Sono passati 25 anni dalla prima apparizione nelle sale giapponesi di Tonari no Totoro (Il mio vicino Totoro) di Hayao Miyazaki. Per celebrare degnamente la ricorrenza, Lucky Red ha voluto riproporre a Lucca Comics & Games 2013 il film del 1988 in due proiezioni. La prima si è tenuta venerdì 1° novembre, ed è stata preceduta da una coloratissima sfilata dedicata allo Studio Ghibli, di cui vi forniremo in un articolo dedicato un'ampia carrellata fotografica. La seconda, nella giornata di domenica, ha beneficiato di un'ampia introduzione a cura di Gualtiero Cannarsi, collaboratore di Lucky Red per la localizzazione (adattamento, doppiaggio) delle opere Ghibli. Alla visione ha fatto seguito un botta e risposta tra lo stesso Cannarsi e il pubblico in sala. Era presente anche un drappello della redazione, che ha partecipato al dibattito e seguito con piacere ed attenzione sia il film che l'interessante focus. Di seguito vi proponiamo un ampio resoconto dell'evento. Si ringrazia Gualtiero Cannarsi per la disponibilità e la gentilezza, oltre che per averci fornito le slide proiettate in sala con relativa traduzione dei copycatch, che trovate in calce alle singole slide.

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Prima della proiezione Cannarsi presenta il logo dello Studio Ghibli, ove campeggia Totoro: si tratta evidentemente di un personaggio emblematico per lo Studio.
L'anno scorso, sempre a Lucca, era stato proiettato La collina dei papaveri, e in quell'occasione Cannarsi stesso aveva sottolineato come si trattasse di un film molto legato al concetto di storia. La proiezione di Totoro a Lucca 2013 vuole essere un'occasione per rileggere la storia della Ghibli attraverso la visione prospettica offerta da un film verosimilmente noto ai più ma ancora tutto da riscoprire. È possibile che in venticinque anni dall'uscita di Tonari no Totoro la coltre della fama abbia infatti oscurato il contesto d'origine di questa pellicola.
Di seguito Cannarsi fa ritorno al presente dello Studio Ghibli, mostrando la key visual di Kaze Tachinu (Si alza il vento), l'ultima fatica di Hayao Miyazaki, presentata come ricorderete a Venezia in settembre durante la Mostra del Cinema. E ad essa affianca quella di Kaguya-Hime no Monogatari (La storia della principessa Kaguya), in uscita in Giappone il 23 novembre: si tratta del primo film realizzato da Isao Takahata da 14 anni a questa parte. Sono due film che hanno già suscitato un grande interesse — il secondo evidentemente ancora a livello di aspettative.

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In tributo a Horikoshi Jirou e Hori Tatsuo 
Bisogna vivere.
Un'opera del regista Miyazaki Hayao
Si alza il vento
 
Ed ecco la prima chicca per gli spettatori: il trailer originale giapponese di Kaze Tachinu sottotitolato in italiano amatorialmente per l'occasione, con le note di Hikoukigomo e la voce di Yumi Arai a creare un'atmosfera da brividi.
Cannarsi, dopo aver evidenziato come il trailer originale incarni la visione dell'autore e quindi messo in luce la specificità dei trailer originali, prepara il pubblico a un viaggio nel tempo, à rebours, controcorrente fino al 1988, anno di uscita nelle sale nipponiche de Tonari no Totoro di Hayao Miyazaki e Hotaru no Haka (Una tomba per le lucciole) di Isao Takahata. Perché il tuffo nel passato sui sedili del Cinema Centrale di Lucca sia più profondo, il film non viene proiettato in digitale, ma da pellicola, così come accadeva nel 1988. Un cinema è un ambiente isolato, quasi amniotico, e permette questo tipo di immersioni. Cosa succedeva a chi andava al cinema in Giappone a vedere questi due film? Prima di tutto, con un biglietto ne vedeva due, senza sapere in che ordine li avrebbe visti — a volte veniva proiettato prima l'uno, a volte l'altro, a caso. Sono due film molto diversi, ma hanno in comune qualcosa. Per percepire questa comunanza, Cannarsi mostra al pubblico altri contenuti speciali. Si parte col trailer del 1988 di Totoro. “Dareka ga Kossori…”, accompagnati dalle parole del testo della canzone scritto da Rieko Nakagawa, gli spettatori iniziano il viaggio nel tempo.
Il trailer in realtà è doppio, perché presenta il film gemello, Hotaru no Haka.
Due film diversi, come detto. Eppure, nel 1988 era molto chiaro cosa queste due pellicole avessero in comune. Erano due film ambientati in Giappone. Oggi può sembrare una banalità, ma dal punto di vista dei giapponesi della fine degli anni '80 questa non era un'ovvietà. L'animazione non è stata inventata in Giappone, è qualcosa di importato, di straniero, e questo fatto era ben chiaro al pubblico come agli addetti ai lavori. Miyazaki stesso, in un'intervista, dice pressappoco: “l'animazione è qualcosa di americano, e dunque anche noi in Giappone l'abbiamo ricevuta come tale”. Spesse volte gli appassionati di animazione giapponese percepiscono i film d'animazione americani, ad esempio le opere Disney, come prodotti per bambini, riservando all'animazione giapponese la patente di serietà. Si tratta certamente di estrazioni del tutto diverse, ma lo snobismo culturale fa sempre male alla comprensione; piuttosto, è interessante rimarcare come l'animazione non sia un prodotto autoctono della cultura giapponese (con buona pace del 'frammento Matsumoto', di cui vi parlammo tempo fa NdR).
Tornando ai manifesti dei due film del 1988, hanno qualcosa da dirci i rispettivi slogan, tradotti nei trailer. Quello di Totoro è: “Simili strane creature in Giappone esistono ancora. Forse”.
Quello Hotaru no Haka è invece: “A quattro e quattordici anni pensarono di provare a vivere” — per inciso, il film è tratto da un romanzo autobiografico di Akiyuki Nosaka, in uscita in questi giorni per Kappa Edizioni. La cosa più interessante è la cornice comune ai due film, lo slogan dato alla proiezione come tutt'uno: “Siamo venuti a recapitarvi qualcosa di dimenticato”. Questo sarebbe diventato lo slogan della Ghibli, in toto. Qualcosa come le memorie perse… è lo stile che lo Studio Ghibli intendeva dare, l'immagine di sé della casa di produzione.
Di seguito vengono esibite due visual originali di Totoro: in una (scelta tra l'altro come cover per il Blu-ray della Lucky Red di imminente pubblicazione e già utilizzata per l'edizione per collezionisti del DVD) c'è una sola bambina. Nell'altra, cronologicamente successiva, ci sono le due ben note sorelline, Satsuki e Mei. Più avanti verrà svelato l'arcano. Frattanto Cannarsi torna a parlare di quel 1988: in Giappone si è in pieno 'anime boom'.

