Recensione
Life - Vivere per vivere
8.5/10
Sono riuscita a recuperare la serie completa di "Life. Vivere per vivere", e mi sento di dire subito che questa è una serie che meriterebbe una riedizione degna di questo nome.
Era da tempo che volevo provare a leggere questo manga, ma la serie era introvabile a prezzi umani, la tematica è scomoda e controversa, ma purtroppo sempre attualissima.
Autolesionismo, bullismo, violenza fisica, psicologica e verbale, c'è davvero tutto tra le pagine di questa serie; la tensione che si respira tra un capitolo e l'altro è sempre alta, non c'è quasi respiro per il lettore, che trova pochi e brevi, ma preziosi momenti di 'luce', solo quando le due amiche Hayumu Chiba e Miki Hatori sorridono insieme, quelle rare volte che succede.
Questa è la cosa che mi è mancata di più, attimi di serenità tra Hatori e Hayumu, momenti che sono oasi in mezzo al deserto; troppe volte ho avuto la sensazione di essere in apnea, mentre leggevo, passando da una situazione tragica all'altra, tra violenze, dolore, lacrime, incomprensioni, bugie e cattiverie, con la costante sensazione un po' claustrofobica e disturbante, di non trovare requie.
Lo scopo della serie forse è proprio questo, suggerire i sentimenti dolorosi, di paura e sconforto che vive la protagonista maltrattata dalle sue compagne di scuola, il 'branco' che si accanisce su di lei, capeggiato dalla perfida e folle Manami Anzai, vero e proprio demonio travestito da ragazza.
L'autrice, Keiko Suenobu, in certe scene la rappresenta proprio così, con un ghigno inquietante e diabolico che le contorce e deforma i lineamenti del viso, e questa espressività salta all'occhio moltissimo, rispetto ai primi volumi dove Manami sembra solo una bella e dolce ragazza come tante, forse un po' sciocca, innamoratissima del suo fidanzato Katsumi Sako, altro figuro che riserverà spiacevoli sorprese, personaggio con una doppia faccia, ragazzo che dietro la maschera da bravo studente, nasconde un animo vile, meschino e perverso.
Non so quanto il personaggio di Manami sia costruito consapevolmente; a volte ho avuto l'impressione che l'autrice si sia lasciata prendere la mano, nel ribaltare completamente la sua figura, il confine che separa la sua apparenza di normalità, dalla sua maschera folle è davvero labile e incerto.
Nella reltà, una persona simile, se non è un genio del male capace di mistificare la propria immagine, dovrebbe dare dei segnali evidenti di squilibrio mentale, ma Anzai non si tradisce quasi mai, almeno finché non viene scoperta e la sua maschera perfetta s'incrina.
Non so quanto questa costruzione di Manami sia volutamente sottile; sono proprio le scene finali che lasciano suggerire un possibile riscatto un po' forzato, a farmi dubitare del controllo dell'autrice sul suo personaggio, uscito forse un po' troppo dai binari.
Se Manami è una malvagia pura e semplice, che gode nel vedere soffrire gli altri - così dice lei - il suo confronto finale con la sua vittima, non ha molto senso.
Non può esserci riscatto per una persona del genere; è come Iriza Legan di Candy Candy, vorresti solo prenderla a schiaffi.
Le azioni di cui si macchia Manami, non sono semplici dispetti o atti di bullismo studentesco, ma veri e propri atti criminosi, delitti perversi, malvagi e atroci contro alcune compagne, che usa e sfrutta per i suoi scopi, senza remore.
La costruzione della dolce Hayumu è più equilibrata e graduale; se all'inizio appare debole, fragile, in balia di se stessa e degli altri, la sua crescita sarà lenta ma inesorabile, incoraggiata e sostenuta dalla sua amica Hatori, ragazza forte, risoluta e sicura di sé, uno dei personaggi più belli e più positivi, la luce che entra nella vita di Shiba, che finalmente si sente accettata e non giudicata.
Credo che sia proprio questa sincera e affettuosa amicizia a darle forza e coraggio per ribellarsi e lottare per se stessa, a salvare Hayumu dall'abisso di disperazione in cui rischia di cadere.
