"Ma questa... è solo un'altra storia.


...to be continued"

Circa un anno e mezzo fa, concludevo così un (per me) doveroso articolo di approfondimento sull'opera che è stata per me il primo impatto con il folle mondo di Hirohiko Araki, ovvero la prima stagione de Le bizzarre avventure di JoJo, una serie che è stata capace di riaccendere l'interesse comune per una saga che ha sempre goduto di grande popolarità nel fandom di settore ,ma che ha faticato a sfondare fino all'inizio del suo adattamento animato, complice un gap temporale gigantesco in cui sembrava essere sparita nel dimenticatoio (o nella gola di Vanilla Ice, chi lo sa).
 


Se oggi siamo qui, è proprio per portare avanti quel progetto, e proseguire in avanti nell'epopea della famiglia Joestar andando a sviscerare le gesta del suo protagonista indubbiamente più famoso e dell'arco narrativo che ha consacrato la famiglia Joestar nell'immaginario collettivo globale, ovvero Jotaro Kujo e Le bizzarre avventure di JoJo: Stardust Crusaders. Seconda parte dell'epopea produttiva di David Production, la serie è stata annunciata nell'Ottobre 2013, sebbene l'intento di trasporla fosse stato fatto intendere, oltre che dalle parole dello studio d'animazione, anche dal finale dell'ultimo episodio di Battle Tendency. In seguito, è andata in onda per 48 episodi divisi in due blocchi produttivi da 24 episodi ciascuno, dal 4 aprile 2014 al 19 giugno 2015, con una pausa per necessità di produzione di una stagione in mezzo.

Pertanto, oggi come allora, facciamo tornare le lancette dell'orologio a 10 anni fa, a un momento di JoJo che, se non fosse per gli Stand, non differisce di tanto da quello dell'altra volta, visto che torniamo comunque alla maschera di pietra e al (secondo) meme più molesto che internet abbia mai conosciuto (e che anche in questo caso riguarda Dio Brando).
 
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Per la rubrica "Immagini che puoi sentire"...

Innanzitutto va specificato come e perché questo adattamento sia cruciale per lo sviluppo della serie. Spiegazione che, a costo di sembrare ridondante, va nuovamente a sottolineare come quell'adattamento OAV del 1993 sia stato fallimentare. Seppur col tempo sia diventato un cult, esso non aveva nulla di JoJo, dell'epica tragica a cui Araki si è sempre ispirato e dell'atmosfera esagerata che permea l'opera, tranne l'eccellente atmosfera ansiogena dello scontro tra Dio e Jotaro. Complice fu, probabilmente, anche uno stile grafico non esattamente funzionale: per quanto fosse bello, artisticamente espressivo e molto richiamante l'Araki di quella parte del manga, qualcosa non funzionava: era troppo serioso ed era poca la possibilità dei personaggi di esprimersi attraverso la plasticità tipica di Araki.

Trovatasi a questo stesso bivio, David Production ha invece fatto la scelta più corretta: così come la prima stagione fu disegnata con uno stile artistico originale, pensato per richiamare le atmosfere del manga in un media completamente diverso, anche Stardust Crusaders avrebbe avuto uno stile "nuovo". Virgolettatura necessaria perché, occhio non mente, altro non è che una versione ancora più esagerata, marcata, con cambi di colore tra scene, menacing ancora più preponderanti e linee cinetiche ancora più cariche della prima stagione. Di fatto, però un cambio radicale non era necessario, e questa scelta aiuta molto a dare a questa serie un senso di continuità con la precedente: Stardust Crusaders è la conclusione di una trilogia, ed è sincera opinione di chi scrive che cambiare completamente stile di animazione non avrebbe giovato a restituire questa sensazione. L'obiettivo era, in fin dei conti, adattare fedelmente Stardust Crusaders, e questo anime ci riesce: è JoJo in tutto e per tutto, in stile, tragicità, esagerazione, gag e tempi comici.
 
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Notare come l'espressività facciale sia esagerata ma non strappi la scena

Inoltre, per motivi che mai sapremo perché i meccanismi dell'industria dell'animazione sono il multiverso del mistero, la quasi totalità dei problemi che avevano impalato sulla mediocrità il livello tecnico della prima stagione sono stati risolti: al netto di avere più di qualche volta momenti graficamente strani sugli sfondi, Stardust Crusaders risulta molto più gradevole, con combattimenti coreografati bene e animazioni che non si interrompono all'improvviso per poi saltare direttamente al finale con la furbizia riscontrata nella precedente stagione. Al contrario, vediamo animazioni molto dettagliate e soprattutto le vediamo nella totalità della serie, anche se in questo è probabilmente aiutata dalla sua naturale somiglianza con uno dei giochi che più si sarebbero ad essa ispirati, ovvero Street Fighter II: The World Warrior.