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A metà degli anni '70 esce Uchuu Senkan Yamato (La corazzata spaziale Yamato): il Sol Levante scopre che i cartoni animati piacciono anche a liceali ed universitari, e s'inaugura l'età dell'oro degli anime. Tantissime aziende entrano nel campo dell'animazione. Esce il primo Gundam, assieme ad altre opere robotiche di Tomino, e dilaga la robotto mono. Ma tutto ciò continua ad apparire ai giapponesi come qualcosa di straniero, o di fantascientifico, di fantastico: nulla come 'il Giappone reale'. Infatti l'idea di Miyazaki per Totoro appare ai più come folle: a chi può interessare la storia di due bambine ambientata nella campagna giapponese degli anni '50? Gli si consiglia di proseguire sulla falsariga di Nausicaä della Valle del Vento e di Laputa, di continuare con l'esotismo dei nomi e delle ambientazioni. Nausicaä, antecedente alla fondazione ufficiale della Ghibli, era stato realizzato con minori risorse e aveva incassato molto. Proprio sulla scorta di quel successo, per produrre Laputa venne fondato lo Studio Ghibli. Ciononostante, Laputa non aveva bissato il successo di Nausicaä, a dispetto della sua dimensione maggiormente cinematografica. Dopo la delusione, nessuno voleva più finanziare i nuovi progetti di Miyazaki. Tuttavia, Toshio Suzuki, redattore della rivista Animage, come produttore era convinto delle possibilità della Ghibli, e invitò lo studio a produrre due storie, rilanciando proprio perché nessun altro sembrava disposto ad investire sull'idea di Miyazaki. Ecco che Suzuki bussa alla porta di due case editrici: non solo la Tokuma Shoten per Totoro, ma anche la prestigiosa Shinchousha, che pubblica classici come appunto Hotaru no Haka. La Shinchousha s'imbarca così in un'operazione che immaginava sarebbe andata in passivo. E infatti i film in Giappone andarono in passivo, coprendo in coppia i costi di appena uno solo dei due, con una perdita secca del 50%. A questo punto, per dare meglio conto della genesi delle due pellicole, Cannarsi introduce un altro contenuto speciale, presente anche nel Blu-ray, che mostra i registi all'epoca della lavorazione dei due film.
“Nella primavera del 1988 siamo venuti a recapitarvi qualcosa che avevate dimenticato”. Ci piace ripetere questo slogan, che torna spesso a far capolino.
Nel 1988 in Giappone l'animazione era ancora considerata dal grande pubblico come un prodotto industriale per bambini; non era cinema, erano i 'cartoni animati'. Animēshon è un termine di derivazione americana per qualcosa che precedentemente in giapponese si diceva 'manga eiga' — ed è così che viene detto nel trailer di Laputa. Si chiamavano ancora 'film a cartoni'. In fin dei conti, l'animazione giapponese non godeva in patria di una reputazione che le attribuisse vera dignità espressiva.
Tanto per rendere l'idea, quando uscì Kiki (1989), molti giapponesi non appassionati di anime chiamavano ancora il regista 'Miyazaki Shun', perché è un po' inusuale leggere il kanji del nome di Miyazaki come 'Hayao'. Takahata e Miyazaki, nell'intervista doppia, sembrano due artigiani più che due intellettuali o due grandi artisti. Eppure, due film creati da questi due artigiani e che andarono inizialmente in perdita avrebbero generato un'onda d'urto nel mondo dell'animazione. Si iniziò a capire che con l'animazione si poteva fare qualcosa di più di un semplice 'cartone animato'.
E infatti Totoro compare oggi nel logo dello Studio di Ghibli, che campeggia anche nell'home video di Laputa e Nausicaä, retroattivamente. Il 1988 è una chiave di volta nella storia dello Studio Ghibli. Di seguito Cannarsi mostra due stacchetti, rispettivamente con le piccole Mei e Setsuko, che compaiono tuttora sistematicamente negli home video giapponesi come simpatico prologo di ciascun film di Miyazaki o di Takahata, rispettivamente. Ecco il peso di queste due pellicole nella percezione storica che lo studio ha di sé. Eppure, come detto, nel 1988 si andò in passivo. La Ghibli era stata creata con un tale spirito: facciamo un film, se va in passivo si chiude baracca, altrimenti ne facciamo un altro! Una logica artigianale più che industriale. Ma la Ghibli va in attivo un anno dopo, nel 1989. Solo un anno per far uscire un nuovo film animato, che questa volta fa un grande successo: Majo no Takkyuubin (Kiki consegne a domicilio). Dopo questo film, in Giappone impararono a chiamare Miyazaki Hayao piuttosto che Shun, perché fece effettivamente grandi numeri… e pensare che Miyazaki neanche avrebbe dovuto dirigerlo. Alla Ghibli non si è soliti realizzare film in tempi così ristretti, non è il loro modus illustrandi. Certo nel 1989 Kiki è sempre e comunque un film fatto da giapponesi per giapponesi, all'estero non c'è ancora risonanza, ma in patria sfonda.
Lo slogan originale di Majo no Takkyuubin è: “Sebbene sia stata anche depressa, questa città mi piace”. Protagonista è una bambina di 13 anni, messa in copertina con la faccia tutta mogia. La prima locandina concepita mostrava addirittura Kiki seduta sul gabinetto — una situazione ancora più banale, insignificante. Dopo venne la locandina con la scopa, per mettere in chiaro che una strega vola, ma lo slogan rimase lo stesso. Il film, come detto, non doveva essere diretto da Miyazaki, così come il soggetto non è suo, venendo da un romanzo per l'infanzia di Eiko Kadono (edito in Italia sempre da Kappa Edizioni, che ne ha pubblicato anche il sequel). Fu tuttavia il lungometraggio che permise alla Ghibli, col successo al botteghino, di assumere gli animatori: prima di allora allo studio si lavorava a cottimo (praticamente con dei contratti a progetto). La Ghibli stessa esisteva come mera etichetta; c'era un palazzo, ma non un'azienda con delle persone assunte. Lo studio cominciò ad assumere dopo Kiki, reclutando degli animatori con l'intento di allevare uno stile. E di qui si torna a Totoro, e il pubblico può rincontrare Satsuki, Mei e il loro fantasmatico vicino.

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Per inciso: venne chiesto una volta a Miyazaki cosa ne pensasse della possibilità di vedere i film in DVD. Miyazaki rispose: “Eh, sono gli spiacevoli effetti collaterali della tecnologia”.
Così, dopo la presentazione di una locandina che mette in rilievo la bellezza del tratto a mano, si oscurano le luci in sala e il film viene proiettato da una pellicola a 35 mm, così come avveniva nel 1988. Il viaggio nel tempo comincia.

