Ripensando alla connotazione che il mese di giugno riveste nell'ambito della comunità LGBTQIA+, AnimeClick.it ha optato per proporre una panoramica di alcuni dei titoli più famosi e apprezzati che trattano tematiche ad essa inerenti: possiamo così apprezzare e scoprire -o, perché no, ri-scoprire appieno- opere che hanno contribuito ad avvicinare universi che sembravano inconciliabili.
Per tendersi la mano, verso un mondo che possa essere contraddistinto dal rispetto nei confronti dei sentimenti di ogni possibile colore.
 
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Per celebrare il mese del pride che sta giungendo agli sgoccioli, abbiamo voluto cogliere l’occasione e parlare di un filone che passa spesso in sordina quando si parla di anime e manga a tematica queer, in favore del corrispettivo con protagonisti maschili. Si tratta dello Yuri o GL, abbreviazione di Girls Love al cui centro gravitano storie e sentimenti più o meno ambigui tra ragazze con protagoniste giovani donne.

Per farlo ci sembrava opportuno partire proprio da un titolo estremamente attuale e fresco di messa in onda e stampa, trattasi di Watashi no yuri wa oshigotodesu!, conosciuto come Yuri is my job di cui esiste un anime tratto dal manga omonimo di Miman. Il titolo può essere quindi visto su Crunchyroll con i sottotitoli italiani oppure acquistato nelle fumetterie edito da Edizioni Star Comics.

Questo articolo non vuole essere una recensione dell'opera perché già ne esiste una, bensì vuole utilizzare Yuri is my Job! come punto di partenza per andare a ritroso nel tempo attraverso i suoi tratti caratteristici e cercare di capire come alcune scene, topoi, archetipi e stereotipi che possiamo trovare nella serie (e nel manga) siano arrivati fino a noi.
 
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Però da qualche parte dobbiamo partire, quindi iniziamo dalla trama del nostro capro espiatorio:
 
Hime è la principessa della scuola: ammirata da tutti, non sbaglia mai. Così, quando ferisce accidentalmente Mai, la manager di un cafè, è pronta a sdebitarsi lavorando per non rovinare la sua reputazione. Hime scopre che si tratta di un locale a tema, dove lo staff tutto al femminile finge di frequentare una scuola privata per accontentare al meglio i clienti. Sotto la guida della ragazza più graziosa, Hime non può far a meno che arrossire ed essere goffa. In questo nuovo ambiente scopre ogni giorno qualcosa di nuovo sul suo lavoro e sui suoi sentimenti.

Il locale in cui Hime va a lavorare suo malgrado prende il nome di “Istituto Femminile Liebe” ma è chiaro che non si tratti davvero di una scuola bensì di un “maid cafè” al cui interno è ricostruito in maniera fittizia un istituto comprensivo (di sole quattro studentesse, per inciso). Qui i clienti sorseggiano i loro tè dai nomi floreali e fortemente europei in uno spazio performativo dove le protagoniste, cameriere e attrici, vestono i panni delle studentesse della Liebe e portano sulla pubblica piazza i loro problemi, recitano la loro parte nel performare attaccamenti e screzi con le compagne. I clienti, attendendo che il loro infuso si sciolga nell'acqua calda, potranno parteggiare per una studentessa o per l’altra, e sperare con la forza di mille soli che due studentesse diventino sisters con lo scambio della creuz o che la loro studentessa preferita diventi blumen en liebe, una sorta di presidentessa del consiglio studentesco.
Ovviamente ci si può aspettare che alcuni legami nascano come puramente performativi ma possano mettere radici nel cuore delle protagoniste, altrimenti il titolo non sarebbe yuri.

Leggendo la trama, guardando o vedendo Yuri is my job!, tutto questo non suonerà affatto nuovo per chi già conosce il genere yuri: i nomi europei, lo scambio dei rosari, un sistema gerarchico fatto di onee-sama e kohai, l'istituto femminile, sono tutti elementi che fanno ormai parte di un universo di significazione che un manga e poi il suo corrispondente anime hanno portato alla ribalta nei primi anni del 2000. Sto parlando di Maria-sama ga miteru tratto dal manga di Oyuki Konno. Tra un "Gokigenyō" e l'altro, il saluto esclamato ogni qual volta s'intravedeva la propria Grande sœur camminare con grande eleganza e portamento lungo il cortile dello Yamayurikai, l'istituto cattolico femminile, la serie ha portato nuovamente alla ribalta tutti gli stilemi a cui molti anime e manga hanno attinto nel tempo senza mai fare complimenti.

