Recensione
Naruto
9.0/10
“Sai qual è la vera vittoria? Non è sconfiggere una persona forte. È essere in grado di proteggere qualcosa che per te è importante!”
“Dragon Ball”, “One Piece” e “Naruto”. Probabilmente, se chiedete ad un appassionato di manga quali siano i tre migliori battle shounen serializzati in Giappone negli ultimi quarant’anni, vi risponderà citando le tre opere sopra riportate, in questo esatto ordine. D’altronde, allo stato attuale delle cose, credo sia impossibile imbastire un qualsiasi tipo di discussione sul genere senza aver mai letto questi tre capisaldi del fumetto giapponese. “Dragon Ball” di Akira Toriyama ha letteralmente fatto scuola per quanti coloro, a partire dagli anni ’80 in poi, si sono avvicinati al genere del battle shounen e hanno provato a sfondare in questo mondo. “One Piece” di Eiichirō Oda ha segnato intere generazioni di lettori e negli anni si è affermato come autentico fenomeno globale, riconosciuto e apprezzato anche da chi, di anime e manga, ci capisce poco o nulla. Per quel che riguarda “Naruto” di Masashi Kishimoto, manga che ha goduto la bellezza di ben quindici anni di serializzazione sulla rivista Weekly Shōnen Jump, direi che con calma ci arriviamo.
Orfano dalla nascita, Naruto Uzumaki è un ninja del Villaggio della Foglia, a cui piace fare dispetti in giro per attirare l'attenzione. Sebbene abbia solo dodici anni, già sogna di diventare Hokage, ossia il ninja a capo del villaggio. Da sempre bambino emarginato, Naruto scopre quasi per caso la ragione per la quale tutti lo tengono a distanza: dentro di lui è sigillato lo spirito della Volpe a Nove Code, un gigantesco demone sovrannaturale che anni addietro aveva raso al suolo il Villaggio della Foglia. Dopo essere entrato all'Accademia ninja, Naruto viene inserito nella squadra sette, composta da Sasuke Uchiha e Sakura Haruno, e guidata dal maestro Kakashi Hatake. Fra molteplici avventure in paesi dalle diverse culture e combattimenti avvincenti contro avversari pericolosi, inizia per Naruto un viaggio alla scoperta di sé stesso, delle sue origini, del valore dell'amicizia e dell'onore di essere ninja.
“Diventa un brav’uomo e un hokage rispettabile”.
Se si vuole parlare in maniera approfondita del manga di Masashi Kishimoto, è inevitabile operare una netta distinzione tra la prima grande saga, l’autentico “Naruto”, e la seconda, conosciuta anche con il nome della serie televisiva ad essa ispirata, ovvero “Shippuden”, il che ricorda molto la distinzione, tipica del prodotto animato, tra “Dragon Ball” e “Dragon Ball Z”.
“Naruto”, quello che ha inizio nel volume 1 e trova la sua conclusione nel numero 27, è un capolavoro assoluto, un manga in grado di competere con i più grandi shounen mai dati alle stampe dall’editoria giapponese. Il lettore, almeno così è stato per il sottoscritto, capisce subito di trovarsi dinanzi ad un’opera magnifica, che potrebbe cambiare per sempre la sua vita. La prima mini-saga di “Naruto” e una delle migliori in assoluto, infatti, è quella di Zabusa, un biglietto da visita oltremodo invidiabile. Da quel momento in poi, il manga è tutto in discesa e la lettura dei volumi successivi diventa sempre più avvincente e travolgente col passare dei capitoli. Kishimoto, oltre che nel disegno, è molto abile del tratteggiare i suoi stessi personaggi, che – esclusi i protagonisti – vengono introdotti un po’ per volta e a cui dedica dei flashback magistralmente orchestrati. Ciò rende estremamente facile empatizzare ed affezionarsi ad ognuno di essi, villain compresi, emblematico l’esempio di Gaara. Inoltre, Kishimoto riesce a sfruttare al meglio l’ambientazione accademica di questa prima grande saga di “Naruto”, senza compiere enormi voli pindarici e mantenendo, il più delle volte, il focus sugli esami che gli aspiranti ninja devono sostenere. Neanche a dirlo, tutta la parte del torneo, liberamente ispirata al manga di Toriyama, è incredibilmente affascinante e coinvolgente. Soprattutto, durante il suo svolgimento, Kishimoto ha la possibilità di approfondire i suoi stessi personaggi che, un poco alla volta, conquistano i lettori: si rafforzano vecchie amicizie, nascono nuove rivalità e si stringono legami. Su tutti, a mio parere, spicca il personaggio di Shikamaru, intelligente e calcolatore, amichevole e carismatico, colui che, proprio grazie alle gesta compiute in questa prima parte del manga di Kishimoto, si è conquistato un posto speciale nel mio cuore. Tutto ciò contribuisce a rendere “Naruto” una lettura appassionante e frizzante, il cui climax è ovviamente rappresentato dal volume 26, quello in cui si consuma il più grande scontro di tutto il manga. Personalmente, il mio cuore è rimasto lì, a quella cascata tra le statue di Hashirama e Madara. Come prevedibile, Kishimoto non ha mai più toccato la vetta raggiunta in quell’occasione.