A salvare la protagonista non è la madre che purtroppo non vede le sofferenze della figlia, non è la scuola che tenta di ignorare il problema, gli insegnanti indifferenti che non ascoltano, preoccupati solo del prestigio dell'istituto scolastico, espresso nell' ottusità malsana della professoressa Toda, contrapposta alla voce solitaria della docente Hiraoka, l'unica che cerca di aiutare davvero gli studenti.
A salvarla sarà l'amicizia, quella più vera di Miki Hatori, con l'aiuto di un altro bel personaggio, Sanada, un ragazzo che non può restare indifferente di fronte a quello che sta accadendo.
Come dirà una delle colpevoli, ammettendo di aver sbagliato, alla fine nessuno è davvero innocente, perché tutti, genitori, studenti, professori, hanno scelto di girare la testa dall'altra parte, un'accusa che investe l'intera società nipponica, troppo preoccupata di rispettare regole assurde.
All'inizio avevo alcune riserve sullo stile del disegno, ma andando avanti con la lettura, mi sono accorta che l'autrice sa conferire carattere ed espressività potente ai suoi personaggi, e sa gestire davvero bene gli equilibri tra immagini e parole, quest'ultime non sovrastano quasi mai le immagini, le sottolineano evidenziandole, come dovrebbe essere.
Ci sono tavole davvero potenti, impattanti, che da sole dicono tutto quello che vogliono esprimere, i sentimenti dei protagonisti, i loro pensieri.
Il tratto è spesso incisivo, marcato, equilibrate le proporzioni dei corpi, ma quando serve diventa lieve, quasi sfumato dove le scene diventano più dolci, chiare, luminose e serene.
Uno stile di disegno che mi ha davvero colpito e affascinato.
Il finale è bello, commovente, un inno alla vita, alla forza e al coraggio di andare sempre avanti, anche nelle situazioni più dure ed estreme, perchè alla fine del tunnel ci sarà sempre la luce; in tutto questo percorso, l'importante è non essere soli e abbandonati a se stessi, chiedere aiuto, se serve, se da soli sentiamo abbandonarci le forze; è quello che fa la nostra protagonista, è quello che fanno un po' tutti gli attori di questo dramma.
Personalmente, ho qualche riserva sul fatto che tale riscatto possa essere concesso a chiunque.
Era da tempo che volevo provare a leggere questo manga, ma la serie era introvabile a prezzi umani, la tematica è scomoda e controversa, ma purtroppo sempre attualissima.
Autolesionismo, bullismo, violenza fisica, psicologica e verbale, c'è davvero tutto tra le pagine di questa serie; la tensione che si respira tra un capitolo e l'altro è sempre alta, non c'è quasi respiro per il lettore, che trova pochi e brevi, ma preziosi momenti di 'luce', solo quando le due amiche Hayumu Chiba e Miki Hatori sorridono insieme, quelle rare volte che succede.
Questa è la cosa che mi è mancata di più, attimi di serenità tra Hatori e Hayumu, momenti che sono oasi in mezzo al deserto; troppe volte ho avuto la sensazione di essere in apnea, mentre leggevo, passando da una situazione tragica all'altra, tra violenze, dolore, lacrime, incomprensioni, bugie e cattiverie, con la costante sensazione un po' claustrofobica e disturbante, di non trovare requie.
Lo scopo della serie forse è proprio questo, suggerire i sentimenti dolorosi, di paura e sconforto che vive la protagonista maltrattata dalle sue compagne di scuola, il 'branco' che si accanisce su di lei, capeggiato dalla perfida e folle Manami Anzai, vero e proprio demonio travestito da ragazza.
L'autrice, Keiko Suenobu, in certe scene la rappresenta proprio così, con un ghigno inquietante e diabolico che le contorce e deforma i lineamenti del viso, e questa espressività salta all'occhio moltissimo, rispetto ai primi volumi dove Manami sembra solo una bella e dolce ragazza come tante, forse un po' sciocca, innamoratissima del suo fidanzato Katsumi Sako, altro figuro che riserverà spiacevoli sorprese, personaggio con una doppia faccia, ragazzo che dietro la maschera da bravo studente, nasconde un animo vile, meschino e perverso.
