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selene90

Episodi visti: 6/6 --- Voto 9
“Gosenzo sama Banbanzai” è una mini serie OAV del 1989, diretta da Mamoru Oshii, emblematico regista famoso per lavori registicamente tanto magistrali quanto cervellotici.
"Gosenzo" non fa da eccezione allo stile di Oshii, che anzi dimostra con questo lavoro di essere alla costante ricerca di un nuovo metodo di narrazione e di espressione: lo stile di questa serie è infatti totalmente non convenzionale, e di suo screma gli spettatori, lasciando che i più abbandonino la visione dopo pochi minuti dall’incipit.
Un po’ come i più moderni Yuasa o Ikuhara, che rinunciano al mainstream, in favore di opere che selezionano accuratamente gli spettatori più interessati, Oshii offre con “Gosenzo sama Banbanzai” un prodotto-critica alla crisi moderna del patriarcato nipponico, e alla fragilità della realtà.

Ma andiamo con ordine: innanzitutto lo stile. Oshii mette in scena, a tutti gli effetti, quella che sembra essere una rappresentazione teatrale. I personaggi, essenzialmente sei, si rivolgono frontalmente allo spettatore, hanno le fattezze di marionette di legno e si muovono all’interno di scene statiche.

La sceneggiatura si compone di monologhi o dialoghi pieni di riflessioni, che risultano destabilizzanti per lo spettatore, poiché prendono forme imprevedibili ad ogni scena. Attraverso la storia della famiglia Inumaru, il cui stabile benessere viene fatto vacillare dall’arrivo di quella che si presenta come “la nipote venuta dal futuro”, viene messa in luce la rappresentazione del valore dei legami familiari. Esistono e sono reali o sono il frutto di una convenzione umana? “madre” “padre” “figlio” e via discorrendo, costituiscono niente più che delle maschere da indossare per un periodo della nostra vita, ma che possono sommarsi ad altre, nel tempo. Chi è “figlio”, può diventare anche “padre” e via dicendo, proprio in base alle convenzioni decise dalla società, in un’eterna storia di legami che non si conclude mai. Ma questo si lega ad un altro quesito messo in luce da Oshii: la maschera che stiamo indossando in un particolare momento della nostra vita, è proprio quella che vogliamo e che sentiamo nostra?

L’anime non è semplicissimo da seguire, a causa del continuo cambio di registro, che passa da momenti esilaranti, ad altri tragi-comici più seri. I personaggi stessi dimostrano, con i loro dialoghi, come un semplice cambio possa stravolgere l’intera vicenda, facendo ribaltare la prosecuzione dell’opera.

Sicuramente un titolo geniale che mi viene facile consigliare, ma soltanto a chi non ha paura di annoiarsi perché “non si capisce che registro espressivo si voglia usare”.


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AkiraSakura

Episodi visti: 6/6 --- Voto 8
Questa serie di sei OAV diretta da Mamuru Oshii con le musiche di Kenji Kawaii è molto particolare, e per apprezzarla appieno bisogna conoscere bene la società giapponese e l'importanza che essa attribuisce ai legami di sangue. La crisi moderna del patriarcato nipponico è stata accennata in molti anime, come ad esempio il controverso "Wicked city", in cui il tema principale era l'ansia di castrazione. Con "Gosenzosama Banbanzai!" Oshii ci offre un riflessivo lavoro sul mutamento di questo modello familiare e sull' effettiva irrilevanza dei legami di sangue, usando il linguaggio del teatro.

L'arrivo di una ragazza dal futuro, che afferma di essere la nipote del giovane figlio di una famiglia nucleare tradizionale, è l'elemento di disturbo che fa incrinare i rapporti padre-madre-figlio, con conseguente "castrazione" del padre, che perde completamente il potere sul figlio e sulla moglie.
I personaggi vengono rappresentati, simbolicamente, come marionette, che spesso nelle loro numerose riflessioni, cariche di esistenzialismo e post-modernità, si rivolgeranno direttamente allo spettatore. Ogni episodio, molto simpaticamente, viene sempre introdotto da una escursione naturalistica, in cui il comportamento di un determinato animale anticipa il tema trattato e offre spunti di riflessione su di esso.

