Yubitsume è una parola giapponese che racchiude un mondo intero e porta con sé grandi implicazioni: è infatti il termine con cui si indica l'auto amputazione del dito mignolo che i membri della yakuza si devono infliggere quando hanno fatto uno sgarro ai propri superiori. Per ogni sbaglio o offesa si perde una falange ma se ad un certo punto un affiliato decide di abbandonare questa vita, è dura ricominciare con questo marchio indelebile. Ed ecco che entra in gioco lei: Yukako Fukushima, 44 anni, la metà dei quali spesa a fare protesi per ex yakuza.
 

Nel marzo del 1992 il governo giapponese varò una serie di leggi atte a mettere un freno allo strapotere della Yakuza, che stava diventando di giorno in giorno più presente in ogni ambito della società, fra scandali e regolamenti di conti sempre più sanguinari. Questi provvedimenti riuscirono a smantellare almeno in parte alcune organizzazioni e numerosi affiliati si ritrovarono senza soldi, senza beni e incapaci, anche se armati delle migliore intenzioni, di reintegrarsi nella vita normale, perché marchiati sia dai tatuaggi (irezumi) che dall'amputazione che li segnala a tutti come irrecuperabili e reietti.
 

Ed è qui che entra in gioco lei, Yukako Fukushima, impiegata presso la Kawamura Gishi Co., con sede a Kita Ward, Osaka. All'inizio degli anni 90 Yukako inizia a lavorare in una ditta specializzata in protesi per le persone che avevano perso parti del corpo per malattia o infortunio. Ed è in quegli anni che sempre più uomini di una certa età si presentano a lei per farsi ricostruire il mignolo; la donna non ci mette molto a capire che sono ex yakuza. Sebbene non fosse nei suoi piani specializzarsi in questo campo, Yukako è brava e il passaparola nell'ambiente fa il resto.
"Non ho mai avuto l'intenzione di fare questo lavoro a lungo" ha dichiarato la donna "ma quando qualcuno mi ha detto che ero l'unica in tutto il Giappone a creare questo tipo di protesi ho smesso di cercare un altro impiego".
 

Con l'aiuto della polizia locale che la mette in contatto con i suoi futuri clienti, Yukako ha messo in piedi un vero e proprio business che ha però come unica condizione la reale volontà di lasciare l'ambiente criminale da parte dei suoi pazienti. Infatti prima di accettare un incarico, la donna vuole la prova che il suo assistito abbia davvero abbandonato la yakuza una volta per tutte. Inoltre, non tollera le mazzette o le minacce di chi vuole saltare la lista d’attesa. "Fortunatamente, non capita spesso" afferma Yukako "e comunque la polizia mi garantisce sempre protezione". La sua è un'etica ben precisa che però non ha impedito il nascere di equivoci: la sua famiglia l'ha accusata di incoraggiare i gangster e a causa di questo lavoro ha dovuto interrompere una relazione sentimentale.
 

Per fortuna non tutti la pensano così e anche il governo la sostiene: nel 2004 e nel 2012, le sono stati assegnati riconoscimenti per la sua attività che contribuisce quotidianamente alla riabilitazione e alla reintegrazione sociale degli yakuza. Così, a dispetto di tutte le difficoltà, Yukako continua il suo lavoro: usando all’incirca 20 colori, è capace di ricreare più di 1000 tonalità differenti di carnagione, con un realismo e un'attenzione ai dettagli che rendono difficile distinguere la protesi dal resto della mano, per aspetto, consistenza e, appunto, colore.
Siccome i mignoli finti non si possono piegare, Yukako osserva da vicino le abitudini di ogni cliente, per vedere come usa e come muove le mani e così regolare la curva delle dita. Dietro il suo lavoro c'è anche un profondo studio della psicologia del cliente, di cui vanno compresi appieno i sentimenti. Il tutto produce una protesi che costa intorno ai 2.000 euro e che può durare circa 10 anni.
 

"Ci sono stati uomini che mi hanno raccontato di aver trovato lavoro, di essersi sposati e di aver avuto dei figli" confessa Yukako "altri mi hanno detto di essersi rimessi sulla buona strada. Hanno riallacciato i rapporti con le loro famiglie oppure sono semplicemente felici di essere vivi, dopo aver sperato mille volte di morire. Sono queste storie che mi danno il coraggio di continuare a fare quello che faccio. Non lavoro per gli yakuza: lavoro per tutti quegli uomini che vogliono una seconda chance nella vita e vogliono diventare un modello da seguire per i loro figli".

Fonti consultate:
Dozodomo
JapanTimes