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8.5/10
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"Voglio connettermi, ma..."

E' inevitabile, nella vita, intrecciare relazioni. L'uomo è un animale sociale, che ha bisogno di aggregarsi in gruppi per sopravvivere; l'esistenza di ciascun individuo viene comprovata dalle iterazioni con il prossimo. La società non sa che farsene di chi non ha più "inizio, fine e connessioni".

Ma questo "obbligo a relazionarsi" sull'individuo ha una valenza positiva o negativa? L'uomo è il peggior nemico dell' "altro-da sè", si muove per semplice cinismo e convenienza, o è una creatura benevola e altruista che viene deviata da nefaste circostanze? Per secoli filosofi si sono interrogati sull'ambivalenza della natura umana: dopo Aristotele, Hobbes, Rousseau, Sartre, nel 2019 Kunihiko Ikuhara, regista noto in Italia per "Mawaru Penguindrum" e "Utena la ragazza rivoluzionaria", prova a dire la sua sulla questione.

"Sarazanmai" ha un soggetto, come consuetudine dell'autore giapponese, a dir poco bizzarro. Tre bambini giapponesi di nome Kazuki, Enta e Toi sono obbligati da una serie di sfortunati eventi a stringere un patto con il principe dei kappa Keppi. In cambio del loro "shirikodama" (un organo che, secondo il folklore nipponico, viene rubato attraverso l'ano) e del loro contributo nella sconfitta dei kappa-zombie, i tre bambini potranno collezionare cinque "piatti della speranza", e per mezzo di questi realizzare un desiderio. La missione verrà ostacolata a più riprese da due misteriosi poliziotti di nome Mabu e Reo, dall'organizzazione delle lontre nemica dei kappa e, soprattutto... dai bambini stessi, disposti a sacrificare la loro amicizia pur di non vedere rivelati i propri segreti .

Cosa è il "sarazanmai" che i nostri protagonisti invocano durante ogni battaglia? Secondo le mie ricerche "sara" in giapponese significa "piatto", sia in senso di pasto che di oggetto. "San" è tre e "mai" può intendersi sia come piano, che come banco. La prima traduzione di "sarazanmai" è dunque "tre piatti piani", come quelli indossati dai protagonisti in forma kappa. "Sanmai" scritto 三昧 è un termine, di origine buddista, che rappresenta uno stato di intensa meditazione, rappresentato nell'anime dalle sequenze dei "leak". Se usato come suffisso, il termine "-zanmai" può essere anche tradotto "immerso/intento in". I kappa-zombie dicono di essere ossessionati da qualcosa-zanmai, di solito un oggetto fisico che è stato loro sottratto e che simboleggia un legame.

Un bel macello, vero? Eppure l'anime scorre che è una meraviglia, come poche altre serie firmate Ikuhara. Il messaggio al termine degli undici episodi arriva forte e chiaro, ed è una volta tanto carico di speranza. Per quante volte un legame (il miçanga, in questo caso) possa spezzarsi o essere messo da parte causa torpore quotidiano, gretto materialismo, ragioni opportunistiche, se le parti in causa ci credono, può essere ricucito. E un legame può salvare una persona in un mondo dove "solo i malvagi sopravvivono", se è motivato da oneste intenzioni. Se in "Neon Genesis Evangelion" bisognava imparare a "volersi bene" per "volere bene a", qui è l'esatto contrario.

Lo scarso numero di episodi a disposizione ha obbligato la storia a non deviare mai dai tre protagonisti, Kazuki, Enta e Toi, che sono ben delineati in come si esprimono e interagiscono tra loro, senza risultare mai scontati o strumentali alla narrazione. Tre protagonisti a cui è difficile non affezionarsi, insieme a Keppi, che regge mezza serie da solo con i suoi istrionici siparietti, e a Mabu e Reo, perfetti interpreti di quella "adultità" che si è persa dietro un desiderio narcisistico. I simboli sono limitati agli onnipresenti "piatti" e al dualismo kappa-lontre, a mio avviso traducibili nell'eterno conflitto tra ('spoilerino') altruismo e egoismo insito nella natura umana. Grazie alle eccellenti animazioni di studio Mappa, alle adorabili canzoncine e alle due splendide sigle, tra le migliori dell'annata, "Sarazanmai" è una continua festa per occhi e orecchie.

"Sarazanmai" è dunque l'opera più facilmente fruibile e leggera di Ikuhara, nonché un ottimo punto di accesso per la comprensione di "Mawaru Penguindrum" e "Utena". Se vi ha divertito "Sarazanmai", il consiglio spassionato è di recuperare le altre due, per poi passare a "Yuri Kuma Arashi", il quale, pur essendo il lavoro meno riuscito, ha una spiccata personalità. Per quanto mi riguarda, sono felice di aver "restaurato una connessione" con uno dei miei registi giapponesi preferiti.