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GABRIELEX6

Volumi letti: 1/1 --- Voto 10
Teatro ed Akahon: Delitto e Castigo
Nel 1946, l’universitario studente di medicina ed aspirante fumettista Osamu Tezuka fonda con suoi compagni di corso un gruppo di teatro, il “Gakuyuza” (Compagnia degli amici della scuola). Sin dall'infanzia, grazie alla passione e la conoscenza stretta della madre con il teatro femminile di Takarazuka, cittadina dove trascorre gran parte della sua giovinezza, Tezuka viene educato ad una sensibilità particolare verso il palco, uno scenario dunque fisso nello spazio ma mutabile nella sostanza, su cui rappresentare ciò che si trova ad essere. L’impostazione che dunque riceve – senza considerare i prodotti di animazione, anch'essi caratterizzati da un luogo fisso (lo sfondo) dove i personaggi si muovono e agiscono – è difficilmente considerabile cinematografica. Nelle varie vignette Tezuka ricerca uno spazio definito ma soprattutto reale su cui appoggiare tutta la sceneggiatura ed il mondo fittizio; il suo obiettivo è quello di trasmettere una orizzontalità pura nello sviluppo delle azioni, allontanandosi quindi dalla verticalità nella quale le vignette del fumetto si susseguono, ricercando dunque uno sviluppo del tempo che avviene nello stesso piano piuttosto che in varie realtà frammentate nella pagine e ben delineate dal contorno delle vignette stesse [https://vimeo.com/185973194]. Lo scorrere del tempo diventa ben definito in uno solo spazio vettoriale, ci sono pochi salti di momenti ed azioni, nulla viene tralasciato: le esasperazioni temporali raggiungono quasi la dimensione dell’animazione il cui principale ed interessante utilizzo è come transizione tra un ambiente ed un altro; il primissimo piano su Raskolnikov mentre cambia direzione di camminata o il roteare della pistola di Svidrigajlov sono il mezzo con cui si passa da una ambientazione all’altra, e quindi da una situazione ad una potenzialmente diametralmente opposta.

Tezuka, comprendendo che fosse molto più pratico scrivere la sceneggiatura di uno spettacolo teatrale utilizzando anche dei disegni – rispetto ad un libro di sole parole – , era in grado di superare alcune barriere (date dai limiti della sola scrittura) che gli impedivano di creare situazioni che avessero come risultato delle emozioni nuove per lo spettatore: più uno spettacolo (e quindi un manga) era in grado di suscitare quante più e diverse sensazioni in coloro che ne usufruissero, più lo stesso medium era in grado di espandere i propri limiti espressivi.

Nel 1947 viene messo in scena un adattamento teatrale di “Delitto e Castigo”: Tezuka recita la parte dell’imbianchino che appare verso l’inizio della vicenda; il suo unico compito è quello di risalire, in silenzio, la scalinata e quello di incrociare gli sguardi con chi altro eventualmente la percorra. Questi anni di esperienza teatrale risulteranno veramente proficui per il primo periodo di produzioni di Tezuka: coincidendo con l’inizio della trasmissione dei film americani in Giappone e quindi la conseguente scoperta delle infinite potenzialità di applicazione che la regia avesse nei fumetti, queste visioni gli permisero di maturare una idea estremamente precisa di cosa per lui fosse lo story manga.

Nel 1953 Tezuka era già divenuto l’imperatore dell’Akahon, le vendite dei suoi “libretti rossi¹”, volumi singoli di storie complete, crearono una base così solida di rivenditori di manga (e chiaramente anche di lettori), che il mercato, pur essendo in crescita esponenziale ogni anno, non riusciva a soddisfare l’enorme richiesta di nuove storie a fumetti. Approfittando quindi di questa tanto recente quanto profonda radicazione nel territorio iniziano a nascere i Kashihon’ya, letteralmente dei negozi dove si potevano noleggiare libri e fumetti, e di conseguenza i Kashihon manga, fumetti creati appositamente per questo tipo di mercato, dove si fondarono tra l’altro le basi per il Gekiga di Tastumi e Masahiko Matsumoto con l’antologia Kage.
Oltre ai kashihon, anche grazie all'affermazione della TV e quindi della sua serializzazione di contenuti, le riviste prima mensili e poi settimanali diventano i veri dominatori del panorama. In questo ecosistema gli Akahon, amati ed adottati perlopiù dai mangaka di Osaka nella fine degli anni 40, cedono il passo al manga shudan (gruppo manga) di Tokyo (monopolizzata da appunto serializzazione in riviste), e l’opera che ufficialmente chiude quest’era di pubblicazione è, appunto nel 1953, Delitto e Castigo. Delitto e Castigo è inoltre scritto nel periodo in cui Tezuka era maggiormente e direttamente ispirato dalle novità che il cinema e l’animazione americani erano riusciti ad introdurre nel suo storytelling e nella progressione della tavola.