Dopo la visione, Cannarsi fa notare come nei titoli di coda venga mostrato l'epilogo della storia; tra la varie scene illustrate ce n'è una in cui la madre legge alle bambine un libro che contiene un'immagine del troll (nome storpiato da Mei in 'totoro') citato da Satsuki (“come quello del libro illustrato?”). Si tratta del libro di favole Three Billy Goats Gruff. Da quel libro è tratta anche la frase delle bambine “Nerini del buio, fatevi vedere altrimenti vi caveremo gli occhi”, che rimanda alla sfida lanciata delle caprette al troll: “Se non ci fai passare sul ponte, ti caviamo gli occhi”.
Non bisogna però sovraintellettualizzare quello che è un film per bambini (di tutte le età): non è giusto fare accademia su delle cose oneste nella loro semplicità.
E se domenica fosse stato proposto di seguito Una tomba per le lucciole, la storia di due fratellini vittime di guerra (il film inizia coi loro spettri), cosa sarebbe successo? Più o meno quello che accadde in Giappone nel 1988. All'epoca la Ghibli, con un mini-sondaggio, notò che c'era un umore diverso negli spettatori a seconda dell'ordine in cui erano stati mostrati i due film. Quelli che avevano visto per secondo Hotaru no Haka uscivano dalla sala distrutti…
Oggi Totoro viene visto a ragione come uno dei simboli dell'animazione giapponese, ma reca molte contaminazioni occidentali. Gli effetti sonori dell'inseguimento di Mei del piccolo Totoro richiamano quelli tipici di cartoni classici come Tom e Jerry. Quando Mei cade nella tana di Totoro, i suoi occhi che girano riprendono stilemi tradizionali della stessa animazione americana.
La caduta nel buco della stessa Mei all'inseguimento del Totorino bianco fa pensare ad Alice nel Paese delle Meraviglie. E che dire del GattoBus… con quel sorrisone, lo sparire sopra all'albero… non c'è un po' del Gatto del Cheshire o Stregatto?
Benché un certo tipo di critica esageri sempre, volendo vedere sincronie e riferimenti ovunque, è pure un fatto che Miyazaki ami la letteratura per l'infanzia, occidentale e giapponese, e ciò fin dai tempi dell'università. Difatti, nel contenuto speciale mostrato in precedenza Miyazaki cita Kenji Miyazawa (Una notte sul treno della Via Lattea, edito in Italia da Marsilio), famoso narratore classico per l'infanzia. Il testo della canzone iniziale 'Sanpo' è stato scritto da Rieko Nakagawa, favolista giapponese, cui Suzuki e Miyazaki andarono a implorare di scrivere un testo per il loro film, quando ancora non erano nessuno (una favola in Giappone era ed è considerata cultura a tutti gli effetti).
Fatti salvi tutti questi rimandi, e ammesso che vi è un contenuto culturale nell'animazione, è utile però mantenere un bilanciamento tra animazione come divertimento e letteratura.
A proposito ad esempio dei Nerini del Buio, o 'Corrifuliggine', qual è il riferimento letterario? È il padre delle bimbe a chiamarli "Nerini del Buio", spiegandoli come un effetto ottico (cose come le 'scintille', le 'luccioline' visibili quando 'ci si acceca'). Il padre delle bambine lavora all'università e fornisce quindi alle figlie una spiegazione scientifica semplificata: quando ci si sposta da una stanza luminosa ad una del tutto buia, "compaiono i Nerini del Buio". L'anziana nonnina li chiama invece Corrifuliggine (Susuwatari).
Il nome Makkuro Kurosuke (Nerini del Buio) viene in realtà da un libro di una narratrice svedese scritto in tedesco (Der Kleine Nerino), pubblicato in Giappone come Makkuro Nerino. 'Makkuro' vuol dire 'buio pesto', e Miyazaki ha tradotto anche 'Nerino' in giapponese, da cui Makkuro Kurosuke!

Totoro 25 - Lucca 2013 - Makkuro Kurosuke

Le passioni di ognuno trovano spazio nelle cose che si creano, e così vale per Miyazaki.
Totoro è ambientato, lo si sa, in maggio, e precisamente negli anni '50, come ha lasciato intendere lo stesso Miyazaki: “è un film ambientato nell'epoca antecedente alla comparsa dei televisori in ogni casa del Giappone”.
Sono degli anni cinquanta idealizzati, e questo è stato fatto presente a Miyazaki. Esiste proprio un dibattito sulla poetica di Miyazaki in patria, tanto che gli viene a volte fatto notare che ad esempio nei suoi film non ci sono i cattivi. In un'intervista Miyazaki dice: “So bene che non esistono bambine come Satsuki e Mei, so che il Giappone degli anni '50 non era così idilliaco”. Per noi ancor di più, il Giappone è filtrato attraverso i cartoni animati. Noi vediamo un'idealizzazione, insiste Cannarsi. Anche se siamo stati in Giappone, verosimilmente non ci siamo stati negli anni '50, né ci siamo nati e cresciuti, e la nostra percezione è comunque filtrata dalla fantasia. E Miyazaki a maggior ragione lo sa. Sa che non c'è mai stata una campagna idilliaca come quella di Totoro. “Se avessi dovuto fare un film realistico, le bambine avrebbero trovato una vecchia inacidita che continua a ripetergli: "non toccate le mie verdure!", e loro non fanno che piangere. Ma questo sarebbe un film di Takahata”. E ancora: “Non riesco a fare film realistici che mostrino la tristezza del quotidiano”. Miyazaki non capiva ad esempio la filmografia di Ozu Yasujirou (cineasta nipponico noto ai lettori de L'eleganza del riccio). Voleva fare film che dessero speranza. E, a posteriori, i conti tornano. Voleva divertire, emozionare. Ma nello stesso tempo, negli anni '80, quelli in cui si cercavano spazi per la generazione del baby boom, sventrando boschi e colline attraverso l'urbanizzazione selvaggia (vedi Ponpoko), c'era la possibilità di mandare un messaggio di speranza mostrando una campagna perduta e lontana, un Giappone mai davvero esistito ma presente da sempre nei desideri e nei sogni dei giapponesi e non solo.
Però, afferma Cannarsi, sarebbe inutile mettersi a cercare in ogni opera di Miyazaki una vena ecologista o ambientalista con piglio intellettualoide: lo stesso Miyazaki si vede come un artigiano, è lui che disegna a mano lo storyboard, e così tante scene dei suoi film. “Non chiamatemi maestro, se no mia moglie si arrabbia. Sono solo un artigiano”.
Cannarsi mostra poi di nuovo le classica locandina originale di Totoro, con una singola bambina intenta a ripararsi dalla pioggia, e accanto la corrispondente immagine tratta dalla scena del film, con le due sorelline. In entrambi i casi, la scena è quella in cui Totoro scopre la magia dell'ombrello, e difatti nella canzone del film si dice "aspetti il bus, che pioggia c'è, se un fantasma tutto zuppo è lì con te… l'ombrello tuo offrigli dai…". Ma perché c'è una sola bambina nel concept originale? Perché la bambina originale coi codini si sdoppia, diventando la coppia di sorelle Satsuki (un modo per dire maggio in giapponese) e Mei (dalla pronuncia inglese di May): un buon augurio per un film destinato a uscire in maggio! Poi si torna alla secondo locandina con Totoro e le bambine su un ramo, che suonano l'ocarina in una notte di luna piena. Nella canzone era: “Nei pleniluni lui l'ocarina suona lassù”. Anche dei semplici manifesti raccontano molto di una storia, se si hanno occhi per vedere.
Quando si passa all'immagine successiva, è il turno della locandina de Sen to Chihiro no Kamikakushi ('La sparizione di Chihiro e Sen', noto in Italia come: La città incantata).
È l'occasione per Cannarsi di parlare di un doppio Miyazaki: quello giovane ci ha tenuto compagnia fino alla grande fatica di Monokoke Hime (La Principessa Mononoke). Ricordiamo che proprio a seguito dei tremendi sforzi per realizzare quel film, un collega giovane di Miyazaki era deceduto (si tratta di Yoshifumi Kondō, compianto regista de I sospiri del mio cuore). Anche per questo, un del tutto spossato Miyazaki aveva effettivamente annunciato l'intenzione di ritirarsi dopo Mononoke Hime. Tuttavia, dopo un po' ritrova la voglia, il bisogno di disegnare, ed è in qualche modo un Miyazaki diverso.
La Satsuki di Totoro era una bambina completamente ideale: si fa forte e aiuta la famiglia in assenza della mamma, salvo farsi pettinare docilmente da lei (quasi un cliché da libro Cuore, diremmo noi italiani). In Sen to Chihiro no Kamikakushi l'idealizzazione è molto ridotta. Chihiro è obbligata a farsi assumere come inserviente in un bagno pubblico dalla strega Yubaba. Miyazaki, che sta diventando anziano, comincia ad interessarsi alla psicologia degli anziani come lei. Yubaba toglie uno dei due caratteri al nome di Chihiro, che diventa Sen: Chihiro era un nome troppo “di lusso” (letteralmente, nell'originale) per una servetta. Da tutto ciò si vede bene come si tratti di un film molto spregiudicato nei confronti dell'infanzia, se paragonato a Totoro. Non c'è un'ambientazione realistica: nel bagno pubblico albergano le divinità. Eppure, i rapporti tra le persone diventano per contro più realistici. Pare che all'epoca Miyazaki fosse rimasto colpito da alcune sue nipotine, che gli sembravano come stordite dalla società. Chihiro dà conto di una sorta di risveglio dell'infanzia da questo stordimento: all'inizio è una bambina viziata, i cui genitori diventano maiali lasciandola sola, costringendola a farcela da sola. E lei ce la fa. Miyazaki ha sempre avuto molta fiducia nei bambini e molta sfiducia negli adulti, chiosa Cannarsi.