Questo prodotto è in definitiva molto di nicchia, difficile da trovare e adatto solo a chi è interessato alla cultura giapponese e ai cambiamenti sociali, con relative conseguenze, che la modernità ha portato nel tradizionalista Paese del Sol Levante.
Dal punto di vista di storia dell'animazione, penso che questa serie abbia, come è stato notato nelle altre recensioni, anticipato il genere demenziale definito da "FLCL", notissimo lavoro della Gainax. Questo conferma il fatto che Oshii è stato sempre avanti con i tempi, ed è forse per questa ragione che le sue opere "pre-Ghost in the Shell" siano rimaste ignorate dal mainstream.


 2
Pan Daemonium

Episodi visti: 6/6 --- Voto 9
"Gosenzo-sama banbanzai", dramma tragicomico in sei atti, è un'opera eccelsa, ma sconosciuta di Mamoru Oshii.
Come si può notare non ho parlato di anime, ma di dramma tragicomico, perché sostanzialmente questo è o questo vuole rappresentare.
La trama, se così la si può identificare, è abbastanza importante, seppure non è solo il contenuto, ma anche, e forse soprattutto, la forma che lo contiene a essere la reale protagonista di GB. La rappresentazione è abbastanza plautina, riferendomi a Plauto, commediografo latino che amava rompere l'illusione scenica, mostrando ogni tanto al pubblico gli attori non come personaggi, ma come attori, come finzione ed emulazione del reale. Così avviene anche qui, perché fin dal primo atto troviamo piccoli monologhi di questo o quel protagonista - lo sono tutti - diretti esplicitamente allo spettatore.
Non solo non è un dramma "realistico", se così possiamo intendere la visione plautina, ma è anche critico verso il dramma stesso, o più che altro verso la trasformazione della realtà in dramma, mentre normalmente dovrebbe essere il dramma a tentare di divenire realtà, emulandola.
La vita di una famiglia di tre membri è l'ispirazione per questo attacco: gli avvenimenti che si ripetono circolarmente e quindi la monotonia, la voglia di interpretare ipocritamente, comunque sia, il modello idealizzato della famiglia del Mulino Bianco, quella felice e sorridente e quindi teatralizzata e cioè finta.
Non solo tutto ciò è facilmente comprensibile, ma viene anche esplicitamente detto dagli stessi personaggi nei loro continui riferimenti.

"È inutile aspettare! Continuare a recitare una stupida sceneggiata scontata..."
Questo viene detto nel primo atto, a conferma di tutto ciò. Gli autori, proprio essendo contrari a sceneggiate così banali, decidono non solo di farle attaccare dall'interno, cioè dai personaggi tramite la loro voce, ma anche di inserire una trama e dei personaggi sorprendenti e destabilizzanti per metter su una vicenda meno comune.
Che tutto ciò sia, inoltre, formalmente un dramma è confermato anche dal fatto che sono solamente sei le "facce", o meglio gli attori, di cui uno interpreta più maschere, più personaggi, un po' come si faceva nell'antica Grecia e forse anche nell'antica Roma, dove un solo attore maschile interpretava tre o quattro figure, comprese le femminili. Non parlo di protagonisti, parlo di attori. Così come in un dramma a teatro non ci sono comparse, per motivi di spazio, allo stesso modo anche in "Gosenzo-sama banbanzai" non ci sono assolutamente comparse (tranne un bambino nel 2° atto, uno yakuza nel 3°, un camionista nel 6° e forse qualcun altro, ma non rimembro); viene anche usato l'espediente dell'odio della madre di famiglia per i vicini e poi della voglia della nuova venuta di rimanere sola con i neo-parenti per evitare di ambientare le vicende in un ambiente esterno con altri umani. Addirittura l'unica volta che le scene sono ambientate all'esterno si tratta di una spiaggia sperduta. Notate, inoltre, come nel 5° atto, quando due protagonisti taccheggiano un negozio, non si veda neppure un essere umano, neppure uno.
Per finire, notate come nel 5° episodio in testa ai protagonisti cada ciò che a me è sembrato nient'altro che uno di quei grossi fari da teatro.

"Un balzo dalla routine quotidiana, uno scenario irreale... ed è proprio per questo motivo che suo marito ha accettato questa storia."
"E perché?"
"Mettiamola così, perché le persone a volte, anzi, regolarmente dedicano la propria vita alla finzione." (3° atto)

Il doppiaggio è davvero ottimo, sia nei monologhi d'introspezione sia nelle parti comiche, perché ce ne sono abbastanza, anche le musiche e le canzoni adoperate quasi come intermezzo per ristorare gli animi degli spettatori teatrali sono fantastiche - e fate caso agli applausi finali.
Forse sono proprio i monologhi d'introspezione, quelli che concentrano tutta l'attenzione su chi parla, sia a livello di luci sia a livello di telecamere, a essere un po' pesanti o contorti in alcuni punti, ma fa tutto parte del copione.
La serie è da vedere, ma non per tutti, anzi, diciamo che è per i pochissimi che già conoscono o hanno ben compreso il genere.