Stardust Crusaders ha infatti una struttura narrativa simile al concetto che sarebbe stato dietro la trama del secondo capitolo della celebre saga di Capcom, con i crociati della polvere di stelle che si spostano da un punto all'altro del mondo nel loro viaggio alla volta dell'Egitto, sconfiggendo sfidante dopo sfidante gli altri portatori di Stand fino ad arrivare al Boss Finale, Dio Brando. 
Ognuna delle 48 puntate ha uno scontro cardine, spesso articolato anche in più episodi, ogni puntata ha un nemico o più nemici che da/danno il nome al titolo e ogni episodio ha un momento climax fondamentale. Pertanto, se ogni episodio ha un climax, tutti gli episodi meritano la stessa attenzione e la stessa efficacia, ed è stato probabilmente anche questo il motivo del mantenimento di continuità con lo stile grafico della precedente stagione: non solo narrativa, ma anche pura e semplice convenienza in un contesto lavorativo come quello giapponese, che avrebbe altrimenti richiesto non una pausa maggiore, ma bensì uno sforzo produttivo maggiore da parte del team di David Production.
 
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Addirittura gli Stand hanno espressività

Questa struttura narrativa è inoltre un altro dei motivi per cui l'OAV aveva cannato completamente l'obiettivo: mancava del tutto la resa di questo concetto, erano numerosi i contenuti tagliati ed erano presenti errori grossolani anche dal punto di vista registico, che non aveva nulla di picchiaduro nei combattimenti. Oltretutto, la scelta di adattare in così pochi episodi l'arco (a quell'epoca) più lungo di tutto JoJo è stata semplicemente stupida e senza senso. Tuttavia, non è ovviamente solo per la sconfitta dello spettro di quell'OAV che questo adattamento è importante, ma anche e soprattutto per la natura artistica di Stardust Crusaders, che rappresenta sì l'arco narrativo che ha consegnato la popolarità alla famiglia Joestar, ma che ha anche liberato dalle catene l'estro creativo di Hirohiko Araki, e cambiato per sempre il modo di scrivere degli scontri in un manga (e non solo).

Se con l'Hamon il mangaka aveva introdotto un potere curioso e versatile, con gli Stand ha consegnato al mondo dell'arte qualcosa di sconvolgente: gli scontri non diventano più dei semplici incontri in cui chi riesce ad assestare il colpo decisivo vince, ma molto di più, e anche in questo Stardust Crusaders è estremamente picchiaduro: la strategia è fondamentale, il concetto alla base del proprio potere è spesso risolutivo, ed è vero che tutto questo appare strano visto che, in fin dei conti, lo Stand più forte ce l'ha Jotaro il cui potere è IOCHOIPUGNINELLEMANI, ma è pur sempre vero che qui vediamo un Araki per la prima volta alle prese con la sua nuova creatura e pertanto inesperto, che ha creato, consapevolmente o meno, un Deus Ex Machina capace di cambiare radicalmente l'esito di uno scontro.
 
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"Salve Darby, voglio fare un gioco con te"

Inoltre, suddetto elemento (nella fattispecie, Star Platinum, non Jotaro stesso) non è sempre il vero elemento risolutore della situazione di pericolo: numerosi sono i momenti dove i compagni (vedi per esempio Polnareff e Kakyoin contro Steely Dan) o Jotaro stesso (nei due scontri con i D'Arby) devono utilizzare invece ingegno, strategia, bluff e astuzia per venirne fuori, e la raffica finale di ORAORAORA non è altro che una vera e propria finisher, l'ultimo colpo di uno scontro il cui esito è già stato deciso dall'arguzia dei personaggi. Oltretutto, questo non accade nemmeno sempre, in quanto scontri come Death XIII non vedranno la benché minima partecipazione rilevante da parte dell'erede della famiglia Joestar.

Questo elemento si collega direttamente a una nota dolente dell'arco narrativo: Stardust Crusaders è, infatti, al netto del suo essere meravigliosamente epico, fin troppo semplicistico nella sua struttura narrativa. Certo, come già detto, questa scelta è indubbiamente voluta e non casuale, ma questo porta l'opera a risultare, appunto, molto lineare, in una struttura di scontro e risoluzione affidata a rotazione ai vari personaggi. Va' tuttavia riconosciuto che Araki, conscio dei limiti di quello che stava facendo, ha riversato molto del pathos narrativo e del suo ingegno nella scrittura degli scontri. Essi, infatti, non risultano scontati e banali nell'esecuzione quanto nel finale. Si percepisce il senso di predestinazione tipico dell'opera, che ti porta a pensare che, in un modo o nell'altro, i personaggi se la caveranno, ma il fulcro sta proprio qui: l'estro di Araki sta anche nel saper creare narrativa anche nella semplicità, articolando degli scontri il cui esito appare scontato e tenendo incollato lo spettatore/lettore nel cercare di scoprire come e con quale intuizione geniale riusciranno a cavasela i personaggi.
 