Dopo aver già adattato svariati altri libri e racconti, il più simile per impostazione Faust nel 1949, ma anche e soprattutto Son Goku, Tezuka cerca di infrangere molti dogmi che lo avevano fino a quel momento contraddistinto. Il principale obiettivo della scuola di Osaka era infatti creare un fumetto accessibile a tutti, con particolare attenzione ad un pubblico molto giovane, e per renderlo possibile doveva rispettare ristrette limitazioni riguardanti su tutte le sfere della sessualità e l’eccessiva violenza complessiva nell’opera.
Descrivere e metaforizzare anche i contenuti più crudi e mesti con sequenze morbide impersonate da personaggi innocenti nell’aspetto e nell’intimo era già da allora uno dei tratti distintivi di Tezuka, ma qui compie un cambiamento radicale: se da una parte abbiamo l’esasperazione grafica di questa stilizzazione arrotondata dei personaggi e delle situazioni con il rimando ultimo all'animazione Disneyana, dall’altra abbiamo la vera nascita della drammaticità nello story manga per ragazzi.
La rivisitazione del capolavoro iniziale di Dostoevskij viene ambientata nella Russia pre-rivoluzionaria, dove tutto è predestinazione; le decisioni del passato hanno infatti già plasmato un unico futuro, così vicino da essere da essere tangibile nel suo avvenire: le conseguenze di ogni azione sono così prossime da essersi appena risolute. La seconda vignetta della prima pagina, oltre ad essere molto esplicativa di ciò, introduce, sin dall'inizio, l’aspetto forse più importante e significativo di quest’opera: Tezuka in persona inserisce un omicidio ingiustificato. La morte per Tezuka, in particolare in opere come Metropolis e The Mysterious Underground Men, aveva avuto sempre una funzione incredibilmente catartica: l’eroe diviene tale – o, meglio, viene infine riconosciuto chiaramente da tutti – pagando un prezzo non riscattabile per una causa maggiore, eticamente superiore. La morte è dunque il catalizzatore che è da solo e solo lui in grado di risolvere e superare una situazione od una concezione che fino a quel momento era obnubilante.

La prima metà degli anni ‘50 era inoltre un periodo caratterizzato da un pesante ambiente di censura e imminente discussione sulle tematiche che i manga per ragazzi dovessero avere (situazione che esploderà infatti intorno al 1955, anche sensatamente in quanto si era attuata una vera e propria corsa alle armi, alla violenza gratuita e personaggi particolarmente scorretti per attirare facilmente l’attenzione sia dei più piccoli che degli oramai adolescenti e giovani adulti), ed il fatto che l’astro più che oramai sorto del fumetto accessibile a tutti avesse sfidato così tanto e per la prima volta questa situazione è un tassello importante per lo sviluppo della stessa.