Non so quanto il personaggio di Manami sia costruito consapevolmente; a volte ho avuto l'impressione che l'autrice si sia lasciata prendere la mano, nel ribaltare completamente la sua figura, il confine che separa la sua apparenza di normalità, dalla sua maschera folle è davvero labile e incerto.
Nella reltà, una persona simile, se non è un genio del male capace di mistificare la propria immagine, dovrebbe dare dei segnali evidenti di squilibrio mentale, ma Anzai non si tradisce quasi mai, almeno finché non viene scoperta e la sua maschera perfetta s'incrina.
Non so quanto questa costruzione di Manami sia volutamente sottile; sono proprio le scene finali che lasciano suggerire un possibile riscatto un po' forzato, a farmi dubitare del controllo dell'autrice sul suo personaggio, uscito forse un po' troppo dai binari.
Se Manami è una malvagia pura e semplice, che gode nel vedere soffrire gli altri - così dice lei - il suo confronto finale con la sua vittima, non ha molto senso.
Non può esserci riscatto per una persona del genere; è come Iriza Legan di Candy Candy, vorresti solo prenderla a schiaffi.
Le azioni di cui si macchia Manami, non sono semplici dispetti o atti di bullismo studentesco, ma veri e propri atti criminosi, delitti perversi, malvagi e atroci contro alcune compagne, che usa e sfrutta per i suoi scopi, senza remore.
La costruzione della dolce Hayumu è più equilibrata e graduale; se all'inizio appare debole, fragile, in balia di se stessa e degli altri, la sua crescita sarà lenta ma inesorabile, incoraggiata e sostenuta dalla sua amica Hatori, ragazza forte, risoluta e sicura di sé, uno dei personaggi più belli e più positivi, la luce che entra nella vita di Shiba, che finalmente si sente accettata e non giudicata.
Credo che sia proprio questa sincera e affettuosa amicizia a darle forza e coraggio per ribellarsi e lottare per se stessa, a salvare Hayumu dall'abisso di disperazione in cui rischia di cadere.
A salvare la protagonista non è la madre che purtroppo non vede le sofferenze della figlia, non è la scuola che tenta di ignorare il problema, gli insegnanti indifferenti che non ascoltano, preoccupati solo del prestigio dell'istituto scolastico, espresso nell' ottusità malsana della professoressa Toda, contrapposta alla voce solitaria della docente Hiraoka, l'unica che cerca di aiutare davvero gli studenti.
A salvarla sarà l'amicizia, quella più vera di Miki Hatori, con l'aiuto di un altro bel personaggio, Sanada, un ragazzo che non può restare indifferente di fronte a quello che sta accadendo.
Come dirà una delle colpevoli, ammettendo di aver sbagliato, alla fine nessuno è davvero innocente, perché tutti, genitori, studenti, professori, hanno scelto di girare la testa dall'altra parte, un'accusa che investe l'intera società nipponica, troppo preoccupata di rispettare regole assurde.
All'inizio avevo alcune riserve sullo stile del disegno, ma andando avanti con la lettura, mi sono accorta che l'autrice sa conferire carattere ed espressività potente ai suoi personaggi, e sa gestire davvero bene gli equilibri tra immagini e parole, quest'ultime non sovrastano quasi mai le immagini, le sottolineano evidenziandole, come dovrebbe essere.
Ci sono tavole davvero potenti, impattanti, che da sole dicono tutto quello che vogliono esprimere, i sentimenti dei protagonisti, i loro pensieri.
Il tratto è spesso incisivo, marcato, equilibrate le proporzioni dei corpi, ma quando serve diventa lieve, quasi sfumato dove le scene diventano più dolci, chiare, luminose e serene.
Uno stile di disegno che mi ha davvero colpito e affascinato.
Il finale è bello, commovente, un inno alla vita, alla forza e al coraggio di andare sempre avanti, anche nelle situazioni più dure ed estreme, perchè alla fine del tunnel ci sarà sempre la luce; in tutto questo percorso, l'importante è non essere soli e abbandonati a se stessi, chiedere aiuto, se serve, se da soli sentiamo abbandonarci le forze; è quello che fa la nostra protagonista, è quello che fanno un po' tutti gli attori di questo dramma.
Personalmente, ho qualche riserva sul fatto che tale riscatto possa essere concesso a chiunque.
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