“Il manga si sarebbe dovuto fermare alla saga di Pain”, questa è la frase più utilizzata dai fan di “Naruto” quando si parla di “Shippuden” e, effettivamente, non hanno tutti i torti. Da un lato, è vero che, fino al volume 50, il manga di Kishimoto si mantiene su un ottimo livello. I ninja del villaggio di Konoha, cresciuti in seguito al time skip in stile “One Piece”, ingaggiano numerosi ed incredibili scontri con i membri dell’Akatuski, che portano con sé alcuni momenti clamorosi: l’ascesa del personaggio di Chiyo-Baa-Sama, il sacrifico di Jiraiya e Asuma e, senza ombra di dubbio, la redenzione di Itachi. Questo nonostante la storia ideata da Kishimoto inizi a mostrare i primi segni di decadimento, come i ripetuti e ripetitivi allenamenti di Naruto o il tentativo da parte del mangaka di trasformare il suo protagonista in un pacifista assoluto, alla Thorfinn di “Vinland Saga”, nel giro di pochi, sparuti capitoli. D’altro canto, però, la parabola discendente vera e propria del manga inizia più avanti, con l’avvento della guerra ninja. Un susseguirsi di volumi tutto sommato discreti, ma in cui Kishimoto sembra perdere il filo della narrazione, si dimentica molti dei personaggi secondari a cui aveva dato notevole importanza in tempi neanche troppo remoti, offre spiegazioni sempre meno convincenti e rovina completamente uno dei suoi protagonisti, ovvero Sasuke. In mezzo a questo marasma, si salva unicamente il volume dedicato al flashback straziante di Kushina, che mi ha portato a delle lacrime difficili da trattenere. Certo, altri momenti di spessore non mancano, ma è indubbio che gli ultimi 20 volumi di “Shippuden” perdano di brillantezza, la medesima che caratterizza, invece, tutta la prima parte del manga di “Kishimoto”, per cui ben si adatta, a mio avviso, questa definizione: un capolavoro riuscito per due terzi.
D’altronde, neanche il finale, seppur ammantato di una certa aria di nostalgia, è riuscito ad emozionarmi, come invece accaduto per altre letture del medesimo genere – penso a “Dragon Ball”, per esempio. Questo, mi duole ammetterlo, perché alla fine del percorso sono giunto stremato, probabilmente come lo stesso Kishimoto, a cui, però, bisogna dare un grande merito: aver creato un manga immortale, il cui nome – “Naruto” – risuonerà per sempre nei cuori dei lettori di fumetti sparsi in tutto il mondo.
“Dragon Ball”, “One Piece” e “Naruto”. Probabilmente, se chiedete ad un appassionato di manga quali siano i tre migliori battle shounen serializzati in Giappone negli ultimi quarant’anni, vi risponderà citando le tre opere sopra riportate, in questo esatto ordine. D’altronde, allo stato attuale delle cose, credo sia impossibile imbastire un qualsiasi tipo di discussione sul genere senza aver mai letto questi tre capisaldi del fumetto giapponese. “Dragon Ball” di Akira Toriyama ha letteralmente fatto scuola per quanti coloro, a partire dagli anni ’80 in poi, si sono avvicinati al genere del battle shounen e hanno provato a sfondare in questo mondo. “One Piece” di Eiichirō Oda ha segnato intere generazioni di lettori e negli anni si è affermato come autentico fenomeno globale, riconosciuto e apprezzato anche da chi, di anime e manga, ci capisce poco o nulla. Per quel che riguarda “Naruto” di Masashi Kishimoto, manga che ha goduto la bellezza di ben quindici anni di serializzazione sulla rivista Weekly Shōnen Jump, direi che con calma ci arriviamo.
Orfano dalla nascita, Naruto Uzumaki è un ninja del Villaggio della Foglia, a cui piace fare dispetti in giro per attirare l'attenzione. Sebbene abbia solo dodici anni, già sogna di diventare Hokage, ossia il ninja a capo del villaggio. Da sempre bambino emarginato, Naruto scopre quasi per caso la ragione per la quale tutti lo tengono a distanza: dentro di lui è sigillato lo spirito della Volpe a Nove Code, un gigantesco demone sovrannaturale che anni addietro aveva raso al suolo il Villaggio della Foglia. Dopo essere entrato all'Accademia ninja, Naruto viene inserito nella squadra sette, composta da Sasuke Uchiha e Sakura Haruno, e guidata dal maestro Kakashi Hatake. Fra molteplici avventure in paesi dalle diverse culture e combattimenti avvincenti contro avversari pericolosi, inizia per Naruto un viaggio alla scoperta di sé stesso, delle sue origini, del valore dell'amicizia e dell'onore di essere ninja.
“Diventa un brav’uomo e un hokage rispettabile”.
Se si vuole parlare in maniera approfondita del manga di Masashi Kishimoto, è inevitabile operare una netta distinzione tra la prima grande saga, l’autentico “Naruto”, e la seconda, conosciuta anche con il nome della serie televisiva ad essa ispirata, ovvero “Shippuden”, il che ricorda molto la distinzione, tipica del prodotto animato, tra “Dragon Ball” e “Dragon Ball Z”.