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Siamo venuti a recapitare qualcosa di dimenticato  |  Al di là del tunnel,
                                                                                 c'era una città misteriosa.
Totoro il vicino
 
Di simili strane creature,                                            Un'opera del regista Miyazaki Hayao
in Giappone se ne trovano ancora. Forse.                   La sparizione di Chihiro e Sen
 
Soggetto - Sceneggiatura - Regia: Miyakaki Hayao

E poi è il momento del manifesto originale de Il castello errante di Howl: ma il castello è molto piccolo e non c'è Howl. Lo slogan è: “Questi due hanno campato” (Futari ga kurashita). Si fa riferimento appunto alla Sophie invecchiata e al cagnolino Heen, che non riesce neanche ad abbaiare. Questo film è molto incentrato su cosa sia sentirsi giovani e sentirsi anziani: “a diventare vecchi ti cresce la furberia”, diceva la nonnetta Sophie.
E poi arriva Ponyo sulla scogliera, dove c'è un centro anziani, e i bambini si rapportano preferenzialmente alla generazione dei nonni piuttosto che a quella dei genitori. Cosa resta del primo Miyazaki? Restano gli occhi sgranati di Mei nel pesciolino Ponyo, ad esempio.
E infine è il tempo di Kaze Tachinu, dell'ultimissimo Miyazaki, che, questa volta, sembra proprio voglia ritirarsi davvero. Dovrebbe uscire un'ultima intervista rilasciata alla stampa internazionale. Probabilmente è una decisione ponderata, anche se Miyazaki, verosimilmente, continuerà a disegnare fino all'ultimo dei suoi respiri (e difetti è di questi giorni la notizia che si sia messo al lavoro su di un manga sui samurai NdR).

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Ammira gli alberi                                                       |     In tributo a                             
parla con gli insetti                                                           Horikoshi Jirou e Hori Tatsuo
la persona uccello che richiama il vento...
 
Soggetto - Sceneggiatura - Regia: Miyakaki Hayao            Bisogna vivere.
Nausicaä della Valle del Vento                                           Un'opera del regista Miyazaki Hayao
                                                                                        Si alza il vento

Ma l'alfa e l'omega sarebbero Kaze no Tani no Nausicaä e Kaze Tachinu. Abbiamo sempre il vento (kaze). Nausicaä a rigore sarebbe pre-Ghibli, ma è l'inizio dell'opus di Miyazaki autore di lungometraggi animati così come il film su Jirou Horikoshi ne è verosimilmente la conclusione. Lo slogan di Kaze Tachinu è: “Ikineba” (Bisogna vivere).
Cannarsi rammenta di aver visto Totoro un numero di volte che andrebbe scritto con tre cifre. Miyazaki ha ragione quando dice: “un film è fatto per essere visto al cinema”. Vederlo al cinema è sempre qualcosa di diverso. Quando Satsuki va a raccogliere i ceppi e il vento li trascina via, e si vede il movimento delle creste degli alberi, nel buio della sala vi è un senso di immersione che non può esser reso da nessun home theater. È un sogno condiviso. Ci si stacca dalla realtà, è un'immersione lenta, che ci estranea da tutto, per il tempo che dura. Totoro è un film lento, eppure trasporta in profondità. In quel buio popolato d'immagini e di sogni condivisi da un pubblico raccolto in una sala.
Tra l'altro, come se il tempo in quelle profondità si annullasse, si trovano punti di contatto tra Kaze Tachinu e Totoro: la madre di Satsuki e Mei verosimilmente soffre di malattie respiratorie, e deve stare in sanatorio. Nahoko, in Kaze Tachinu è malata di tisi e va in sanatorio; il papà di Satsuki e Mei somiglia invece a Horikoshi. Si dirà, somiglianze estetiche. Ma non solo. Certo, ci sono molte differenze: Totoro è l'arcadia del mondo bucolico, mentre in Kaze Tachinu c'è la corsa agli sportelli dei tempi della recessione. E c'è la guerra. Però Horikoshi da bambino somiglia a Kanta: hanno lo stesso taglio di capelli. Jirou fa degli aeroplanini per corteggiare una fanciulla, e lo stesso Kanta gioca con un modellino, mentre è tutto felice per il successo della sua 'galanteria' verso Satsuki. Forse, si può dire che Kaze Tachinu, nel suo intento di raccontare l'uomo a tutto tondo, sia come una fusione tra Totoro e Una tomba per le lucciole, tra immaginazione e realtà.