I personaggi stessi sono estremamente esplicativi di questo progresso artistico: la vecchia megera ed aguzzina è una figura esclusivamente negativa, incapace persino di comprendere il bene: il suo ruolo è unicamente quello di esprimere la propria malvagità, senza possibilità di redenzione; ecco dunque la personificazione di un sistema oramai collassato, talmente corrotto da aver precluso qualsiasi punto di ritorno; l’unica soluzione possibile è la rivoluzione violenta, guidata dal rimorso preventivo degli esecutori e dalla violenza portatrice di giustizia. Un peccatore deve e può espiare solo con la morte, quello che non è parte vitale dell’organismo della rivoluzione è per definizione escluso, “altro” e nemico. Nasce il concetto di individui potenzialmente “straordinari” che, in grado di poter agire in una dimensione superiore alla concezione di giustizia, sono in grado di plasmare ed instaurare un proprio dominio sui cosiddetti “ordinari”, persone comuni che alla fine, qualunque sia lo sviluppo, si ridurranno sotto la mercé degli straordinari. Rimane da sviluppare solo il principale il dilemma su cui tutta questa teoria si basa, cioè l’individuazione e la presa di consapevolezza di chi veramente sia in grado di poter prendere il ruolo di straordinario. Solo lo stesso Raskolnikov alla fine riesce ad intravedere e riconoscere, come il bagliore accecante che esce da una porta socchiusa giungendo da un locale per niente illuminato, le conseguenze di quello che aveva teorizzato fino a quel momento, e lo fa solamente grazie all’imperante e straordinaria lucentezza dell’innocenza pura ed innata e nonostante tutto (molto simile a quella di Oliver Twist) di Sonya. Con il suo gesto iniziale ed estremo Raskol’nikov aveva ideologicamente simboleggiato e provocato la rivoluzione, oppure, più probabilmente, il gesto stesso è l’elemento “straordinario” della rivoluzione; esiste però il twist, l’ἀπροσδόκητον² che risolve l’ αἴτιον, la causa primordiale: la catarsi esiste e viene trovata una volta sopravvissuti al sentiero della follia, una volta usciti dal tunnel dell’illusione dell’invulnerabilità: Raskol’nikov guadagna la consapevolezza del fenomeno grazie alla sofferenza fisica e spirituale (una visione del πάθει μάθος molto vicina a Dostoevskij stesso), ma oramai, per gli “ordinari”, è troppo tardi; il delitto iniziale è infatti la genesi di tutti gli avvenimenti che porteranno Raskol’nikov nel cammino verso la straordinarietà pur essendo un gesto intrinsecamente ordinario (in quanto mezzo principale della rivoluzione): la rivoluzione stessa è infatti generata e causata da ordinari, mentre le conclusioni del protagonista non verranno mai riconosciute globalmente; tutto è dunque in completo contrasto con le teorie che fino a questo punto avevano virtualmente governato lo stato delle cose. Il presente e quindi il futuro sta venendo plasmato dagli ordinari, le caratteristiche tavole affollate e confusionarie di Tezuka non rappresentano più uno sviluppo ed intreccio delle vicende degli uomini, bensì si trasformano nell'esternazione macroscopica dell’ebbrezza dovuta alla perdita dell’ordine delle cose, alla sovversione del ritmo che governa la vita degli uomini: la rivoluzione è oramai compiuta.
Il futuro è già scritto, è già accaduto, il finale ha veramente esaurito la sua prima pagina.

Note:

1. Nome dovuto sia alla copertina tipicamente rossa ma anche dal colore dell’inchiostro di scarto utilizzato nel dopoguerra per stampare i primi volumetti per l’appunto tendente al rosso.

2. “Fulmen in clausula”, finale inaspettato.


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Volumi letti: 1/1 --- Voto 9
C'è un difetto congenito nella fabbricazione umana: l'incomunicabilità. Non solo l'incapacità da parte dell'Uomo di relazionarsi o empatizzare con i suoi simili, ma soprattutto la totale asintonia con le sue moire interiori, col suo costruttore, il Demiurgo.
Dio è silente.
Se non si è fra i pochi eletti in grado di sentirne la voce o di interpretarne i segni, non si può che constatare la sua totale afonia. La sua onnipotenza si percepisce solo in forme indirette o per interposta persona.
Come si può comunicare se non si conosce la scala delle note dell'universo?

Il tema dell'incomprensione fra gli uomini fu uno dei comandamenti delle opere di un altro dio, quello dei manga, Osamu Tezuka.
Il padre del moderno fumetto giapponese considerava le difficoltà di relazione come il vero peccato originale alla base dei mali che soffocano l'esistenza terrena. E questo suo pilastro tematico è espresso con totale chiarezza nella sua interpretazione di uno dei classici immortali della letteratura mondiale: "Delitto e Castigo" di Dostoevskij.

