Recensione
Arete Hime
7.5/10
Recensione di MangAnimeEnthusiast
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Reso disponibile su Youtube dallo stesso Studio che l'ha realizzato, ho potuto recuperare questo film, esordio alla regia di Sunao Katabuchi, che poi sarebbe diventato famoso in particolare per trasposizione animata di In questo angolo di mondo.
Qui invece l'ispirazione viene da un romanzo della scrittrice Diana Coles, The Clever Princess, attraverso cui si sviluppa un inusuale e intrigante ribaltamento delle strutture fiabesche, in particolare legate alla figura delle principesse appunto.
Ma lungi dall'essere una semplice "modernizzazione" con cui infrangere gli stereotipi dei personaggi femminili (tema già abbastanza sdoganato all'epoca della sua uscita, senza contare poi che nello stesso anno fu rilasciato il capostipite di questi nuovi canovacci, ovvero Shrek), il film punta ad un discorso più ampio che si vuole soffermare su ciò che rende davvero importante e unico il vivere la propria vita.
Per far ciò Katabuchi sforna una regia consapevole e metodica, dal chiaro tocco di un esordiente che però sa già come pianificare e illustrare tutti i punti salienti del racconto, lasciandosi anche andare dove possibile ad ottime sequenze più "articolate" nella messinscena.
Assai incisiva è anche la scelta di adoperare un ritmo più posato, che aiuta ad immergersi appieno nel clima di isolamento, noia e desolazione che affligge tutti i personaggi e i luoghi in cui risiedono, a partire dalla giovanissima Arete che deve rispondere alle classiche aspettative da principessa invece di poter comprendere di più sul mondo, un'esplorazione che si fa da fisica ad interiore, illustrando perfettamente un desiderio di crescita a tutto tondo che in fondo ogni giovane desidera.
Pur condividendo la possibile difficoltà nel seguire tale "lentezza", io ne approvo l'uso in virtù del suo aiutare ad ampliare il tutto donando un sentito senso di realismo dovuto anche alla precisione nella costruzione degli ambienti, dei vestiti e dei movimenti dei personaggi, il che però non tradisce né annulla il sentore da universo fantastico capace di trasmettere uno spirito da racconto epico nonostante tutto.
L'uso di un design semplice non è da meno nell'evocare la dimensione della fiaba su cui i personaggi stessi giocano, per mezzo di magie e/o dialoghi che ben si prestano ad illustrare il necessario nel modo giusto: l'aspetto di Arete gioca molto bene con le sue dimensioni fanciullesche e per questo limitanti che però non nascondono l'animo di una persona coraggiosa e resistente che anche nei momenti in cui rischia di perdersi riesce ad attingere dalla propria forza interiore per reagire ed ispirare, ed è interessante vedere come la sua voglia di conoscere il mondo nasca per mezzo delle piccole cose, dei lavori manuali che aiutano ogni persona a (ri)scoprirsi capace di qualcosa che dia un senso al suo io fin da piccolissimi.
Per quanto riguarda l'antagonista Boax, il suo è invece il design che meno mi ha convinto perché in qualche modo il più "semplicistico" e cartoonesco, anche più di quello del gracidante assistente Glover; ma nonostante tutto anch'esso si presenta come un ottimo personaggio che rifugge parte dei classici schemi da mago cattivo per rivelare a poco a poco molto di più.
Per tutti questi elementi il film è stato da subito paragonato alla poetica miyazakiana, e in effetti sarebbe facile sottolineare vari collegamenti e/o ispirazioni, contando anche il fatto che Katabuchi ha lavorato proprio al Ghibli agli inizi di carriera; anche la colonna sonora di Akira Senju presenta melodie che rimandano, forse un pò troppo, a quelle di Joe Hisahishi.
Ma come sempre, così si rischia solo di condizionare un risultato che pur non nascondendo le evidenti ispirazioni riesce a ergersi come opera con proprie regole di messinscena che per la maggior parte vengono sfruttate a dovere, pur con la possibile inconvenienza della già citata lentezza narrativa che porta inoltre ad un evidente squilibrio nel terzo atto che sembra risolvere diverse questioni in modo troppo semplice e veloce.
Ma nel complesso Arete Hime rimane una piccola, grande opera da apprezzare anche per presentare un obiettivo e dei temi per nulla banali e raramente affrontati in modo così accurato e tridimensionale in un lungometraggio, ottenendo anche al di fuori dello schermo la propria autonomia artistica, e lasciandoci quindi con un senso di fascino e contentezza a riprova della forza della (apparente) semplicità e del potere insito nelle fiabe e nella realtà quotidiana in egual modo, permettendo a ognuno di tirare fuori la propria magia di fronte ad ogni difficoltà.