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Ed è il momento degli annunci: Kaze Tachinu uscirà al cinema nel 2014, seguito da BD+DVD, senza che intercorra troppo tempo tra i due.
Ma non solo. C'è ancora una cosetta… anzi, altre “tre cosette” nel 2014:
- Mononoke Hime, con nuova traduzione, adattamento e doppiaggio.
Si tratterà di una versione finalmente filologica. Mononoke Hime era stato in effetti già presentato da Cannarsi ritradotto in occasione del Festival del Cinema di Roma nel 2010, in versione sottotitolata. Chi ha visto quella versione ha affermato di aver “visto un altro film” rispetto alla versione doppiata in italiano uscita al cinema nel 2000. Si tratta di un film molto particolare. Lo slogan di Mononoke Hime è molto ragionato. Tra parentesi, gli slogan dello Studio Ghibli sono opera di Shigesato Itoi, pubblicitario che ha reso il concetto di La Dolce Vita in giapponese come 'Oishii Life' per una fortunata campagna. Itoi ha tra l'altro doppiato il padre delle due bambine in Totoro, con una voce molto ordinaria, non certo da persona estrosa. Vi è che Miyazaki non vuole voci manieristiche, e questo è stato più che mai vero in Mononoke Hime (vennero chiamati a recitare attori di cinema anziani e altre voci poco canoniche per il doppiaggio dell'animazione). Mononoke fu una pietra miliare, anche perché segnò l'avvio dell'accordo con la Disney; fu il primo film Ghibli importato in America! È il nuovo corso di Miyazaki, forse la fine del Miyazaki giovane. Lo slogan è: “Ikiro” (Vivi!), e richiama inevitabilmente il “Bisogna vivere” di Kaze Tachinu. È lo sforzo di vivere nei momenti di crisi. Si spera anche in un nuovo titolo, onde scansare l'equivoco sul nome di San, che qualcuno chiama erroneamente Mononoke.
- Nausicaä della Valle del Vento: beneficerà anch'esso di nuova traduzione, nuovo adattamento, nuovo doppiaggio. Parlando di Nausicaä, esso è largamente ispirato al ciclo di Terramare. In effetti Miyazaki aveva chiesto ai tempi alla signora Le Guin, autrice degli allora tre libri, i diritti per realizzare la versione animata di Terramare, con esito negativo. Kaze no Tani no Nausicaä è ciò che Miyazaki ha fatto non potendo realizzare Terramare ai tempi in cui lo leggeva. Ma era una produzione relativamente piccola, stentata. Per l'occasione venne fatta la chiamata alle armi per giovani animatori su Animage. Se Laputa potrebbe essere un film di ieri, Nausicaä dimostra la sua età.
- Sen to Chihiro no Kamikakushi, tornerà in una versione adattata dall'originale giapponese e non dalla versione americana, come accadde per l'edizione precedente, in cui tutto venne molto addolcito e alleggerito, proprio nel caso di un film tra i più realistici di Miyazaki.
Si rammenta che Kiki è già disponibile sempre per Lucky Red, con un nuovo doppiaggio (lo stesso Cannarsi aveva collaborato all'edizione Buena Vista, ma la colonna sonora imposta era stata quella americana) e finalmente con la colonna sonora giapponese, l'unica originale.

I tre film usciranno tutti nel corso del 2014, prima al cinema e poi in BD+DVD. Si tratta chiaramente di prodotti particolari dal punto di vista commerciale. Nausicaä era stato trasmesso sulla RAI spezzettato in quattro parti con un adattamento fantasioso; inoltre, è un film che mostra il peso dei suoi anni. Sen to Chihiro era diventato La Città Incantata, ma per quanto snaturato è stato Leone d'Oro a Berlino nonché Premio Oscar, dunque è stato visto da molte persone. In La Principessa Mononoke era stato cambiato sinanco il finale e il senso ultimo del film, ed essendo uscito nei cinema italiani in totale sordina meriterebbe di essere indirizzato verso una distribuzione cinematografica piena, ma probabilmente si tratterà per tutti e tre di eventi per un pubblico di appassionati, che li conosce e vuole andarli a vedere, spiega Cannarsi. E conclude ribadendo che questi tre film erano in qualche modo usciti in Italia deturpati, dunque riproporli sotto questa nuova veste costituirà il compimento della resa dell'opera di Hayao Miyazaki in italiano.

Infine si è parlato di Kaguya-Hime di Isao Takahata. Film dalla tecnica che appare ai limiti dell'impossibile nell'opinione di Cannarsi, l'attesa per esso è ormai spasmodica (la pellicola sarebbe dovuta uscire in estate, ma è slittata, come vi abbiamo già raccontato).
Takahata è noto per le sue produzioni interminabili. Non va dimenticato che nel 1988 Hotaru no Haka andò al cinema incompleto, per venire poi portato a termine in seguito. In Kaguya-Hime no Monogatari, storia dalla lunga gestazione (si parla di 7 anni; già Miyazaki a Venezia nel 2008 aveva affermato: “Sì, Takahata sta lavorando a un film”), Takahata ha ribaltato il punto di vista della più antica favola giapponese, dicendo che se avesse potuto ambientare Heidi in Giappone avrebbe fatto una cosa del genere.
La favola tradizionale è nota come La storia del tagliatore di bambù, e racconta appunto di Okina, che trova una bambina dentro una canna di bambù e la accoglie in casa; la vicenda è lì narrata dal punto di vista di colui che adotta, mentre Takahata sceglie di rappresentare quello di chi viene adottato.
I tre manifesti del lungometraggio recano lo slogan 'Il perpetrato delitto e la pena di una principessa', con un richiamo a Delitto e Castigo, citazione a sua volta del delitto e della pena di beccariana memoria.
Anche Kaguya-Hime no Monogatari dovrebbe uscire al cinema in Italia, ma chiaramente non ci sono ancora date per il nostro paese (in Giappone vedrà la luce, come detto, il 23 novembre 2013).

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il perpetrato delitto e la pena di una principessa.
 
Un'opera del regista Takahata Isao
La storia della principessa Kaguya
 
C'è stato poi spazio per le domande del pubblico, tra cui quelle dei nostri redattori.

AC: Sarebbero due domande, se posso. Ora noi sappiamo com'è andata, e lo Studio Ghibli non è morto. Ma che cosa è successo, se con Totoro e Una tomba per le lucciole c'è stato quel flop di cui ci parlava, e nell'89 avevamo già un nuovo film? Che cosa è successo che ha permesso di continuare con un film, quando invece si sarebbe dovuto chiudere — perché si sarebbe dovuto chiudere già prima di Totoro. E poi, quando è iniziato di fatto l'apprezzamento per il film di Totoro, quello che conosciamo oggi insomma?

