e sociale», «Nessuno tocchi il Ghibli»). Tuttavia la versione riportata sulla pagina Tumblr appare a conti fatti una traduzione o interpretazione catastrofista delle parole rilasciate dal direttore generale Toshio Suzuki all'emittente nipponica MBS nel corso del programma Jounetsu Tairiku. Parole, quelle di Suzuki, dal carattere più generico e meno definitivo. Ma vediamo nel dettaglio quanto detto dallo storico produttore dello studio.
Ci soccorre in tal senso il sito Kotaku.com (che pure aveva in qualche modo alimentato i timori di 'smantellamento' della Ghibli non molto tempo fa). Riprendendo gli screenshot pubblicati dal blog giapponese Someone One One!! nonché le affermazioni di Excite News, l'articolo di Kotaku sgombra per quanto possibile il campo da equivoci.

Come detto, la notte del 3 agosto Suzuki si è presentato davanti alle telecamere di MBS. Durante un segmento dello show Jounetsu Tairiku, il co-fondatore ha discusso il futuro dello Studio Ghibli, rilasciando commenti capaci di ingenerare un polverone sui blog nipponici ed internazionali, e di dare il la all'inopinato annuncio della chiusura del settore produzioni animate dello storico studio.
Da una più attenta considerazione delle parole di Suzuki, la prospettiva appare, se non rosea, almeno più sfumata rispetto ai rumor delle scorse ore.
A fronte di quanto rimarcato dall'annunciatore dello show («Tuttavia, queste parole sono in qualche modo dure»), l'ex produttore precisa: «Stiamo pensando di smantellare il settore produzione e... di operare un grande cambiamento in virtù di una visione più ampia dello Studio Ghibli»; «Ovviamente il ritiro di Miyazaki è stato molto significativo. Dopo di ciò, cosa avrebbe dovuto fare il Ghibli? Certo, non sarebbe impossibile proseguire senza sosta nell'attività creativa, tuttavia... per una volta, ci prenderemo momentaneamente una breve pausa per pensare a ciò che verrà dopo».

Ghibli's case

Va annotato quanto segue: Suzuki non si esprime in tono perentorio; il termine 'ristrutturazione' (再構築, saikouchiku) va preso nell'accezione di 'ricostruzione'.
Suzuki parla inoltre di «pulizie di primavera» o di «grandi pulizie» (大掃除, oosouji), ossia di un'occasione per un repulisti volto a migliorare l'ambiente di lavoro per la prossima generazione di animatori — operazione meditata da tempo.

Le parole di Suzuki sembrano andare nella direzione di una riorganizzazione interna. Proprio su queste pagine, in occasione del dialogo aperto con Gualtiero Cannarsi, adattatore per l'Italia dei film Ghibli, avevamo accennato alle perplessità del post-Miyazaki; in particolare era stata messa in luce la difficoltà di portare avanti il modello produttivo 'artigianale' della Ghibli nel panorama da business industriale dell'attuale animazione giapponese, alle prese con problemi di ammortizzamento dei costi, delocalizzazione delle 'maestranze', 'crisi di idee'. Se quest'ultima non sembra aver toccato la casa di Mitaka, nonostante la necessità di reperire i degni successori di Miyazaki e Takahata (impresa per certi versi improba), certamente il modello produttivo della Ghibli non può resistere ancora a lungo ai marosi della crisi economica, che investe senza dubbio anche i prodotti culturali. Si noti che la Ghibli assume il proprio personale a tempo indeterminato, astenendosi dalla pratica diffusa nel settore della collaborazione freelance. Un 'ritorno alle origini', alla struttura organizzativa antecedente a Porco Rosso (basata sulle collaborazioni esterne), segnerebbe appunto l'adeguamento alla logica del freelance e la fine dell'avventura sociale (per certi versi poetica ed utopica) dello Studio Ghibli, capace di non piegarsi per moltissimi anni alla 'spietata legge del mercato'. Per inciso, l'animo 'sindacalista' di Miyazaki e Takahata (protagonisti della stagione delle rivendicazioni lavorative alla Toei degli anni '60) ha avuto un peso decisivo sulla mission della Ghibli.
Probabilmente il lavoro di autori promettenti come Hiromosa Yonebayashi e Goro Miyazaki ha bisogno di un nuovo assetto organizzativo per poter prosperare. La maggiore libertà autoriale e stilistica concessa allo stesso Yonebayashi per Omoide no Marnie è un sintomo di questa 'nouvelle vague', anche creativa. Una struttura più leggera potrebbe prevedere un piccolo staff dedicato ai progetti dell'infaticabile Hayao Miyazaki e il mantenimento della Momonoma, sezione di collaboratori a progetto dedicata alla promozione pubblicitaria e ai video musicali. Senza i proventi forniti dai 'blockbuster' di Miyazaki, sembra impossibile poter mantenere un nutrito drappello di lavoratori assunti a tempo indeterminato.
Sfortunatamente, titoli di alto spessore come Kaguya-hime no monogatari di Isao Takahata non riescono a sbancare al botteghino, restando opere di nicchia. Si ripropone così, a distanza di 25 anni, il problema che fu della Ghibli ai tempi de Il mio vicino Totoro e Una tomba per le lucciole. Nel 1988 fu proprio l'allora produttore Suzuki a voler investire sul talento di Miyazaki e Takahata; seppure Totoro e i fratellini Seita e Setsuko non riuscissero in prima battuta a convincere il pubblico, l'anno dopo il più 'commerciale' Kiki consegne a domicilio salvò la baracca, garantendo le risorse per la successiva consacrazione dei due talenti e dell'intera casa di produzione. Ma questa è storia. L'oggi si presenta, se possibile, ancora più difficile da gestire. Non impossibile, però, con i dovuti accorgimenti, sembra voler dire Suzuki.

Ultima sottolineatura: ad ora, i principali quotidiani giapponesi non hanno trattato la notizia, né è andata diversamente per gli show televisivi. Se un patrimonio nazionale come lo Studio Ghibli avesse davvero deciso di cessare le produzioni, l'importanza della notizia sul piano culturale ed economico avrebbe senz'altro scalato le prime pagine. C'è quindi, almeno parzialmente, da stare tranquilli.

Fonti consultate:
Kotaku.com
Anime News Network
Fumettologica
Catsuka