Al giorno d'oggi c'è talmente tanta sperimentazione nel mondo del gaming che creare qualcosa di completamente originale spesso risulta un'impresa titanica. Per far fronte a questa situazione senza cadere nel banale, molti sviluppatori hanno iniziato a optare per stravolgere solo qualche componente di una base già consolidata, in modo da lasciare il proprio marchio senza rischiare troppo.
È esattamente questo ciò che Mercury Steam, già autori di titoli discussi come i due Castlevania: Lords of Shadow ma anche di quella piccola bomba che risponde al nome di Metroid Dread, ha voluto fare con il suo nuovo titolo, Blades of Fire, la sua prima IP completamente nuova dopo cinque anni di pausa. Noi abbiamo passato diverse ore in compagnia dello sgangherato duo di protagonisti e oggi siamo pronti a raccontarvi nella nostra recensione cosa funzioni e cosa no nell'ultima produzione del team spagnolo.
 
Aran e Adso sono il duo che non sapevate di volere

La storia di Blades of Fire comincia completamente in medias res (forse anche troppo), in un mondo dove la malvagia regina Nerea ha lanciato un incantesimo che ha trasformato tutto l'acciaio del regno in pietra, causandone la rovina. Noi vestiremmo i panni di Aran de Lira, un uomo di mezza età che si ritrova a suo malgrado coinvolto in qualcosa più grande di lui quando il suo caro amico, l'anziano Abate Dorin, viene ucciso davanti ai suoi occhi e quelli del suo protetto, Adso de Zelk. Il vecchio era andato a cercare il suo amico per consegnargli un misterioso manufatto: uno dei sette martelli che si dice abbiano forgiato il mondo. Non appena il nostro eroe interagisce con la reliquia viene istantaneamente trasportato alla forgia degli dei, un luogo fuori dal tempo dove l'incantesimo della regina non ha effetto e la forgiatura in metallo è ancora possibile.
Con questa nuova possibilità e la guida di Adso, Aran decide di intraprendere una crociata per fermare la regina, in quanto sembra essere in qualche modo legato a lei da una conoscenza passata.
 
Aran imparerà molto velocemente a sfruttare il suo nuovo potere

La premessa narrativa derivante dall'acquisizione del martello non è solamente un pretesto di trama, ma anche il punto di partenza della componente centrale della produzione: la forgiatura. Utilizzando i materiali raccolti sconfiggendo i nemici o esplorando, Aran dovrà creare le proprie lame, scegliendo da una selezione piuttosto ampia, che spazia dai martelli alle spade corte, doppie asce, lance oppure claymore; ogni arma bianca ha diverse caratteristiche da tenere in considerazione, che saranno determinate dal tipo di metallo usato in fase di forgiatura. Gli sviluppatori hanno curato molto questa parte, permettendo di personalizzare ogni singola componente dell'arma, dunque non solo la lama, ma anche la punta, la guardia, l'impugnatura e il pomello, elementi che modificheranno il suo peso, la velocità dei fendenti, la capacità di guardia, il danno e la resistenza prima che si spezzi.
Una volta completata la fase di progettazione, sarà il momento della forgiatura, che avverrà tramite un non troppo divertente minigioco, dove dovremo colpire la forma fusa regolando potenza e angolazione per fare in modo che le barre presenti su schermo si allineino il più possibile al disegno, quanto più saremo precisi tante più volte l'arma potrà essere riparata (e, fortunatamente, dopo la prima forgiatura potremo optare di creare nuovamente la tipologia di arma della massima qualità raggiunta, saltando il minigioco).
C'è da dire che questo sistema, per quanto ben studiato, presenta una falla legata alla disponibilità di materiali, il più delle volte infatti non si tornerà nelle aree rivisitate solo per farmare nemici specifici a creare un determinato metallo, costringendoci a forgiare semplicemente con il meglio che avremo a disposizione in quel momento.

Anche quando si saranno rotte completamente, le armi non diventeranno totalmente inutili, poiché entrerà in gioco l'aiuto di Glinda, strega dei boschi e maestra forgiatrice che viaggia su una casa piazzata su un gigantesco scarabeo come una novella Baba Jaga, che le ritirerà e ci fornirà materiali extra quanti più nemici avremo eliminato con esse.

Combattimento alla mano il titolo è un mix tra Sekiro e i recenti God of War: potremo infatti decidere di parare o schivare i colpi avversari, tuttavia la tipologia di arma scelta sarà fondamentale, in quanto ogni nemico sarà debole a un'arma diversa e andrà colpito in un punto particolare (indicato in verde quando li prenderemo di mira), ecco quindi che uno scheletro si potrà schiacciare brutalmente con un martello, mentre un troll di montagna andrà smembrato a suon di spadate e un soldato corazzato andrà punzecchiato nei punti deboli dell'armatura.

Quando non staremo combattendo il titolo si porrà come un esplorativo con componenti metroidvania, troveremo infatti forzieri con oggetti per potenziare vita e stamina e statue a cui mostrare specifiche tipologie di armi per ottenerne nuove parti. Qui purtroppo però ricade il difetto più grosso della produzione: la troppa libertà lasciata al giocatore. Il titolo, infatti, non ci darà mai segnalini per le missioni o indicazioni precise, ma solo suggerimenti vaghi su dove andare, cosa che non sarebbe un problema, se non fosse che, spesso e volentieri, il "passaggio corretto" per proseguire designato dagli sviluppatori richiede ragionamenti totalmente fuori dagli schemi, ad esempio, girovagando per una fortezza, ci siamo imbattuti in un cancello che, per essere aperto, richiedeva una chiave, cosa che ci ha fatto girare come delle trottole per una buona mezz'ora cercandola, quando in realtà la soluzione per proseguire era un buco nel muro alle spalle del suddetto cancello, completamente nascosto da barili e detriti e impossibile da notare in alcun modo. E questa è solo una delle tante situazioni che ci ha fatto perdere fin troppi minuti.
 
I combattimenti vi terranno sempre sull'attenti

Dal punto di vista tecnico il gioco si difende bene, la versione PlayStation 5 da noi testata ha mantenuto i 60fps granitici e nel complesso le ispirazioni fantasy sono ben caratterizzate, anche se non si tratta mai di cose mai viste o panorami da far cadere la mascella. La trama principale ci ha portato via poco più di una ventina di ore, arrivando probabilmente di poco sotto le 30 se si decide di esplorare tutto e intraprendere le varie missioni secondarie.
Un punto a favore vogliamo darlo anche al duo di protagonisti, Aran e Adso infatti, nonostante vengano forzati alla collaborazione dalle circostanze, interagiscono in maniera eccezionale, tra frecciatine, consigli e situazioni surreali in grado di sviluppare la relazione tra i due in maniera genuina.

 
Blades of Fire è un titolo che oscilla tra alti e bassi, che a una componente di creazione delle armi interessante (ma non perfetta) e un combat system soddisfacente affianca una storia dubbia e una progressione dalle soluzioni fin troppo fantasiose. Certo è che trattandosi di un progetto originale dello studio dopo tanti anni e considerando il tempo totale necessario per portarlo a termine non facciamo fatica a consigliarlo tra un tripla A e l'altro. Chissà che le avventure di Aran e Adso non vi coinvolgano più del dovuto.