Theatre of Darkness: Yamishibai 4
Introduzione
Se dovessi cominciare a riassumere questa quarta stagione della serie, direi che è decisamente sottotono rispetto alle prime tre che l'hanno preceduta. Cosa significa? Significa che i singoli episodi accumulano tensione e suspence, ma finiscono per bloccarle nel momento decisivo, in cui invece esse dovrebbero esplodere al massimo della propria potenza, cioè non c'è un vero e proprio epilogo per ciascuno dei singoli episodi, tutto viene lasciato in sospeso. Ora, questo può avere anche un risvolto positivo, perché, non dichiarando il finale, permette anche allo spettatore di immedesimarsi e di concedersi una certa libertà di interpretazione delle vicende, ma dall'altro canto soffoca anche delle risorse preziose e le spreca nel nome di qualche morale o qualche principio (che c'entri il fatto che questa è la quarta stagione, e il numero quattro, come sappiamo da tradizione nella cultura estremo orientale, è un numero di pessimo auspicio, e in nome di questo aspetto si è ridotta al minimo l'intensità e la potenza narrativa delle vicende, per rispettare questa superstizione, giacché il numero quattro è associato al concetto di morte per via della pronuncia?). Sta di fatto che la maggior parte delle mini-avventure di questa stagione si conclude quasi sempre in un nulla di fatto, e questo indebolisce notevolmente l'intensità e la potenza narrativa delle medesime, lasciando allo spettatore un certo amaro in bocca.
Grafica e colonna sonora
La grafica è rimasta invariata, una fusione di CGI, disegni a matita e sagome di carta, per rappresentare i personaggi. Lo stile narrativo è come sempre molto lento, e questo oggettivamente va bene, al fine di mantenere la giusta atmosfera di tensione, suspence, ansia e angoscia. Tuttavia, questa diventa monolitica e, come già detto sopra, in un certo senso si inibisce, congela, si blocca, per poi auto-fagocitarsi, lasciando appunto le vicende in sospeso e senza un finale chiaro e preciso. Che si tratti magari di una scelta dei produttori anche per mettere lo spettatore nella posizione di non prendersi troppo sul serio quando guarda queste vicende? Chi lo sa. Tutto questo viene poi rimarcato dalla colonna sonora, che rimane anch'essa sospesa tra sonorità cupe e inquietanti e appositi silenzi che non fanno che rimarcare il senso di disagio, angoscia, ansia, provato anche, e soprattutto, dai protagonisti delle vicende.
Interpretazione e messaggi
A causa del fatto che le vicende non hanno un finale sempre chiaro, questo ultimo elemento viene lasciato alla discrezione dello spettatore, così come quello dei messaggi e delle lezioni che esso astrae dalla visualizzazione delle stesse. In base ai contenuti scelti per questa stagione, possiamo dire che gli autori e i produttori hanno preferito ritornare un attimo con i piedi per terra, e quindi hanno deciso di proporre qualcosa di più leggero, per fare rilassare lo spettatore (ovviamente, con il proposito di fargli tenere comunque la guardia e il senso di vigilanza attivo per le prossime stagioni).
Giudizio finale
Una stagione piuttosto altalenante nei contenuti, salvo qualche eccezione, dove riemerge, anche se sporadicamente, il giusto livello di tensione, suspence, angoscia, ansia e terrore. Una sorta di piccoli brividi, non troppo profondi, ma con l'intento di far concentrare lo spettatore anche sui piccoli-grandi orrori della vita quotidiana di tutti i giorni.