C: Quando uscirono in proiezione abbinata Tonari no Totoro e Hotaru no Haka, gli introiti cinematografici non coprirono nemmeno metà delle spese di produzione. Tuttavia, Hotaru no Haka fu immediatamente riconosciuto come un prodotto di elevata fattura culturale. Nel senso che venne quasi subito consacrato come un prodotto importante, educativo. Per contro, i bambini che erano andati a vedere Totoro si erano attaccati tantissimo al personaggio, quindi in seguito l'edizione home video, la richiesta televisiva ed i gadget sono andati in crescendo. Pur essendo un fallimento al momento dell'uscita cinematografica, quella proiezione abbinata dimostrò due cose: la grande potenzialità commerciale dell'immaginario di Miyazaki Hayao e della sua fantasia; e al tempo stesso il valore dell'animazione — cosa si può fare con l'animazione. Quando Takahata e Miyazaki avevano collaborato a un precedente film, Taiyou no Ouji: Hols no Daibouken (La grande avventura di Hols il principe del sole), il regista era Takahata e Miyazaki era uno dei direttori dell'animazione; lo stesso Miyazaki ha affermato nelle interviste di essersi sorpreso all'epoca, perché “Takahata non stava più facendo l'animazione cui si era abituati, l'animazione divertente… stava facendo Édith Piaf”. C'è stata una figura in Giappone che ha fatto capire che il manga può essere celebrato come cultura: si tratta di Tezuka Osamu. Lo ha detto anche Tomino Yoshiyuki: “Leggendo Tetsuwan Atom, io mi resi conto che anche i manga potevano essere celebrati e riconosciuti come cultura”. Io penso che, essendo Miyazaki Hayao e Takahata Isao due grandi amanti della cultura europea (il primo della letteratura per l'infanzia, il secondo della cinematografia neorealista, Visconti in particolare), essi siano riusciti a convincere prima il Giappone e poi anche un po' l'Occidente che l'animazione può essere celebrata come cultura. E si tratta probabilmente di qualcosa di straordinario. Tezuka Osamu aveva fatto animazione, ne era stato un pioniere in Giappone; ma, sfortunatamente, si trattava di animazione seriale, un prodotto che teneva incollati i bambini alla TV per 20 minuti con due soldi, ossia con riciclo di animazioni, eccetera. Miyazaki Hayao, da animatore, ha sempre amato le belle animazioni: tutto il mare di Ponyo è animato come un personaggio, disegnato personalmente da Miyazaki… i flutti che diventano pesci, l'acqua a forma di pesce che poi torna nell'acqua e si scioglie, le scene di Ponyo che corre sulle onde, sono delle cose impressionanti dal punto di vista della resa animata. Ponyo è stato il film dello Studio Ghibli con il più alto numero di disegni. Miyazaki, da animatore divenuto regista, ha sempre avuto una faccia un po' storta di fronte a Tezuka Osamu, perché quest'ultimo avrebbe mostrato l'animazione giapponese come un lavoro sciatto, una cosa da poco. Penso che lo Studio Ghibli sia riuscito a far vedere un'animazione giapponese rigogliosa con un contenuto culturale. Se oggi siamo qui a parlarne, se nel 2014 finiremo di vedere al cinema in Italia tutti i film di Miyazaki Hayao, se quest'anno è uscito da noi al cinema con una distribuzione plenaria Kiki, che è un film dell'89, e l'anno scorso è stata la volta di Laputa, un film addirittura dell'86, ciò significa che Miyazaki e Takahata sono riusciti a fare dell'animazione di alto valore e a consacrarla dal punto di vista del riconoscimento culturale. Mi sembra una cosa importante.

P: Lei diceva che nei film Ghibli ci sono dei punti di contatto. Chi conosce le opere del maestro avrà notato che c'è un punto di contatto molto forte tra La sparizione di Sen/Chihiro e Totoro per quanto riguarda i Nerini del Buio. Si tratta di una citazione voluta o di una coincidenza? E tra l'altro quali altre coincidenze così marcate potremmo trovare in altri film del maestro?

C: Io non sono Miyazaki Hayao, dunque cerco di distinguere ciò che ha detto lui dalle mie supposizioni. Credo che sia tipico di un certo genere di appassionati notare le minuzie. C'è anche un certo tipo di compiacimento. Ti faccio presente l'animaletto di Nausicaä, Teto, che è uno scoiattolo-volpe (kitsune-risu). Si tratta però di uno scoiattolo volpe. Perché? Miyazaki Hayao è sempre stato un fan di Le Petit Prince (Il piccolo principe) di Antoine de Saint-Exupéry. Quella che nella traduzione italiana si chiama volpe, nell'edizione originale francese è 'renard', ma si vede bene che si tratta di un 'renard du desert' (volpe del deserto), ovvero un fennec: ha le orecchie grandi come i fennec, e difatti Il piccolo principe viene scritto da Antoine de Saint-Exupéry nel deserto, è ambientato nel deserto, il Principino parla con un renard du desert. Nel libro si parla molto dello stabilire dei rapporti tramite l'addomesticarsi a vicenda: difatti i fennec sono animali molto schivi, difficili da addomesticare. Nella prima scena in cui compare Teto, lui morde Nausicaä e lei si fa mordere per dimostrargli che non c'è niente da temere (“Kowakunai… kowakunai, ne?”: non avere paura). Lo scoiattolo-volpe cambia espressione e da quel momento è addomesticato e resta amico di Nausicaä. Il kitsune-risu di Miyazaki non è una trasposizione, ma una riproposizione di qualcosa che aveva colpito l'autore; si trova infatti anche in Laputa sulle spalle dei robot. Ma quel robot si era già visto nella sua versione non bellica in uno degli episodi di Lupin disegnati da Miyazaki. E così pure i Nerini del Buio tratti da Der Kleine Nerino (chissà se l'ha fatto apposta, forse gli erano semplicemente rimasti impressi) ritornano in Sen to Chihiro. Oppure, in Nausicaä c'è l'enorme insetto, l'Ohm, che somiglia a ciò che in Italia si chiama correttamente 'onisco', ma prende comunemente il nome di 'porcellino di Sant'Antonio'. In Arrietty, lei gioca con uno di quegli stessi insetti. E quando chiesero a Miyazaki nel 2007 nella conferenza su Howl in Giappone a quale animale si sentisse somigliare, Hayao rispose: “a un onisco, perché mi sembra il più inerme degli insetti”. I registi, secondo me, fanno semplicemente le cose, più che essere ossessionati dalla citazione. Il Gattobus ha tante gambe forse perché Miyazaki aveva in testa un millepiedi, data la sua passione per gli insetti, chissà. Il Gattobus è la cosa più folle che ci sia in Totoro, è la fantasia traboccante. Il carattere di Miyazaki si nota dall'intervista di prima: Takahata è riflessivo, si ferma a pensare, mentre Miyazaki è frenetico, veloce. Una volta Takahata disse di Miyazaki: “Se non ci fosse stato Miyasan, probabilmente avrei fatto l'impiegato. Lui, col suo modo di essere energico, mi ha sempre spronato”. Takahata è riflessivo, Miyazaki disegna. Se non capisce una cosa, magari, ti fa un disegnino. Trovo Miyazaki una persona molto sensoriale, molto materica, come dice Takahata.

P: Come potrebbe chiamarsi in italiano Mononoke Hime se non venisse riproposto questo fuorviante titolo? Mio figlio mi ha detto: qua è sempre stata una versione tagliatissima, con rapporti non spiegati, salti, etc., quindi riveduta e corretta. La versione che vedremo sarà quella integrale?

