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"Grand Blue Dreaming", ossia il trattato ontologico metafisico sull’essere (senza mutande) e sulla catarsi con l'ebbrezza…

Scrivere una recensione seria su questa serie anime del 2018 (di cui nel 2025 è uscito il sequel nella stagione estiva) è un'impresa ardua. Non mi era mai capitata la visione di un'opera del genere dove la demenzialità più surreale (ma anche riuscita) la fa da padrona a mani basse.

"Quant’è bella giovinezza/che si fugge tuttavia!/Chi vuole esser lieto, sia,/di doman non c’è certezza." (Canzona di Bacco - Lorenzo de' Medici)

Etichettare "Grand Blue" come una serie comico/demenziale è tuttavia riduttivo. Sotto la maschera della leggerezza e spensieratezza, questa serie mi è sembrata soprattutto un tuffo plateale nella giovinezza: una combriccola di studenti universitari con il culto ossessivo della sbornia come momento di aggregazione si divertono tra immersioni subacquee (poche - come attività di club) e momenti di frequenza all'università che diventano esclusivamente il pretesto per una serie di gag demenziali e un repertorio infinito di espressioni "deformed" che dovrebbero essere prese in considerazione come modelli dell'umorismo grottesco di tutte le serie anime.
È una serie anime che praticamente dichiara guerra al buon senso e alla logica e a mio avviso la vince tra molti alti e qualche basso. La sua visione va affrontata con l'approccio del fanciullo (e, non a caso, utilizzo il genere maschile...): è istintivo, fisico e situazionale, celebratore della ingenuità e della sfrontatezza, a tratti sguaiato, goliardico, cameratesco.
Di sicuro è anche un inno all'amicizia, quella più tipicamente "maschile", che si forma e cementa attraverso veri e propri riti collettivi di sbronze, situazioni idiote e sincera complicità che anche negli apparenti momenti di confronto e contrasto si alimenta e rafforza in un circolo virtuoso di rispetto e considerazione reciproca.

Quindi sono al bando ogni forma di considerazioni serie e impegnate: se si pensasse che l’università fosse fatta di libri, esami e crescita personale verso il mondo adulto e delle responsabilità, "Grand Blue" resta ancorato ad una visione della realtà piuttosto infantile e giocosa. La vera essenza della formazione è costituita dall'imparare a reggere l’alcol, a perdere i pantaloni e underwear con dignità e stile, a dare sfogo agli istinti fanciulleschi senza freni inibitori e verecondia.

Il protagonista Iori Kitahara (e di conseguenza lo spettatore) si ritrova arruolato in un club di subacquei che passano più tempo a svuotare bottiglie che a riempire bombole d’ossigeno. I membri del club di sesso maschile sono tutti piuttosto "originali" nella loro stupidità ma il fulcro della serie è rappresentato dalle interazioni surreali tra Iori e Kohei, altra matricola universitaria che, pur essendo un otaku fissato con gli anime, si rivela la c.d. spalla ideale di Iori in questa cavalcata nella demenzialità senza limiti.
Ad onore del vero anche i personaggi femminili non sono tanto da meno: in apparenza sembrano un pelo più mature ma poi a loro modo rappresentano il classico immaginario maschile delle ragazze molto carine, ingenue (ma in alcuni casi furbe e maliziose), che in apparenza subiscono le goliardate dei maschi, ma che li mettono subito in riga sottomettendoli come se fossero i loro punti di riferimento al posto della famiglia.

"... But girls, they wanna have fun!" (Cyndi Lauper)

In questo contesto di eterna estate in cui si muovono i personaggi, "Grand Blue" non offre in questa prima serie particolari spunti "romance" come potrebbe essere lecito attendersi. L'attrazione amorosa resta ancorata a una dimensione fisica, superficiale e poco sentimentale, in cui tutti i personaggi pensano solo a divertirsi con un approccio squisitamente epicureo del "carpe diem" senza nessuna attenzione alle conseguenze e al futuro. E anche le ragazze non si sottraggono alla nobile arte di affogare… nell’alcol e non nel mare e nelle loro fissazioni o debolezze. L’acqua in fondo è solo un pretesto: il vero oceano in cui i protagonisti si immergono è fatto di alcolici, nudità imbarazzanti e urla tribali di giubilo che raramente mi è capitato di sentire con la frequenza della serie.

"Grand Blue" diventa irresistibile solo a condizione di non nutrire alcuna aspettativa di impegno e serietà. Allora le situazioni assurde, i dialoghi sagaci e le facce deformate dei personaggi sono un’arma di comicità senza contromisure. E nel delirio della demenzialità, "Grand Blue" riesce anche a emozionare per il contrasto tra gli estremi con cui passa con una naturalezza disarmante nello stesso episodio: basta pensare come gli improbabili subacquei passano dalla baldoria alcolica alla contemplazione delle splendide e silenziose profondità del mare.
Come se si passasse dalle atmosfere caciarone di "Animal House" o di "American Pie" alla fotografia e alle atmosfere meravigliose di "Balla coi lupi".
E "Grand Blue" offre dei brevissimi momenti di introspezione e considerazioni su quanto i protagonisti stanno vivendo nella loro transizione dalla adolescenza all'età adulta: forse, ad essere onesto, sono pochi e per i miei gusti ne avrei aggiunti altri proprio per donare ai personaggi un minimo di tridimensionalità per farli ergere dallo status di macchiette cui sono relegati a rango di personaggi realistici e credibili.