 3
Locke Cole

Episodi visti: 6/6 --- Voto 9
Opera di Mamoru Oshii risalente al 1989, questa serie OAV composta da sei episodi non è passata alla storia né alcuno pare conservarne il ricordo e questo beffardo destino è motivato da ovvie ragioni. La serie a mio avviso è infatti la composizione più sperimentale elaborata dal maestro, un lavoro d'innovazione e complessità senza precedenti, che non è comprensibile dal grande pubblico ma apprezzabile in tutta la sua sublime arte solo da una cerchia raccolta di individui altamente accorti con uno spiccato gusto verso l'estremo sperimentalismo.
In quanto tale, "Gosenzosama Banbanzai!" può essere valorizzato da un insieme di persone fors'anche più ristretto di quello che è riuscito ad apprezzare la bellezza di "Tenshi no Tamago". Dove però quest'ultimo era un'opera altamente simbolista e allegorica, pregnante di significati aperti all'interpretazione, il lavoro in esame invece si spinge possibilmente oltre, ricercando l'aspetto metaforico e conciliandolo con la tecnica teatrale dell'assurdo.
Si potrebbe definire a ragione questa produzione come un "FLCL" ante litteram (con l'accortezza di considerare quest'ultimo titolo come un'opera dell'assurdo dalla forte connotazione psicologica e non una mera commedia paradossale), dove però il primo non nasconde il proprio aspetto fittizio, rievocando apertamente l'ambiente teatrale.

La descrizione della trama va incontro a taluni inconvenienti: anzitutto risulterebbe inutile, inoltre sarebbe svilente e soprattutto si dimostrerebbe un compito d'insormontabile difficoltà. A ogni modo, la storia prende avvio dalla visita fatta da una nipote proveniente dal futuro al nonno, Yomoda Inumaru, che all'epoca è suo coetaneo e vive con i genitori.
Fin da subito ci si accorge che questo è solo un incipit fittizio, l'apertura della quinta scenica che permetta agli attori d'inscenare la propria commedia.
Il tutto inizia una domenica mattina, in un appartamento borghese, durante quei caldi pomeriggi nei quali non si fa altro che vivere, trascinati in una leopardiana monotonia causata dalla perdita della gioia dell'attesa nel giorno di festa. Questa noia di vivere verrà rapidamente infranta dall'entrata in scena dell'elemento inaspettato che innesca la vicenda, la sedicente nipote Maroko.

Sulla natura di ogni personaggio sorgeranno rapidi dei seri dubbi, l'intreccio diverrà convulso pur nella sua vacuità, la realtà scenica verrà portata all'attenzione mediante espliciti discorsi rivolti al pubblico, inscenando una commedia dell'assurdo che si destreggerà fra il genere tragicomico e disquisizioni di metateatro. Gli stessi protagonisti appaiono dopo pochissime scene nella loro veste di commedianti, mediante i discorsi che rivolgono direttamente al pubblico, le pose che assumono, stando spesso innanzi allo spettatore e fissandolo anche quando dialogano fra di loro, esponendo i propri pensieri apertamente e recitando mentre gli altri attori restano immobili in attesa che giungano le linee di copione loro destinate.
Anche gli ambienti e i tagli fotografici con cui vengono ritratti sono forieri di reminiscenze drammaturgiche, garantite dal lento utilizzo di scenari spesso chiusi e sobri, nei quali non mancano elementi di disturbo, come alle volte è possibile notare mediante la presenza delle luci da palco.

L'analisi più evidente avanzata dall'opera riguarda la concezione di famiglia che, utilizzando approcci che omaggiano personalità quali Pirandello e Beckett, viene sviscerato sin nell'intimo, fino alla considerazione puramente semantica e convenzionale, decostruendone organicamente qualsiasi sacralità, al punto di affermare a cuor leggero l'inconsistenza dei legami di sangue, dovendo questi basarsi su un carattere puramente fideistico dei più giovani nei riguardi degli antenati.
Altro tema è la fragilità della realtà, il cui relativismo può essere provocato dalla semplice ricezione dell'informazione. I personaggi e la regia giocano spesso con quest'idea, divertendosi a cambiare le carte in tavola e a mostrare come la semplice assunzione da parte degli spettatori di un evento possa pregiudicare lo svolgimento dell'intera vicenda, la quale con una minima pressione del copione può crollare, facendo decadere ogni convinzione e ribaltando qualsiasi prosecuzione.

