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Come avevo scritto per la storica serie che da vent'anni ci appassiona, una grave pecca de “I Cavalieri dello Zodiaco” è sempre stata il finale.
Ma a quanto pare, l’eco delle voci dei fan è riecheggiata a tal punto che, dopo tanti anni dall’ultimo prodotto animato sui Santi di Atena, i nostri eroi tornano a vestire le loro armature per dare vita a quella parte conclusiva, il <i>vero</i> finale delle loro avventure, di cui finora aveva goduto unicamente della versione cartacea.

Ecco che prende forma allora la saga di “Hades”. Questa volta viene scelto il formato OAV, cioè episodi editi principalmente per il mercato dell’home video, di solito con due puntate per ciascun DVD.
Non solo, si decide di spezzettare la serie in tre parti, tante quanti sono gli “step” che stavolta i Cavalieri dovranno superare: Santuario, Inferno e Campi Elisi.
La prima serie di episodi che vede la luce, quindi, è quella legata al Santuario, l’inizio di questa grande epopea, l’ultima dei Cavalieri della giustizia di Atena, e dell’epica battaglia contro Hades, che si ripropone a distanza di più di duecento anni dalla prima, dalla quale dipendevano anche i precedenti scontri che tanto hanno fatto penare “gli adolescenti in armatura”.

Fin dall’inizio s'intuisce che il vecchio standard della serie classica viene ormai considerato sorpassato, perciò quasi del tutto ignorato.
Cronologicamente, non è passato che un soffio di tempo tra la saga di Poseidone e quella di Hades, eppure adesso i Cavalieri risultano assai più maturi, e la loro fase di adolescenza e giovinezza è ufficialmente conclusa. Ma hanno mai realmente goduto di questa giovinezza che un tempo gli apparteneva? Dando una rapida occhiata alla loro vita, finora probabilmente no, ma certo è che adesso i Saint sono diventati uomini, assai lontani dalla figura dei ragazzini che si buttavano a capofitto nelle battaglie e si prendevano gioco dell’avversario, a volte quasi in maniera esageratamente spavalda.
I Cavalieri di adesso sono più riflessivi, e comprendono il peso delle responsabilità che gravano sulle loro spalle; un fardello molto più pesante della cloth che contraddistingue ognuno di loro, e che nulla ha a che fare con i propositi iniziali di ciascuno. Propositi che sono serviti soltanto a dare loro il pretesto per diventare combattenti, e che tuttavia in cuor loro vivranno sempre.
Si può dire che i Cavalieri di adesso hanno raggiunto la consapevolezza, lo stadio ultimo della vita, che li porta a comprendere cosa è realmente giusto e cosa non lo è, quando e come agire e quando invece andare avanti.

Tutto questi elementi che pesano sui protagonisti si capiscono anche dal modo in cui viene sceneggiato l’anime.
Nel corso degli episodi non vi sono più quelle scene movimentate di combattimenti e sballottamenti vari: la maggior parte dello spazio, sia negli scontri che non, è occupato da scene riflessive. In alcune di esse il personaggio del momento si ferma e dei monologhi di pensiero spaziano nella sua mente; altre volte invece capita che la scena sia priva di parole, con pensieri che nemmeno allo spettatore sono dati di sapere, perché sostituiti da un silenzio che di sicuro vale e fa capire tante cose, molto più del parlato.
Come dicevo, anche i combattimenti risultano rallentati. Si dà ampio campo all’introspezione di ogni personaggio, perlomeno dei più importanti.
Personalmente, questo <i>modus operandi</i> è riuscito a farmi affezionare ai personaggi, sia buoni sia cattivi, più di quanto forse non sia riuscita a fare la serie classica, perché ho rimpianto ognuno di essi dopo un’eventuale scomparsa.

Da notare, in particolare, il soffermarsi della serie sulla religione Buddhista. Grazie al Cavaliere della Vergine, ci viene dato modo di meditare su quanto profonda sia tale religione, con tutti i suoi perché, e, seppur non in modo eccessivamente approfondito, siamo messi in condizione di carpire alla fine i pensieri che la contraddistinguono, in modo specifico quello sulla vita e sulla morte.

Grande uso viene fatto, purtroppo, della computer grafica. Anzi, sarebbe più corretto dire “abuso”.
In pratica viene usata per fare quasi tutto: dai colpi lanciati, agli sfondi, fino alle scene in movimento, e viene usata anche per la prima vestizione di Seiya/Pegasus, per fortuna un sistema non più utilizzato negli episodi successivi.
Questo uso eccessivo del pc tende a snaturare la serie in sé, la quale, malgrado tutto, gode di disegni piuttosto buoni e di animazioni che non presentano eccessive pecche.

Da segnalare, inoltre, la superba opening di quest’anime: Chikyugi, una delle canzoni più belle che mai potessero fare da sigla di apertura per una serie, e che, insieme alla caratterizzazione dei personaggi e alla regia, va a concludere il quadro introspettivo di cui sopra.

Infine, anche questa volta c’è da menzionare il doppiaggio.
A richiesta dei fan italiani, Ivo de Palma riprende il lavoro del suo maestro Carabelli, dando, ove possibile, la voce storica a ciascun personaggio della serie classica, pur facendo a meno di tutte quelle imperfezioni e cambi di doppiatore che rappresentano una delle note dolenti del doppiaggio storico. Si riesce così a ottenere una continuità anche “italiana” dell’anime, con testi non più inventati di sana pianta e colmi di citazioni classiche per rendere le scene ancora più epiche, ma tuttavia efficaci e abbastanza fedeli al parlato nipponico.

In conclusione, anche se così diversa dalla serie storica in termini tecnici, la saga di Hades renderà felici tutti i fan de “I Cavalieri dello Zodiaco” che tanto hanno pregato affinché i loro beniamini tornassero a farci sognare con le loro storiche battaglie in nome di tutto quanto sia giusto al mondo, lottando sempre e comunque contro il male, e rischiando ogni volta la propria vita per il trionfo degli ideali in cui si crede.