Voto: 7,5
Se dovessi cominciare a riassumere questa quarta stagione della serie, direi che è decisamente sottotono rispetto alle prime tre che l'hanno preceduta. Cosa significa? Significa che i singoli episodi accumulano tensione e suspence, ma finiscono per bloccarle nel momento decisivo, in cui invece esse dovrebbero esplodere al massimo della propria potenza, cioè non c'è un vero e proprio epilogo per ciascuno dei singoli episodi, tutto viene lasciato in sospeso. Ora, questo può avere anche un risvolto positivo, perché, non dichiarando il finale, permette anche allo spettatore di immedesimarsi e di concedersi una certa libertà di interpretazione delle vicende, ma dall'altro canto soffoca anche delle risorse preziose e le spreca nel nome di qualche morale o qualche principio (che c'entri il fatto che questa è la quarta stagione, e il numero quattro, come sappiamo da tradizione nella cultura estremo orientale, è un numero di pessimo auspicio, e in nome di questo aspetto si è ridotta al minimo l'intensità e la potenza narrativa delle vicende, per rispettare questa superstizione, giacché il numero quattro è associato al concetto di morte per via della pronuncia?). Sta di fatto che la maggior parte delle mini-avventure di questa stagione si conclude quasi sempre in un nulla di fatto, e questo indebolisce notevolmente l'intensità e la potenza narrativa delle medesime, lasciando allo spettatore un certo amaro in bocca.
Grafica e colonna sonora
La grafica è rimasta invariata, una fusione di CGI, disegni a matita e sagome di carta, per rappresentare i personaggi. Lo stile narrativo è come sempre molto lento, e questo oggettivamente va bene, al fine di mantenere la giusta atmosfera di tensione, suspence, ansia e angoscia. Tuttavia, questa diventa monolitica e, come già detto sopra, in un certo senso si inibisce, congela, si blocca, per poi auto-fagocitarsi, lasciando appunto le vicende in sospeso e senza un finale chiaro e preciso. Che si tratti magari di una scelta dei produttori anche per mettere lo spettatore nella posizione di non prendersi troppo sul serio quando guarda queste vicende? Chi lo sa. Tutto questo viene poi rimarcato dalla colonna sonora, che rimane anch'essa sospesa tra sonorità cupe e inquietanti e appositi silenzi che non fanno che rimarcare il senso di disagio, angoscia, ansia, provato anche, e soprattutto, dai protagonisti delle vicende.
Interpretazione e messaggi
A causa del fatto che le vicende non hanno un finale sempre chiaro, questo ultimo elemento viene lasciato alla discrezione dello spettatore, così come quello dei messaggi e delle lezioni che esso astrae dalla visualizzazione delle stesse. In base ai contenuti scelti per questa stagione, possiamo dire che gli autori e i produttori hanno preferito ritornare un attimo con i piedi per terra, e quindi hanno deciso di proporre qualcosa di più leggero, per fare rilassare lo spettatore (ovviamente, con il proposito di fargli tenere comunque la guardia e il senso di vigilanza attivo per le prossime stagioni).
Giudizio finale
Una stagione piuttosto altalenante nei contenuti, salvo qualche eccezione, dove riemerge, anche se sporadicamente, il giusto livello di tensione, suspence, angoscia, ansia e terrore. Una sorta di piccoli brividi, non troppo profondi, ma con l'intento di far concentrare lo spettatore anche sui piccoli-grandi orrori della vita quotidiana di tutti i giorni.
Voto: 7,5
«Yami Shibai 4» è la quarta parte dei racconti brevi, inquietanti e autoconclusivi a cura dello studio di animazione Ilca, che ha curato anche le serie precedenti.
Riesumando un'antica arte narrativa diffusasi in Giappone nella prima metà del XX secolo e ormai scomparsa, dove si raccontavano semplici ma appassionanti storie ai bambini, utilizzando un palcoscenico in miniatura e delle piccole scenografie in legno, si è voluta trasformarla in qualcosa di oscuro e adattarla con una particolare grafica allo schermo.
La serie riprende la vecchia strada, abbandonata nella terza serie, della presenza del narratore mascherato ad inizio episodio, solo che, a differenza delle prime serie, sembra che ogni episodio sia presentato da un personaggio diverso: alle sembianze seppur identiche corrisponde un doppiaggio sempre diverso, con toni marcatamente e volutamente non confondibili; nel corso degli episodi non verrà spiegata tale stranezza.