La regia, affidata alle mani di un già sicuro Oshii, curatore a sua volta del soggetto originale, risulta perfetta e insieme alla sceneggiatura dona allo spettatore una narrazione dinamica pur nella sua ripetuta stasi scenografica. Se l'opera non si può definire coinvolgente, la spirale degli eventi non permette allo spettatore di divincolarsi dai pensieri e dai discorsi dei teatranti, i protagonisti di questa farsa il cui limite con la realtà è altamente oscillante, andando dall'ovvietà all'impossibilità di discernere l'una dall'altra.
Le soluzioni narrative, dai monologhi introspettivi alle diatribe dialettiche, sono sempre geniali e inaspettate sin dall'apertura dei singoli episodi, la quale, con l'eccezione dell'ultimo, avviene con la descrizione delle abitudini familiari di una particolare e differente specie di volatili.
L'umorismo, spesso amaro e parodistico, è una componente costituente l'opera stessa, risultando necessaria all'evocazione del clima di assurdo ricercato, esasperando l'irrealtà della situazione ma a sua volta riallacciandola ad una triste riflessione sulla realtà.
E' interessante notare come Oshii in questa occasione più unica che rara decida di abbandonare la sua peculiare lentezza espositiva per dedicarsi a uno stile molto rapido e spezzato, frammentando le scene in archi rigidamente chiusi che disgiungono lo sviluppo della narrazione.

L'aspetto tecnico concilia perfettamente il soggetto, mediante un disegno scarno ed essenziale, ben al di sotto dei limiti del realismo, che raffigura spesse volte i personaggi come delle bambole, marcando visibilmente le giunture di queste marionette nella loro recita sul palcoscenico. Sempre interessandoci all'aspetto grafico, le animazioni godono di un'eccellente cura, permettendo un fluido dinamismo dei corpi.
I brani, o meglio i sottofondi musicali che accompagnano la narrazione sono affidati al talentuoso Kenji Kawai, che dà già prova di sapere bene adattare una colonna sonora efficace a un soggetto mutevole.
Il doppiaggio merita a sua volta una considerazione notevole, specialmente in quest'opera, dove i protagonisti e i loro discorsi costituiscono la totale essenza del lavoro e similmente l'enfasi e la veemenza che i doppiatori donano loro vanno a caratterizzare profondamente la ricezione del soggetto da parte del pubblico. E' specialmente notevole la capacità di questi ultimi di variare efficacemente la propria interpretazione per ben delineare i cambiamenti che si hanno nell'oggetto dei discorsi, spesso alternati fra pubblico e scena, fra il mondo fittizio del palco e il mondo reale degli osservatori.

Tirando le somme, ci troviamo dinnanzi a un capolavoro, un'opera di estremo sperimentalismo e in quanto tale destinata a un pubblico di nicchia. Immancabile per i convinti appassionati di Oshii e per i cercatori d'innovazioni narrative, per coloro che valorizzano il teatro dell'assurdo e che hanno apprezzato "FLCL" in quanto profondo dramma psicologico, caldamente sconsigliato a chiunque altro.


 3
onizuka90

Episodi visti: 6/6 --- Voto 9
"Gosenzosama Banbanzai" è un miniserie di OAV del 1989 sceneggiata e diretta da Mamoru Oshii, celebre autore noto per film quali "Ghost in the shell", "Lamu-Beautiful dreamer" e "Patlabor".
Inizio anni '90, periodo in cui il giovane Oshii era in una fase ancora sperimentale del suo percorso artistico, in cerca di nuove modalità espressive e di narrazione. Questa piccola serie di soli sei OAV ne è una controprova evidente, considerato lo stile decisamente non convenzionale che la caratterizza. Come fin troppo spesso succede, perle di questo spessore cadono nel dimenticatoio dei capolavori ignorati dal grande pubblico, nonostante il pregio di cui si possono fregiare, risultando ben al di sopra della maggior parte dei prodotti mediocri che dilagano negli ultimi tempi, i quali tuttavia godono di un un successo strabiliante e quantomai immeritato.
Quando parliamo di "Gosenzosama Banbanzai" ci stiamo riferendo quindi a un'opera estremamente di nicchia, adatta a un pubblico ristretto di appassionati.