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Probabilmente uno degli scontri più iconici di tutto JoJo

Il cast di è infatti proprio uno dei veri punti forti di questo arco narrativo: con un feeling tipico dei film on the road alla "Stand by me" (citato anche nella prima opening Stand Proud sia dal titolo che con un frame in cui gli Stardust Crusaders camminano su dei binari) il cast appare unito, affiatato e sviluppa man mano dei rapporti veri e credibili. I pochi colpi di scena reali riguardano proprio lo sviluppo dei rapporti tra i personaggi, i loro passati che tornano a farsi sentire e che influenzano gli eventi in modi variegati. Al di là del fatto che il motore stesso degli eventi e il disperato tentativo di salvataggio di Holly Joestar, figlia di Joseph e madre di Jotaro, tutte le backstory dei personaggi, con maggior preponderanza di quella di Polnareff, si intrecciano nella storia principale di Stardust Crusaders, facendoti affezionare a loro e disperare per i loro momenti di sventura.

Arrivati al finale, infatti, seppur con una repentinità davvero eccessiva, Araki fa immediatamente capire che il viaggio non è stato nulla in confronto al Boss Finale. Anche in questo, la serie sembra in tutto e per tutto un picchiaduro, come se si stesse avviando il combattimento contro l'ultimo boss del gioco, con la curva di difficoltà che si impenna all'improvviso, ecco i crociati in piena crisi nel cercare prima di stanare Dio, poi di affrontarlo e infine sconfiggerlo. L'ultima parte di Stardust Crusaders non è altro che una sublimazione di tutto ciò che è stato fin dall'inizio, come se fosse un unico gigantesco combattimento in cui vediamo in atto strategie, contro-strategie, intuizioni all'ultimo secondo, rischi calcolati o meno, mosse disperate e qualunque folle piano salti in mente ai personaggi o, per meglio dire, ad Araki. Di fatto, la sensazione che si ha è che lo scontro che ha inizio da quando i personaggi mettono piede nella dimora di Dio sia una grande partita a scacchi, dove inevitabilmente delle pedine devono essere sacrificate in nome di un bene superiore, in un continuo crescendo emotivo che culmina, infine, con la tanto agognata sconfitta di Dio e la liberazione della famiglia Joestar da questo spettro che li tormenta da generazioni.



Nuovamente, va sottolineato come l'elemento del sonoro sia stato un encomiabile valore aggiunto alla lavorazione. La colonna sonora vede il debutto nella serie di Yugo Kanno, che sancirà un sodalizio tutt'oggi in corso con il franchise di JoJo, grazie a brani studiati per il momento, all'accompagnamento tematico e la regia musicale degli episodi. Numerose sono infatti le OST memorabili di Stardust Crusaders, anche se indubbiamente la più celebre è quella che porta il nome della serie e che fa da tema al personaggio di Jotaro Kujo, e l'uso di due brani storicamente celebri come Walk Like an Egyptian delle The Bangles a fare da Ending al primo cour e Last Train Home del Pat Metheny Group va in continuità con la precedente stagione.
Inoltre, l'aver richiamato celebrità come Daisuke Ono (che aveva interpretato già Jotaro in All Star Battle) e Takehito Koyasu (voce di Dio nella prima stagione) è da considerarsi senza ombra di dubbio un valore aggiunto al lavoro svolto. Il cast convince nella sua totalità nell'interpretazione attoriale, regalandoci vere e proprie perle comiche tipiche del doppiaggio giapponese che, doveroso ribadirlo, va giudicato in modo diverso in quanto diversi sono i modi di recitare rispetto all'italiano.
 
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Just as long... as you stand... stand (proud) by me
 
Le Bizzarre Avventure di JoJo: Stardust Crusaders è, pertanto, al netto di qualche sbavatura imputabile al materiale originale, un eccellente lavoro di prosieguo da parte di David Production, nella missione di adattare interamente tutta l'epopea della famiglia Joestar, nonché la possibilità di vedere finalmente un valido adattamento del terzo arco narrativo dell'opera di Araki. Anche qui, nuovamente, va sottolineato che il lavoro fatto nel renderlo "JoJo" sia stato encomiabile e che, senza questa attenzione, avremmo avuto probabilmente un buon anime che però avrebbe avuto poco a che vedere con il materiale originale in quanto a identità artistica. Con la conclusione di questa storia, giunge alla fine anche la prima trilogia della grande storia che Araki sta tutt'ora proseguendo con The JoJoLands... ma non è questo il momento di proseguire. Un giorno parleremo di diamanti indistruttibili, di città pazze, chiassose e bizzarre e di persone che vogliono solo condurre una vita tranquilla. Semplicemente, non sarà oggi. Questa, dopotutto... è solo un'altra storia.

...to be continued