Ma parlare di yuri equivale a parlare di tematiche queer?
Dipende.
Ci sono un paio di passi indietro da fare per poter comprendere questo universo tanto semplice quanto specifico, poiché esso trae origine da un movimento letterario ben definito, incasellato in un panorama e un contesto storico-sociale piuttosto articolato.
Per capire come siamo arrivati ad avere scuole dai nomi francesi o teutonici pullulanti di donzelle sospiranti, scambi di croci, duetti al pianoforte e serre (che in Yuri is my job! mancano, ma mi sarei aspettata di vederlo: in fondo l’abbiamo in Vampire in the garden, e persino in Gundam Witch From Mercury, anche se ci arriva per vie traverse) bisogna fare un passo indietro, super indietro.
 
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Di fatto Maria-sama ga miteru e di conseguenza Yuri is my job!  traggono il loro vocabolario di segni e situazioni da un sottogenere della letteratura per ragazze che ha finito per diventare la colonna portante delle narrazioni GL/Yuri fino ai giorni nostri: La classe S. Di anime che fanno parte del filone della Classe S, dove S sta per shojo, o anche Sisters, o Experience… insomma, ce ne sono molti. Si tratta di storie ambientate in istituti femminili, luoghi chiusi lontani dalla società esterna in cui le studentesse, spesso di buona famiglia, compiono gli studi prima di sposarsi.

Siamo dunque ai primi del '900 quando si inizia a parlare di shōjo bunka, letteratura per ragazze, assieme alla necessità di fornire un’istruzione alle giovani donne, le future ryōsai kenbo “buone mogli e sagge madri”. In questo periodo vi è una diffusa traduzione di testi letterari importati dall’occidente che vengono tradotti appositamente per educare le giovani giapponesi alla purezza e all'importanza del focolare domestico: tra questi storie come “Piccole donne” e “Anna dai capelli rossi”.
Le shōjo, prima d'ora, non esistevano. Nel senso che non esisteva l'idea che la donna potesse attraversare un'età "adolescenziale" in cui la sua mente desiderava poter essere incline all'evasione, al divertissement e all'esplorazione di sé.
La shōjo diventa quindi un target editoriale particolarmente fiorente nei primi anni del nuovo secolo, con conseguente fiorire di riviste dedicate alle giovani giapponesi, sia per distrarle che educarle. Le narrazioni della shōjo bunka erano caratterizzate da atmosfere sognanti e d’evasione, a differenza della letteratura per ragazzi improntata sui valori del successo personale e della nazione. Una cosa molto interessante sta proprio sulla creazione di universi omo-sociali all’interno degli istituti comprensivi, ovvero scuole esclusivamente femminili, popolate quasi nella loro interezza da ragazze in cui gli uomini o non erano del tutto presenti o rivestivano ruoli marginali.
 
Una bella chiesa innevata presa da Strawberry Panic!, versione un po' più voyeuristica di Maria-sama ga miteru che si rifà, anch'essa, agli stilemi della Classe S portando un po' più in là le relazioni tra le protagonista. Nulla di estremamente esplicito ma si inizia ad andare oltre il mero sentimento di profonda amicizia. Fermo restando che il mondo arcadico tra le mura dell'istituto termina nel momento in cui la studentessa termina gli studi ed esce, già promessa in sposa tramite omiai.


Anche il discorso sull’amore in quegli anni andò a cambiare, portando al centro del dibattito il sentimento dell’amore romantico come base fondante del matrimonio. In questo contesto, sulle riviste dedicate alle ragazze e specificamente su Seitō, nel 1916 iniziò a scrivere e a prendervi parte una giovane scrittrice di nome Nobuko Yoshiya che si impegnò, assieme ad altre colleghe, a creare una letteratura per le donne scritta dalle donne, e non dagli uomini, come avveniva fino a quel momento se ricordiamo ad esempio l'opera Otome no minato di Yasunari Kawabata.

Nobuko Yoshiya fu una scrittrice particolarmente attiva nella sfera della letteratura shōjo ed è proprio a partire dai racconti che essa pubblicava sulle riviste dedicate che la Classe S è divenuto un filone caratterizzato da specifici topoi narrativi. A dare il via a questo tipo di letteratura fatta di scuole europee e sospirate "sorellanze" furono i floreali racconti della scrittrice raccolti nell’antologia Hanamonogatari (Storie di fiori, scritto tra il 1916 e il 1924), da non confondere con l’omonimo arco narrativo della Monogatari Series di Nisioisin che, anche se alla lontana, ha comunque a che fare con quello che stiamo dicendo.
Ogni storia dell'antologia è un fiore: donne e sentimenti delicati come petali, tutte storie dedicate alle shōjo. Un altro elemento che tiene unite le narrazioni della Hanamonogatari e di questo tipo di letteratura è che le giovani donne, superate questi periodi di “praticantato” sentimentale, sono costrette a scendere a patti con i dettami sociali di ciò che è fuori dal loro giardino, sospeso tra fanciullezza ed età adulta, rigorosamente eterosessuale: il matrimonio e un futuro da buone mogli e sagge madri.