Qui invece l'ispirazione viene da un romanzo della scrittrice Diana Coles, The Clever Princess, attraverso cui si sviluppa un inusuale e intrigante ribaltamento delle strutture fiabesche, in particolare legate alla figura delle principesse appunto.
Ma lungi dall'essere una semplice "modernizzazione" con cui infrangere gli stereotipi dei personaggi femminili (tema già abbastanza sdoganato all'epoca della sua uscita, senza contare poi che nello stesso anno fu rilasciato il capostipite di questi nuovi canovacci, ovvero Shrek), il film punta ad un discorso più ampio che si vuole soffermare su ciò che rende davvero importante e unico il vivere la propria vita.
Per far ciò Katabuchi sforna una regia consapevole e metodica, dal chiaro tocco di un esordiente che però sa già come pianificare e illustrare tutti i punti salienti del racconto, lasciandosi anche andare dove possibile ad ottime sequenze più "articolate" nella messinscena.
Assai incisiva è anche la scelta di adoperare un ritmo più posato, che aiuta ad immergersi appieno nel clima di isolamento, noia e desolazione che affligge tutti i personaggi e i luoghi in cui risiedono, a partire dalla giovanissima Arete che deve rispondere alle classiche aspettative da principessa invece di poter comprendere di più sul mondo, un'esplorazione che si fa da fisica ad interiore, illustrando perfettamente un desiderio di crescita a tutto tondo che in fondo ogni giovane desidera.
Pur condividendo la possibile difficoltà nel seguire tale "lentezza", io ne approvo l'uso in virtù del suo aiutare ad ampliare il tutto donando un sentito senso di realismo dovuto anche alla precisione nella costruzione degli ambienti, dei vestiti e dei movimenti dei personaggi, il che però non tradisce né annulla il sentore da universo fantastico capace di trasmettere uno spirito da racconto epico nonostante tutto.
L'uso di un design semplice non è da meno nell'evocare la dimensione della fiaba su cui i personaggi stessi giocano, per mezzo di magie e/o dialoghi che ben si prestano ad illustrare il necessario nel modo giusto: l'aspetto di Arete gioca molto bene con le sue dimensioni fanciullesche e per questo limitanti che però non nascondono l'animo di una persona coraggiosa e resistente che anche nei momenti in cui rischia di perdersi riesce ad attingere dalla propria forza interiore per reagire ed ispirare, ed è interessante vedere come la sua voglia di conoscere il mondo nasca per mezzo delle piccole cose, dei lavori manuali che aiutano ogni persona a (ri)scoprirsi capace di qualcosa che dia un senso al suo io fin da piccolissimi.
Per quanto riguarda l'antagonista Boax, il suo è invece il design che meno mi ha convinto perché in qualche modo il più "semplicistico" e cartoonesco, anche più di quello del gracidante assistente Glover; ma nonostante tutto anch'esso si presenta come un ottimo personaggio che rifugge parte dei classici schemi da mago cattivo per rivelare a poco a poco molto di più.
Per tutti questi elementi il film è stato da subito paragonato alla poetica miyazakiana, e in effetti sarebbe facile sottolineare vari collegamenti e/o ispirazioni, contando anche il fatto che Katabuchi ha lavorato proprio al Ghibli agli inizi di carriera; anche la colonna sonora di Akira Senju presenta melodie che rimandano, forse un pò troppo, a quelle di Joe Hisahishi.
Ma come sempre, così si rischia solo di condizionare un risultato che pur non nascondendo le evidenti ispirazioni riesce a ergersi come opera con proprie regole di messinscena che per la maggior parte vengono sfruttate a dovere, pur con la possibile inconvenienza della già citata lentezza narrativa che porta inoltre ad un evidente squilibrio nel terzo atto che sembra risolvere diverse questioni in modo troppo semplice e veloce.
Ma nel complesso Arete Hime rimane una piccola, grande opera da apprezzare anche per presentare un obiettivo e dei temi per nulla banali e raramente affrontati in modo così accurato e tridimensionale in un lungometraggio, ottenendo anche al di fuori dello schermo la propria autonomia artistica, e lasciandoci quindi con un senso di fascino e contentezza a riprova della forza della (apparente) semplicità e del potere insito nelle fiabe e nella realtà quotidiana in egual modo, permettendo a ognuno di tirare fuori la propria magia di fronte ad ogni difficoltà.