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“Full Metal Panic!” è un anime del 2002 costituito da ventiquattro episodi di durata canonica e tratto dall’omonima serie di light novel ideata da Shōji Gatō e illustrata da Shiki Dōji.

Trama: in un mondo in cui la guerra fredda non è mai terminata e il progresso tecnologico è avanzato al punto di dotare numerosi corpi armati di mecha da combattimento noti come Arm Slave, la compagnia internazionale Mithril, che riunisce mercenari provenienti da tutto il mondo e che non parteggiano per nessuno dei due blocchi, vigila sulla “pace” e si occupa di annientare con prontezza organizzazioni criminali e gruppi terroristici.
Quando le misteriose potenzialità della liceale Kaname Chidori suscitano l’interesse di alcuni loschi figuri, la Mithril infiltra presso la sua scuola Sousuke Sagara, soldato sedicenne che non ha mai conosciuto altro mondo all’infuori di quello militare, per proteggere l’ignara giovane.

“Full Metal Panic!” è una serie che scaraventa fin da subito lo spettatore in una vicenda carica di tensione e violenza, in cui la grande attenzione riversata nella descrizione di apparati bellici e dettagli tecnici è accompagnata da elementi sovrannaturali che rendono il tutto ancora più intrigante e inquietante.
Non per questo l’opera in questione rinuncia a sequenze più leggere e divertenti, soprattutto nelle prime puntate, complici il sangue bollente che scorre nelle vene di Chidori, metà donzella in pericolo e metà forza della natura, e l’incapacità di Sagara di adattarsi allo stile di vita dei civili e di comportarsi in maniera discreta durante i propri appostamenti.
Questi attimi di quiete e ilarità, mai troppo prolungati, per evitare un eccessivo contrasto tonale, contribuiscono a illustrare l’alchimia tra i due protagonisti, magari un po’ affrettata ma comunque coinvolgente, e tra questi ultimi e le altre figure principali. Se i commilitoni di Sagara si rivelano come piuttosto stereotipati e scarsamente approfonditi a livello introspettivo, e la dolce Teresa Testarossa sorprende per la commistione di goffaggine e autorità professionale, una menzione d’onore la merita l’antagonista, un autentico malvagio da manuale: preparato, crudele e sempre in controllo, anche quando sembra obbedire a ordini superiori, ma privo di motivazioni degne di nota.

Il comparto tecnico è di buon livello: le animazioni, nonostante alcuni cali, sono piuttosto curate, sia per quanto riguarda le frequenti scene d’azione, non di rado epiche e brutali, che quelle più rilassate e di vita quotidiana e le frenetiche gag.
Ottimo anche il character design, molto gradevole e proporzionato e, cosa piuttosto insolita, considerata la presenza di diversi personaggi femminili molto avvenenti, interessato da una limitata quantità di fanservice sessuale (presente, ma non invasivo), soppiantato da quello tecnico: numerosi dialoghi e inquadrature sono impiegati per permettere allo spettatore di ammirare l’attenzione maniacale riversata nella progettazione di armi, ambientazioni artificiali, Arm Slave e altri dettagli legati alla sfera militare. I mecha, in particolare, sono contraddistinti da un aspetto più compatto e sgraziato per i modelli obsoleti e più slanciato ed elegante per quelli più avanzati.
Solo la CG, usata soprattutto nella realizzazione del Tuatha de Danaan, l’avveniristico sottomarino che funge da quartier generale della Mithril, tende ad essere particolarmente evidente e aggressiva, ma è raramente affiancata all’animazione tradizionale, minimizzando così l’eventuale impatto.
La colonna sonora è generica ma orecchiabile, con pochi brani che spiccano al di sopra della media, tra cui la sigla di chiusura, un brano dolce ed energico allo stesso tempo. Il doppiaggio giapponese è molto espressivo e praticamente perfetto, anche troppo: la facilità con cui è possibile prevedere il tipo di voce che avrà ogni personaggio è quasi spaventosa.

“Full Metal Panic” è una serie d’animazione che brilla nei suoi momenti più cupi e drammatici e nella crudezza di alcune situazioni, che non esita a contaminare con elementi fantascientifici e altri quasi misticheggianti, affrontando entrambe le componenti con una buona dose di autoconsapevolezza. I difetti principali consistono, invece, in un senso di incompletezza e insoddisfazione che pervade il finale e, paradossalmente, nel cast stesso: se alcune delle relazioni che i personaggi intrattengono reciprocamente sono interessanti o, nel peggiore dei casi, godibili, per quanto ampiamente note e trite, lo stesso non è possibile affermare per i personaggi presi singolarmente, quasi tutti stereotipati.
Nonostante tutto, il prodotto è scorrevole ed entusiasmante, perfettamente in grado di intrattenere il pubblico per tutta la sua durata, che si tratti di archi narrativi dedicati a banali triangoli sentimentali o a serrate battaglie all’ultimo sangue.
Inutile dire che mi ha preso a sufficienza da convincermi a interessarmi all’intero franchise, compresi sequel e spin-off.