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Un altro esempio del concetto dietro la Classe S è Love Lab in cui un gruppo di ragazze crea il Club dell'Amore per poter far pratica di sentimentalismi in vista dei futuri appuntamenti con i ragazzi. Ovviamente l'anime, tratto dal manga di Ruri Miyahara pubblicato su Manga Time Special, mirava a creare un sottotesto yuri tra le protagoniste rimanendo però sempre nell'ambito della sperimentazione giovanile, esattamente come promosso dalla shōjo bunka.


In questi brevi racconti ambientati in luoghi popolati principalmente da ragazze, le giovani lettrici potevano evadere in luoghi esotici come l’Europa e fare esperienza vicaria del sentimento dell’amore con tutte le dolci sfumature che esso potesse avere. Tra le compagne si creavano forti amicizie talvolta assimilabili ad una sorta di amore platonico, ma nulla di ciò era considerato alla stregua dell’amore lesbico per due motivi: intanto la donna non era considerata in grado di poter provare un sentimento romantico o erotico, men che meno per una "sua simile"; d’altro canto era percepito come un fenomeno di sperimentazione platonico della relazione con l’altro, in un mondo in cui, di fatto, "l’altro" erano altre ragazze.

Le abitanti di queste isole scolastiche arrivavano dunque a considerarsi come “sorelle” rispettando rigorosamente le gerarchie d’anzianità. Ecco che nascono i legami tra onee-sama e la propria kohai, dove la prima prendeva sotto la sua ala una favorita con cui intesseva un’amicizia più profonda.
Ricordiamo che in Giappone le donne passavano dall’essere figlie nella casa del padre a mogli nella casa del marito: il poter esplorare un periodo della vita in autonomia, o pensare di avere delle amiche era qualcosa di inaudito; quando ciò accadeva, anche nella finzione, il mondo diventava dipinto di tinte pastello e delicate sfumature mai viste.
Erano sensazioni nuove, quelle descritte in questa letteratura, amicizie “tra uguali” in cui il confine con il romanticismo rimaneva labile: forti sentimenti abbacinanti ma sempre vissuti con rispettosa distanza e platonismo, indice quasi di una volontà di mantenere la donna pura e innocente. Per rendere esplicito il legame tra due "sorelle" si ricorreva allo scambio di un oggetto: un nastro per capelli, un fazzoletto o il famoso rosario, come si vede spesso negli anime più ligi al genere ambientati in istituti cattolici.

Classe S e fantascienza? Simoun, per esempio, riprende alcuni stilemi tipici per spostarsi in un pianeta fantastico in cui le coppie di "sorelle" suggellano la loro unione guidando un carro da battaglia, un po'come fosse Darling in the FranXX. In più, una volta raggiunta l'età adulta, quindi una volta smesso di essere delle shōjo, entrano nella società che cessa di essere omosociale, sintonizzandosi sull'eterosessualità e la procreazione.


In queste storie compaiono per la prima volta i famosi duetti al pianoforte con soavi brani di musica classica o lirica, possibilmente tedesca o francese, performate a quattro mani da una coppia di sorelle rapite dalle emozioni e dalla melodia. Così come possiamo leggere delle sofferte scene di crucci e sentimenti inespressi della kohai che vuole chiedere alla sua onee-sama di scambiarsi l'oggetto che suggellerà il proprio legame. O le sopracitate serre, luoghi liminari, giardini lontani da occhi indiscreti in cui le ragazze potevano godere della vicendevole compagnia.
Si dia il caso, però, che per quanto questo tipo di letteratura possa oggi sembrare parte del dōsei-ai (amore omosessuale) all’epoca non fosse considerato in alcun modo queer.
Nobuko Yoshiya stessa non si sposò mai, tuttavia vestì con abiti considerati all’epoca mascolini e convisse fino alla fine dei suoi giorni con la sua compagna, una docente di matematica che adottò per potersi assicurare che alla sua morte l’eredità andasse a lei; in Giappone, l’adozione era ed è infatti un modo per arginare economicamente la mancanza delle unioni civili. 
Con queste narrazioni di sperimentale affettività tra caste e pure fanciulle, Nobuko Yoshiya riuscì a farsi largo tra le maglie dei tabù, ma da parte degli editor non vi era alcuna intenzione di incoraggiare una letteratura omoerotica: non si pensava nemmeno che le donne potessero avere dei desideri romantici o sessuali, men che meno nei confronti di altre ragazze. Le storie delle giovani finivano infatti spesso in tragedia o con un addio.