Le differenze con le precedenti serie sono notevoli sia a livello visivo che narrativo: mentre nelle precedenti si introduceva la storia con una singola frase e nell'ultima non si pronunciava alcuna parola, in questa il narratore sarà sempre presente, quasi a sovrapporsi con i dialoghi presenti negli episodi. Probabilmente l'idea di base era quella di avvicinarsi il più possibile all'origine del kamishibai, dove era unicamente il narratore a illustrare la storia, idea non troppo riuscita, in quanto talvolta la sua massiccia presenza non permetterà di immedesimarsi negli "attori" dell'episodio di turno e di gustarsi appieno la visione. Il tutto ricorda la sgradevole sensazione di vedersi un film al cinema mentre il vicino di posto che aveva visto precedentemente il film ci racconta gli eventi.
Espediente grafico utilizzato per la prima volta è quello di utilizzare piccole scene reali e di mischiarle a quelle animate. Il minutaggio rimane estremamente breve come quello delle serie precedenti; considerando le varie novità, il tutto risulterà molto concentrato.
Come narrato, risulta essere la serie più debole, forse penalizzata da scelte discutibili, in quanto le trame di fondo dei vari episodi sono interessanti; gli episodi più riusciti sono il quarto, il dodicesimo e il tredicesimo. L'ending, "Yume Oi Bito", cantata da Takuto, è, a differenza di tutte le precedenti scelte, dolce e tranquilla.
Consigliato a chi ama le storie horror e a coloro a cui non dispiace una grafica sperimentale.
Riesumando un'antica arte narrativa diffusasi in Giappone nella prima metà del XX secolo e ormai scomparsa, dove si raccontavano semplici ma appassionanti storie ai bambini, utilizzando un palcoscenico in miniatura e delle piccole scenografie in legno, si è voluta trasformarla in qualcosa di oscuro e adattarla con una particolare grafica allo schermo.
La serie riprende la vecchia strada, abbandonata nella terza serie, della presenza del narratore mascherato ad inizio episodio, solo che, a differenza delle prime serie, sembra che ogni episodio sia presentato da un personaggio diverso: alle sembianze seppur identiche corrisponde un doppiaggio sempre diverso, con toni marcatamente e volutamente non confondibili; nel corso degli episodi non verrà spiegata tale stranezza.
Le differenze con le precedenti serie sono notevoli sia a livello visivo che narrativo: mentre nelle precedenti si introduceva la storia con una singola frase e nell'ultima non si pronunciava alcuna parola, in questa il narratore sarà sempre presente, quasi a sovrapporsi con i dialoghi presenti negli episodi. Probabilmente l'idea di base era quella di avvicinarsi il più possibile all'origine del kamishibai, dove era unicamente il narratore a illustrare la storia, idea non troppo riuscita, in quanto talvolta la sua massiccia presenza non permetterà di immedesimarsi negli "attori" dell'episodio di turno e di gustarsi appieno la visione. Il tutto ricorda la sgradevole sensazione di vedersi un film al cinema mentre il vicino di posto che aveva visto precedentemente il film ci racconta gli eventi.
Espediente grafico utilizzato per la prima volta è quello di utilizzare piccole scene reali e di mischiarle a quelle animate. Il minutaggio rimane estremamente breve come quello delle serie precedenti; considerando le varie novità, il tutto risulterà molto concentrato.
Come narrato, risulta essere la serie più debole, forse penalizzata da scelte discutibili, in quanto le trame di fondo dei vari episodi sono interessanti; gli episodi più riusciti sono il quarto, il dodicesimo e il tredicesimo. L'ending, "Yume Oi Bito", cantata da Takuto, è, a differenza di tutte le precedenti scelte, dolce e tranquilla.
Consigliato a chi ama le storie horror e a coloro a cui non dispiace una grafica sperimentale.