C: Parto ancora più da lontano. Pensavo di sapere come si chiamasse più correttamente Il castello errante di Howl. Il film si chiama così perché è stato presentato a Venezia prima ancora che io fossi contattato da Lucky Red. Effettivamente il titolo originale non parla di 'errante'. Si chiama Howl no Ugoku Shiro e 'ugoku' è il modo più semplice esistente in giapponese per dire 'muoversi'. Dunque ho sempre pensato che si trattasse de 'Il castello mobile di Howl'. Quando feci l'edizione italiana, c'era una nota ufficiale scritta da Miyazaki per i localizzatori: “Il regista Hayao Miyazaki dispensa dall'inserire qualcosa come 'magia', 'magico' nel titolo, perché ritiene che a causa del grande successo di prodotti come Harry Potter e simili nella parola 'magico' non ci sia più nulla di magico”. Certo però non c'era neanche 'errante'. Effettivamente Miyazaki era stato colpito dal titolo originale del libro di Diana Wynne Jones: Howl's Moving Castle. E infatti Howl no Ugoku Shiro è una traduzione fedele di Howl's Moving Castle. In Giappone il libro si chiama Majutsushi Howl to Hi no Akuma (Lo stregone Howl e il demone del fuoco), ma a Miyazaki era rimasto impresso il titolo originale perché vi è la cosa più inamovibile che ci sia (un castello), che invece si muove. 'Il castello mobile di Howl' sarebbe una buona traduzione: in effetti in giapponese anche le scale mobili si chiamo 'ugoku kaidan'. Però l'anno scorso ho avuto una sorta di illuminazione. Per inamovibile Miyazaki non intendeva un castello che non si sposta, piuttosto qualcosa che tu non animeresti mai, perché lui è un animatore. E in giapponese 'ugoku' (nella forma 'ugokasu', 'far muovere') si usa anche per dire 'animare'. La cosa che nessuno fa muovere si muove, dunque voglio animarla. Del resto in inglese i cartoni animati si chiamano anche 'moving images', immagini in movimento. Quindi per un animatore come Miyazaki Hayao 'moving castle' è un castello animato, 'Il castello animato di Howl' o 'Il castello in movimento di Howl'. Detto ciò, torniamo alla Principessa Mononoke. 'Mononoke' è un termine giapponese che indica gli spiritelli, o spettri. Nel film certo sono spiriti della natura o creature soprannaturali, ma… beh, sono stato molto criticato da alcune persone per aver parlato di 'il fantasma Totoro'. Quando noi occidentali pensiamo a un fantasma, la mente corre al lenzuolo. Perciò mi si ribatte che Totoro è un animale. Però in giapponese si parla di 'obake' (il fantasma per i bambini giapponesi). Allo stesso modo i mononoke, che nel film sono divinità della natura o animali trascendenti, terminologicamente sono degli spettri. Quindi San teoricamente sarebbe 'La principessa degli spettri' o 'La principessa spettro'. Tant'è che, in fase di realizzazione del film, il soggetto è cambiato molte volte. Miyazaki a un certo punto si recò da Suzuki Toshio, dicendogli che si era reso conto di come il film fosse ormai diventato la storia di Ashitaka piuttosto che quella della principessa degli spettri, e chiedendo che venisse intitolato 'Ashitaka monogatari'. Suzuki annuì, facendola sotto il naso a Miyazaki, perché il giorno dopo venne fuori il primo trailer con il titolo 'Mononoke Hime'. La 'Principessa Mononoke' non ha subito tagli, non è stato tolto neanche un secondo di animazione, perché il contratto di distribuzione tra Studio Ghibli e Disney impediva ciò. Però è stato cambiato nel testo e nel contenuto. È stato cambiato scientemente il finale così come molte parole all'interno. La versione che uscirà in Italia sarà sempre ligia all'originale.

Tororo 25 8

AC: La domanda è sempre su Totoro. Un film che sicuramente piace ai bambini, le figure restano nell'immaginario per anni e ancora oggi piacciono a bambini di ogni età. Però, anche seguendo lo slogan, “Siamo venuti a portarvi qualcosa di dimenticato”… in questo film c'è anche un forte effetto nostalgia? Uscito nel Giappone negli anni '80, spogliatosi della sua anima di campagna, parla anche un po' dell'infanzia, di quella degli spettatori più grandi che portavano i bambini al cinema, e anche dell'infanzia del Giappone nel dopoguerra?

C: Sicuramente è così, Miyazaki lo diceva nello speciale che abbiamo fatto vedere precedentemente. Miyazaki era cosciente del fatto che la sua visione della campagna giapponese fosse idelizzata, così come ha dichiarato in seguito, rispondendo alle critiche sull'eccessivo 'buonismo' dei suoi film. Per quanto riguarda il discorso nostalgia, c'è secondo me questo senso di ripensamento, perché sicuramente negli anni '80 si pigiava molto l'acceleratore sulla modernità, sul consumismo. Miyazaki dunque ha provato a far riflettere su certe cose mentre raccontava una storia di fantasia. Se ci pensiamo, Takahata avrebbe fatto la stessa cosa con Omohide PoroPoro (Ricordi e goccioloni), in maniera neorealista.

P: Vorrei parlare di Porco Rosso, film degli anni '90. Perché è stata scelta un'ambientazione diversa, con gli idrovolanti e la trasmutazione delle persone in animali?