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Fu Yaneura no Nishōjo nel 1919 a far uscire dalla desolazione e dalla tragedia la storia delle giovani donne. La storia ha tinte autobiografiche ed è immersa nell'ambientazione che ormai conosciamo bene: la scuola femminile, poiché Nobuko Yoshiya stessa aveva studiato a Tokyo in un istituto simile.
Vi si narrano le vicende di Akiko e il suo ingresso al dormitorio scolastico femminile, sin quando inizia a farsi qualche amica e si innamora di Akitsu. Quest'ultima però è promessa in sposa ad un giovane; ma tornerà sui suoi passi per chiedere ad Akiko di provare a costruire insieme un futuro. 

La letteratura prosastica, poi ripresa dalla letteratura manga, ha riversato tutto ciò nello yuri: nel 1957 ci fu Sakura Namiki, l'ultimo baluardo della Classe S prima di venir colpita dall'ascia del controllo sociale. Appena prima vi era stato Secret Love del 1957, il primo manga a rappresentare una relazione tra donne senza mettere in mezzo sorelle, scuole cristiane o Ave Maria di sorta. Vero anche che la relazione tra le due protagoniste aveva poca esplicitazione, con un favore pressante nei confronti della coppia eterosessuale. Passano poi gli anni, e nel 1971 molto famoso diviene Shiroi heya no futari (Le due nella stanza bianca) di Ryōko Yamagishi, membro del Gruppo 24, complesso di shōjo mangaka rivoluzionarie tra le quali vi figurano anche Ryoko Ikeda e Moto Hagio. Sarebbe stato il primo manga a riadattare lo stile della Classe S, e a mostrare sulle sue pagine un bacio tra due donne, tuttavia mantenendo i noti finali negativi.
Lo yuri inteso come genere subisce poi una brusca repressione fino all'inizio del ventunesimo secolo, a partire dal sopracitato Maria-sama ga miteru, a cui seguono Strawberry Panic!, Aoi Hana di Takako Shimura, e altri che ne interiorizzano i tratti più importanti.

Abbiamo quindi visto, anche tramite le varie didascalie, come diversi elementi presenti nelle narrative della Classe S siano diventati di riverbero nella shōjo bunka e nello yuri.
Sin qui abbiamo soltanto nominato alcune serie che hanno inglobato le scene o i tratti tipici: si è partiti dal lontano 1916 con la letteratura per future madri e mogli. Con l'inizio delle Hanamonogatari di Nobuko Yoshiya si è sancito indelebilmente il punto di inizio che ha generato gli elementi caratteristici del genere: recite teatrali, serre, luoghi intimi e ambigui rapporti di sorellanza.
Le origini letterarie si sono poi tramutate in manga ma si trattava, appunto, pur sempre di letteratura d'evasione priva di intenti rappresentativi della comunità LGBTQIA+.
Però possiamo dire di aver ricostruito almeno concettualmente la strada che ha portato la nascita di una serie come Yuri is my Job! ai giorni nostri, che non parodizza ma riutilizza tali elementi in maniera esplicita, come in sordina hanno fatto tanti anime e manga.


Fonti consultate:
Paola Scrolavezza, traduzione di Hanamonogatari di Nobuko Yoshiya (2020)
Erica Friedman, "Women Loving Women in Modern Japan" su Okazu;
Erica Friedman, "Why is it always Catholic schoolgirls" su Okazu
Erica Friedman, "Proto Yuri Novel 'Otome no minato'" su Okazu
Teresa Palminiello (2013) Hanamonogatari e la letteratura per ragazze giapponese
Hiromi Tsuchiya Dollase (2003) "Early Twentieth Century Japanese Girls' Magazine Stories: Examining Shōjo Voice in Hanamonogatari"
Hiromi Tsuchiya Dollase (2001) "Yoshiya Nobuko's "Yaneura no nishojo": In Search of Literary Possibilities in "Shōjo" Narratives Author(s): Hiromi Tsuchiya Dollase"