Questa riduzione voluta dal maestro fu probabilmente ispirata dalla versione che egli stesso mise in scena con la sua compagnia teatrale studentesca, e testimonia la grande importanza che la cultura occidentale ebbe per la creazione del suo immenso e immaginifico corpus produttivo.

La trama rispecchia i canoni base di quella del romanzo.
A San Pietroburgo, poco prima dello scoppio della Rivoluzione d'Ottobre, il giovane e squattrinato studente Raskòl'nikov commette un omicidio assassinando una vecchia usuraia per questioni di denaro. Il gesto è dettato anche dal disprezzo provato verso una persona avida e insensibile, nella convinzione che il mondo sarebbe un posto migliore senza simili soggetti.
L'omicida ritiene quindi questa azione non un crimine ma un atto a beneficio dell'Umanità.
Ma fin da subito Raskòl'nikov non riesce a gestire il peso del suo operato. Angoscia e disagio diventano suoi compagni quotidiani e lentamente si fa strada un costante senso di inquietudine che turba il suo animo sconvolto e sospettoso.
Il giudice istruttore Porfirij non crede alla colpevolezza di un uomo arrestato e accusato dell'omicidio, e sospetta del giovane studente che diventa sempre più paranoico, nonostante l'affetto di sua madre e sua sorella o il crescente sentimento che prova per Sonja, una giovane costretta alla prostituzione per indigenza. L'infelice ma virtuosa ragazza ha una fede incrollabile che diviene l'unica fonte di sollievo per l'animo di Raskòl'nikov afflitto dal senso di colpa.
Tra insidie e soprusi sociali la resa dei conti è sempre più vicina e l'ombra della Rivoluzione incombe fino al suo scoppio che coincide con l'epilogo della storia.


Nel 1953 Tezuka cominciava già a diventare l'icona che tutti conosciamo ed aveva ormai avviato la pubblicazione in contemporanea dei suoi lavori più iconici come "Astro Boy", "Kimba il leone bianco" e "La Principessa Zaffiro".
Fra le tante produzioni in corso trovò il tempo di confezionare questa versione di "Delitto e Castigo", ultima opera che pubblicò per un editore di Osaka.
Il "dio dei manga" elaborò una traduzione secondo il suo stile, attingendo a piene mani non solo dalla trama e dalle tematiche del romanzo di Dostoevskij, ma soprattutto ai canoni e agli stilemi del fumetto occidentale.
Al tempo Tezuka era ancora pienamente nel segno dei suoi primi punti di riferimento, identificabili con le espressioni della settima e della nona arte elaborate dal canone statunitense. Una firma che rende subito riconoscibile la mano del maestro, ammiratore esplicito di modelli d'oltreoceano del fumetto e dell'animazione come i Fleischer Studios e ovviamente la Disney.
L'impostazione delle vignette, il ritmo compositivo, la cifra stilistica e la dinamica delle azioni e dei dialoghi sono tutti delineati nel solco di una semantica nota e che fece la fortuna della carriera dell'autore. Il bianco e nero è giocato in maniera magistrale rendendo palpabili tutte le sfumature emotive e la potenza delle passioni legate alle vicende. L'uso dei tagli di luce e dei piani obliqui segue un registro tecnico dal sapore autoriale che esula dal medium base. La vis espressa è infatti riconoscibile come un chiaro omaggio alle impostazioni cinematografiche da storyboard.
Emblematica in tal senso la sequenza che segue la dinamica dell'omicidio che apre i fatti del racconto:
l'azione si svolge in un gioco sequenziale che ricorda le tecniche registiche di Alfred Hitchcock, con l'autore che inquadra le scale del condominio come teatro delle concitate vicende. Tezuka sfrutta questo espediente per esaltare la tensione e le ricadute scenografiche delle percezioni e delle emozioni del protagonista. Una sequela di corse, capitomboli, scoperte e fughe rocambolesche, con più personaggi che invadono la scena del crimine costringendo l'omicida ad un comico quanto macabro gioco a nascondino.
Il tutto in uno schema che si dipana su uno sfondo reiterato per ben undici pagine, nelle quali si assiste ad ogni sorta di spostamento possibile degli attori in scena (da sinistra a destra e dall'alto verso il basso e viceversa), uno dei quali trova pure il modo di uscire dallo spazio delle vignette, rompendo quindi una metaforica "quarta parete".