C: In origine quel film avrebbe dovuto essere un cortometraggio. Tra i produttori tuttora figura la JAL (Japan Airlines). Avrebbe dovuto essere un corto da proiettare sui voli nazionali. Miyazaki dichiarò: “Pensai di fare un film sufficientemente leggero da essere capito da parte di businessman stanchi e sfiancati dall'ipossia di alta quota”. Miyazaki è sempre stato un appassionato di aeroplani d'annata. Questo è un grande conflitto di cui egli stesso è conscio: da un lato è assolutamente antimilitarista, dall'altro gli piacciono gli aerei da combattimento, cosa che si vede anche in Kaze Tachinu. Miyazaki è un animatore, ma realizza anche fumetti e storie illustrate — si pensi a Nausicaä, un vero e proprio romanzo illustrato. In maniera più estemporanea ha sempre disegnato delle storie brevi, acquerellate, che pubblica su Model Graphix, una rivista di modellismo. Una di esse si chiamava Hikoutei Jidai (L'epoca degli idrovolanti). Gli idrovolanti hanno vissuto un'epoca d'oro perché quando gli aerei hanno iniziato ad essere significativi, non c'erano ancora gli aeroporti. Ma c'erano i laghi, dunque gli idrovolanti sembravano la soluzione ideale per poter implementare un'aeronautica senza dover costruire altre infrastrutture. Gli anni '20 sono stati dunque l'epoca degli aviatori di ventura, in America la Schneider Cup era riservata agli idrovolanti. Ancora oggi si parla di 'imbarcarsi' perché l'etichetta aeronautica deriva da quella navale. Nei suoi fumettini Miyazaki trasfigura sempre gli uomini in porcellini (si pensi a Dora Mamire no Tora, 'Tigri coperte di fango', sul carrista tedesco Otto Carius), oltre che disegnare con minuzia i dettagli dei mezzi bellici. Quando ha trasposto Hikoutei Jidai in animazione, rappresentare tutti gli umani come porcellini sarebbe stato forse un simbolismo troppo forte. Si pensi alla co-produzione italo-giapponese Meitantei Holmes, diretta anche da Miyazaki: lì i personaggi erano stati trasfigurati in cagnolini. Il mutamento in maiali era estremo, e in Porco Rosso Miyazaki lo limita al protagonista, adducendo un motivo per renderlo minimamente credibile.
Anche Kaze Tachinu viene da un fumettino, che in questo caso è stato il piedistallo per fare una cosa ancora più seria e culturalmente ragionata. L'ultimo film segna, se non una svolta, un dente nella carriera di Miyazaki narratore, che si è rivolta verso un'analisi più umanistica, approfondita e bilanciata. Su Porco Rosso ci sarebbero molte altre cose interessanti: il protagonista doveva chiamarsi Porcellino, ad esempio; o ancora la ricostruzione di Milano con i navigli scoperti. Miyazaki ha sempre unito il gusto per il dettaglio in qualche modo credibile alla fantasia più estrema. Il piatto di spaghetti sembra un piatto di spaghetti. Lui mette sempre delle scene di cibo nei suoi film, perché ritiene che l'atto del mangiare e del condividere un pasto sia molto umano. Miyazaki riesce a rendere appetitose le cose: si pensi al cetriolo crudo di Totoro, che sicuramente non è la cosa più succulenta, eppure sembra la cosa più buona del mondo. Capisco cosa intende Takahata quando dice che le animazioni di Miyazaki sono molto sensoriali. In Laputa Sheeta mangia un uovo fritto a metà sul pane; in Kiki c'è la cucina con le persone anziane, il caffè, il latte, la torta (la stessa panetteria dove vive e lavora, NdR); in Porco Rosso la spaghettata all'italiana; in Mononoke San che mastica la carne secca per Ashitaka che non è ancora in forze e gliela passa bocca a bocca. È sempre la comunione del cibo; pur non avendo nulla a che fare con la tradizione cristiana, Miyazaki ha sempre mostrato che in certe situazioni vi è forse un qualcosa di universalmente umano.

P: La presenza di Totoro in Toy Story è un omaggio, o c'è un aneddoto che spiega questo rapporto Disney-Ghibli? Sappiamo che comunque Disney ha aiutato lo Studio Ghibli a imporsi in Occidente.

C: John Lasseter, direttore della Pixar, è un grande appassionato della filmografia di Miyazaki Hayao. Abbiamo letto infiniti strali di critica entusiastica su Miyazaki Hayao, ma mi piace ricordare una dedica fattagli da John Lasseter, inclusa credo dentro il cofanetto giapponese di laser-disc, chiamato Ghibli ga Ippai Collection: “Tutte le volte che alla Pixar ci troviamo in un vicolo cieco, ci mettiamo a guardare un film di Miyazaki. Le sue opere sono state per noi fonte di costante ispirazione”. Parola non di un critico, ma di animatore. I due sono amici. Non è un omaggio da intellettuale che strizza l'occhio ad Oriente, ma qualcosa di sincero.

P: Una domanda molto pratica. Acquistai i film della Ghibli usciti all'epoca con l'edizione della Disney. Kiki, Laputa e Mononoke. Quali sono stati riadattati e ridoppiati?

C: Attualmente sono stati ridoppiati Kiki e Laputa, come detto, verrà presto riproposto e ridoppiato La Principessa Mononoke, non so ancora con che titolo.

P: Noi occidentali abbiamo una stampa di parte, e abbiamo saputo solo una parte della storia dell'Oscar di Miyazaki per La città incantata. Come è stata presa in Giappone la storia dell'Oscar, preso in casa del più totale 'nemico'? Vincere un Oscar in casa della Pixar è stata un'impresa titanica.

C: Riassumo un discorso che sarebbe molto lungo. I giapponesi sono persone isolane e quindi, pur amando la loro isola, sanno di vivere su un'isola, e che che fuori c'è il mondo. Per cui considerano una cosa di grande valore l'apprezzamento che viene dall'esterno. Basti ricordare che Suzuki Toshio pensò di distribuire alla Disney Mononoke Hime solo per fare pubblicità in Giappone. L'intero accordo con la Disney per Suzuki Toshio era una strategia promozionale per il mercato interno.

P: In Mononoke Hime, nella versione vecchia italiana, la madre adottiva di San, la lupa, in giapponese aveva una voce ambigua tra maschio e femmina, mentre in italiano era chiaramente femminile. Nel nuovo doppiaggio verrà ridefinita? E come mai questa scelta ambigua di Miyazaki nell'originale?

C: La sessualità del personaggio di Moro no Kimi non è ambigua, perché viene chiamata mamma. Si tratta di una questione relativa all'interprete scelto. Moro no Kimi è doppiato in originale da Akihiro Miwa, non un doppiatore (e per questo Miyazaki venne criticato), ma un attore, cantante, personaggio televisivo e transessuale. In Italia si potrebbe prendere come corrispettivo, per intenderci, Platinette: la sentiamo parlare con una personalità femminile, ma sappiamo che anagraficamente è un uomo. Tuttavia, per la localizzazione bisogna attenersi alla resa dell'originale nella storia narrata, non alla 'storia della storia'. Akihiro Miwa è stato anche la Strega delle Lande in Howl. Per il doppiaggio italiano della Strega delle Lande è stata scelta all'epoca Ludovica Modugno, bravissima attrice, di grande esperienza e disciplina, nonché dalla grande capacità recitativa. Per la sua voce camaleontica e la sua gamma espressiva, spero di poter ridoppiare Moro no Kimi con lei, se sarà disponibile, perché non riesco ad immaginare un'interprete differente. Io ho calcato il mio modo di lavorare sul 'the making of' di Mononoke Hime, su quello che Miyazaki diceva agli attori per cercare di tirare fuori quello che aveva in testa. Non ho visto il precedente doppiaggio italiano, ma spesso nella tradizione del doppiaggio italiano si cerca di dire cose che suonino bene, che siano eleganti. Al contrario capisco Miyazaki Hayao quando dice che “i doppiatori professionisti dicono sempre di aver capito la battuta, ma in realtà non gli interessa davvero capirne il significato, perché stanno già pensando a dirla in maniera affascinante”. E così nel doppiaggio giapponese degli anime, qualsiasi cosa dicano le bambine dell'animazione giapponese sembra che stiano dicendo: 'sono carina, vero?'. Infatti Miyazaki ha iniziato a utilizzare sempre meno doppiatori d'animazione. In Mononoke Hime, nell'originale Eboshi è doppiata da Tanaka Yuuko, attrice di teatro shakespeariano, dalla voce secca e carismatica. Miyazaki l'ha torchiata moltissimo nel doppiaggio, così come tutti gli altri colleghi di lei. Il monito di Miyazaki è sempre: dillo più semplice, come se lo dicessi a tuo marito, a tua moglie. Cercheremo di seguire il più possibile anche nel doppiaggio l'originale.