“Naruto”, quello che ha inizio nel volume 1 e trova la sua conclusione nel numero 27, è un capolavoro assoluto, un manga in grado di competere con i più grandi shounen mai dati alle stampe dall’editoria giapponese. Il lettore, almeno così è stato per il sottoscritto, capisce subito di trovarsi dinanzi ad un’opera magnifica, che potrebbe cambiare per sempre la sua vita. La prima mini-saga di “Naruto” e una delle migliori in assoluto, infatti, è quella di Zabusa, un biglietto da visita oltremodo invidiabile. Da quel momento in poi, il manga è tutto in discesa e la lettura dei volumi successivi diventa sempre più avvincente e travolgente col passare dei capitoli. Kishimoto, oltre che nel disegno, è molto abile del tratteggiare i suoi stessi personaggi, che – esclusi i protagonisti – vengono introdotti un po’ per volta e a cui dedica dei flashback magistralmente orchestrati. Ciò rende estremamente facile empatizzare ed affezionarsi ad ognuno di essi, villain compresi, emblematico l’esempio di Gaara. Inoltre, Kishimoto riesce a sfruttare al meglio l’ambientazione accademica di questa prima grande saga di “Naruto”, senza compiere enormi voli pindarici e mantenendo, il più delle volte, il focus sugli esami che gli aspiranti ninja devono sostenere. Neanche a dirlo, tutta la parte del torneo, liberamente ispirata al manga di Toriyama, è incredibilmente affascinante e coinvolgente. Soprattutto, durante il suo svolgimento, Kishimoto ha la possibilità di approfondire i suoi stessi personaggi che, un poco alla volta, conquistano i lettori: si rafforzano vecchie amicizie, nascono nuove rivalità e si stringono legami. Su tutti, a mio parere, spicca il personaggio di Shikamaru, intelligente e calcolatore, amichevole e carismatico, colui che, proprio grazie alle gesta compiute in questa prima parte del manga di Kishimoto, si è conquistato un posto speciale nel mio cuore. Tutto ciò contribuisce a rendere “Naruto” una lettura appassionante e frizzante, il cui climax è ovviamente rappresentato dal volume 26, quello in cui si consuma il più grande scontro di tutto il manga. Personalmente, il mio cuore è rimasto lì, a quella cascata tra le statue di Hashirama e Madara. Come prevedibile, Kishimoto non ha mai più toccato la vetta raggiunta in quell’occasione.
“Il manga si sarebbe dovuto fermare alla saga di Pain”, questa è la frase più utilizzata dai fan di “Naruto” quando si parla di “Shippuden” e, effettivamente, non hanno tutti i torti. Da un lato, è vero che, fino al volume 50, il manga di Kishimoto si mantiene su un ottimo livello. I ninja del villaggio di Konoha, cresciuti in seguito al time skip in stile “One Piece”, ingaggiano numerosi ed incredibili scontri con i membri dell’Akatuski, che portano con sé alcuni momenti clamorosi: l’ascesa del personaggio di Chiyo-Baa-Sama, il sacrifico di Jiraiya e Asuma e, senza ombra di dubbio, la redenzione di Itachi. Questo nonostante la storia ideata da Kishimoto inizi a mostrare i primi segni di decadimento, come i ripetuti e ripetitivi allenamenti di Naruto o il tentativo da parte del mangaka di trasformare il suo protagonista in un pacifista assoluto, alla Thorfinn di “Vinland Saga”, nel giro di pochi, sparuti capitoli. D’altro canto, però, la parabola discendente vera e propria del manga inizia più avanti, con l’avvento della guerra ninja. Un susseguirsi di volumi tutto sommato discreti, ma in cui Kishimoto sembra perdere il filo della narrazione, si dimentica molti dei personaggi secondari a cui aveva dato notevole importanza in tempi neanche troppo remoti, offre spiegazioni sempre meno convincenti e rovina completamente uno dei suoi protagonisti, ovvero Sasuke. In mezzo a questo marasma, si salva unicamente il volume dedicato al flashback straziante di Kushina, che mi ha portato a delle lacrime difficili da trattenere. Certo, altri momenti di spessore non mancano, ma è indubbio che gli ultimi 20 volumi di “Shippuden” perdano di brillantezza, la medesima che caratterizza, invece, tutta la prima parte del manga di “Kishimoto”, per cui ben si adatta, a mio avviso, questa definizione: un capolavoro riuscito per due terzi.
D’altronde, neanche il finale, seppur ammantato di una certa aria di nostalgia, è riuscito ad emozionarmi, come invece accaduto per altre letture del medesimo genere – penso a “Dragon Ball”, per esempio. Questo, mi duole ammetterlo, perché alla fine del percorso sono giunto stremato, probabilmente come lo stesso Kishimoto, a cui, però, bisogna dare un grande merito: aver creato un manga immortale, il cui nome – “Naruto” – risuonerà per sempre nei cuori dei lettori di fumetti sparsi in tutto il mondo.
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