Espedienti degni di un vero maestro, ispiratigli forse sempre da quella messa in scena teatrale cui prese parte in gioventù, nella quale il set era stato allestito intorno ad un'alta tromba di scale, e dove pare che Tezuka (che soffriva di vertigini) interpretasse la parte di un imbianchino, di cui erano visibili al pubblico solo i piedi.
Nei fatti il mangaka esprime la sua versione attraverso questa sua personale esperienza di incontro col romanzo.
Qui sta la potenza stilistica di un autore poliedrico, che riscrive i classici fondendo i miti del passato con quelli della modernità e creando un pastiche multimediale che combina le espressioni occidentali e orientali, sdoganando il mito attraverso la cultura pop, tra Dostoevskij e Walt Disney.

E la grandezza di Tezuka viaggia pienamente nel segno delle sue capacità artistiche e narrative.
Se sul piano scenico il maestro fu padre e ideatore di tecniche e stilemi che hanno fatto scuola, anche sul piano tematico e di sceneggiatura "il dio dei manga" dimostrò di meritare tale appellativo.

Per quanto concerne gli esiti tecnici basta osservare gli sfondi, le architetture e le prospettive per comprendere il peso innovativo delle soluzioni stilistiche del mangaka.
Si pensi al rapporto simbiotico che si viene a creare fra ambiente e soggetto, nel momento in cui la sfera emotiva individuale prende corpo nel teatro della scena, creando una perfetta osmosi tra sottotesto e contesto.
Valga l'esempio dello stato psicologico del protagonista, che in una pagina trova esito in un affannoso rifugio in extremis nella propria stanza che però dipinge sul volto del reo un'espressione di colpevolezza (o consapevolezza) che parla da sola, deformando l'aspetto di Raskòl'nikov in una smorfia di angoscia e terrore esaltati dall'uso delle ombre e della luce combinati con le fattezze gotiche dello sguardo, con un linguaggio iconografico che ricorda molto l'espressionismo tedesco.

Ma non sono da meno le tematiche.
Anche in questo Tezuka rivela la sua maestria. Il manga infatti rispetta molti canoni narrativi del testo base, ma li rielabora e li riassume secondo la propria ottica. Se sono presenti praticamente tutti i personaggi della storia originale, come Razumichin e Luzin - rispettivamente amico e antagonista di Raskòl'nikov - nel fumetto sono anche chiaramente espresse alcune libertà, come il diverso sfondo storico della trama (spostato dalla piena Russia ottocentesca all'alba della rivoluzione bolscevica), nonchè il finale del racconto.
L'epilogo infatti attenua la natura soteriologica e profondamente monoteista del romanzo, tratteggiando un profilo meno catartico e più pessimistico. Un esito che richiama temi più vicini ad autori come Pasternak; dove i drammi e i dilemmi esistenziali dell'individuo sono completamente fagocitati dal flusso di eventi macrostorici soverchianti e immanenti.
Ma è in quel suo richiamo all'incomunicabilità fra gli uomini e al rapporto con le realtà metafisiche che l'autore esprime la sua vera statura tecnica.
Il quadro sociale e storico presentati da Tezuka sono pienamente nel segno delle tematiche del romanzo. Quella che si muove sotto lo sguardo del lettore è un'Umanità stanca e disillusa, desiderosa di sfoghi esistenziali e riscatti politici veicolati da una rabbia freudianamente sommersa, schiacciata dalle convenzioni di una classe dirigente fatua e obsoleta che organizza penose farse sociali figlie di una deriva aristocratico-borghese ipocrita e pedante.

Simbolo di questo disagio morale è il protagonista, ingenuo quanto riflessivo, ambiguo quanto emotivo; un ossimoro vivente, strattonato fra realtà e ambizioni, desideri e inibizioni.
Egli è a tutti gli effetti l'antitesi del superuomo.
Se all'inizio è convinto di percorrere la strada dell'iconoclastia, scoprirà invece di essere la più pura sintesi del questuante di idoli. Un paradosso che è la vera fonte delle sue angosce e di quella progressiva degradazione da figura statuaria e debordante a patetico derelitto vittima delle proprie incongruenze.
E in effetti se lo stesso Nietzsche dichiarò la sua passione per il classico della letteratura russa, allo stesso tempo ne criticò il senso profondamente teleologico ed evangelico.
Per Dostoevskij infatti Dio non è affatto morto. L'idolo è anzi il garante più alto di quella ricostruzione interiore necessaria all'Uomo per il raggiungimento di uno stato di equilibrio.
Raskòl'nikov non scruta nell'abisso per venire a patti con la sua ferinità, né vuole abbracciare la libertà di un'esistenza nichilista. È al contrario l'emblema di colui che auspica disperatamente la ricostruzione del feticcio consunto che lui stesso credeva di voler distruggere.
Il suo vero modello non è il titanismo nietzschiano ma l'idealismo hegeliano. Lo si assume perfettamente dalle teorie che espone tanto nel romanzo quanto nel manga. Il suo fine è il raggiungimento di quello stato etico che si nutre del progresso storico e tecnico per fasi di selezione e scarto degli strascichi percettivi. Lo studente idealista con l'omicidio mette simbolicamente in atto un "Aufhebung", un superamento, che si espleta nella transizione dal soggetto all'oggetto, la sublimazione dell'istintualità di un'azione in favore del razionalismo. Il mantra dei totalitarismi.
Non a caso dal manga come dal romanzo emerge l'inconfondibile silhouette di Napoleone Bonaparte, l'eroe di Hegel, lo "spirito del mondo" a cavallo che stermina gli uomini per il bene dell'Umanità.

Sintomo di questo drammatico paradosso logico, Raskòl'nikov deve alla fine riconoscere la sconfitta contro quei demoni che abitano in lui e fuori di lui.
A collassare non è infatti solo la sua architettura interiore ma anche quella sociale che lo circonda, forgiata dal suo stesso ideale, vittima di quell'irrazionalità (la Rivoluzione) che credeva di aver sublimato in una cecità empatica che ignora le sofferenze altrui soffocandole nella propria.
Tutto crolla nell'epilogo di Tezuka. Il jet set del delitto evapora in una chiosa finale sul viale solitario del castigo, che lascia aperto un ultimo dubbio, un dubbio dal sapore pienamente esistenzialista.

Maestro assoluto della narrativa, pioniere tanto nello stile di disegno quanto nelle tematiche, Tezuka ci ha regalato una breve ma potente riscrittura di un classico immortale, superando come quest'ultimo la prova del tempo per diventare anch'esso parte integrante del mito di un corpus molto più vasto.
Vale quindi un plauso la scelta della J-Pop di aver proposto per la collezione Osamushi un pezzo di storia del manga non degnamente riconosciuto, e forse anche un po' osteggiato se è vero, come evidenziato dalla postfazione, che il pronipote di Dostoevskij considerò addirittura blasfeme le tavole di Tezuka esposte al museo di San Pietroburgo.
Uno sdegno spiegabile forse per incomprensione del diverso registro del medium o più semplicemente come un tentativo di ribadire la sacralità di un simulacro ritenuto intoccabile.

Il che è singolare se si pensa che oggi anche le tavole di Tezuka sono anch'esse considerate come delle reliquie. Ma questo fa sempre parte di quel sintomatico gioco di riflessi storici secondo cui un "dio" ha riletto a sua volta un'opera sul rapporto con Dio.
Ecco perché vale la pena di non cedere alla tentazione di fare confronti troppo puntuali e cercare invece di dimenticare per un attimo il rigore della fedeltà assoluta in favore della capacità di perdersi nella magia di una reinterpretazione.
Questo perché in fondo non c'è incongruenza in un divertissement che rimanda allo stesso canone: il problema del rapporto con Dio o i nostri demoni. Un problema che obbliga a interrogarsi sul valore degli idoli e sul loro crepuscolo. Almeno per capire se hanno ancora qualcosa da sussurrarci o se magari siamo noi a bisbigliare al nulla.