Come accennavamo poc'anzi la realizzazione di questa serie segue canoni completamente non convenzionali, mostrando un'originalità e una carica espressiva davvero notevoli.
La narrazione sembra quasi seguire lo schema proprio di una rappresentazione teatrale. Ciò si evince in modo chiaro e diretto da innumerevoli dettagli studiati con sorprendente cura: in primis i personaggi stessi hanno le fattezze di una marionetta, evidenti sono le giunture legnose degli arti e l'innaturale sproporzione di piedi e mani. Altro elemento fondamentale che conferisce all'atmosfera la sensazione di palcoscenico è la staticità dei luoghi ove si svolge la storia, i quali sembrano vere e proprie scenografie fisse in cui si muovono i personaggi. Questi adottano una gestualità e una recitazione tipica degli attori di teatro, inoltre le figure che non hanno scena rimangono come ferme, in attesa, mentre gli altri commedianti recitano la propria parte, all'interno di un insieme di luci e di comparse tipicamente teatrali e di grande effetto.

La sceneggiatura consiste prevalentemente in interminabili monologhi o dialoghi, densi di concetti e riflessioni dalla sconcertante profondità, riuscendo in modo considerevole nell'intento di sviscerare le tematiche di cui la serie si fa portatrice. Tali dialoghi/monologhi assumono le forme più disparate e imprevedibili, quali ad esempio la parodia dell'arringa di un processo, un fantomatico dibattito di logica, una romantica canzone, dimostrando ancora una volta come il talento incredibile dell'autore possa adattarsi a qualsiasi "modus" espressivo, saggiando la sua capacità nelle più disparate situazioni.
Una nota di merito va all'umorismo e all'ironia che costituiscono la componente fondamentale di moltissime scene, dando il sapore all'opera di una parodia intelligente ed efficace, a tratti assurda e demenziale, che tuttavia non tradisce mai il suo tono profondo nemmeno nei momenti di allegra ilarità.

Protagonisti di questa assurda storia sono i membri della famiglia Yomota, i quali, una domenica mattina, uguale a tante altre, si troveranno innanzi a un fatto che sconvolgerà la loro quotidiana tranquillità e che porterà le loro vicende verso tragici lidi.
Ci troviamo di fronte a un'opera geniale, che gioca sul concetto pirandelliano di vita come rappresentazione, in cui ognuno ha un proprio ruolo prestabilito dal quale non è possibile uscire.
Ognuno di noi durante il corso della propria breve esistenza indossa delle maschere, recita dei ruoli assai diversi a seconda della convenienza e della situazione. La maschera che ci accomuna e che principalmente ci viene imposta dalla società è quella che ci vede come parte di un nucleo familiare. Madre, padre, figlio, nipote, e via discorrendo sono tutte maschere che organizzano la nostra vita e che siamo destinati a cambiare nel corso del tempo. Così il padre è stato un figlio e il figlio diverrà un padre, l'eterna storia dei legami tra consanguinei si intreccia con la storia della vita di ognuno, che tuttavia, a differenza della prima, presenta un inizio e una fine, nascita e morte, eventi di cui non possiamo essere direttamente testimoni, se riguardano noi stessi, poiché infatti nessuno può essere testimone né della propria nascita ne della propria morte, ma soltanto di quelle degli altri. I legami di sangue e la relativa struttura familiare che si viene a creare attorno a essi sono solo una finzione, una convenzione fittizia che risulta però funzionale alla società, di cui ne costituisce la base fondante.

Dunque, qual è realmente il valore dei legami familiari? Non sono essi soltanto concetti frutto del linguaggio? Di una convenzione umana? Quando ci si accorge di ciò l'unità familiare si può incrinare e il seme del libero arbitrio smuove gli intorpiditi animi dei suoi componenti.
L'intera opera si avvolge in un intenso manto di relativismo, i personaggi spesso riescono, mediante la logica, a forzare le carte in tavola, a ribaltare a piacimento i concetti a seconda del punto di vista che adottano. Il linguaggio infatti fornisce solo una imprecisa ricostruzione di quello che è la realtà, e non ci è possibile sapere da che parte sta il vero e da che parte il falso finché non adottiamo un punto di vista esterno che ci permetta di liberarci da tali preconcetti. E ancora cadremo di nuovo in un'ottica relativistica, poiché è sempre possibile cambiare l'angolazione da cui si guarda il mondo circostante.

A questo punto non ci si può che chiedere se il ruolo che stiamo recitando sia davvero la maschera che ci appartiene e che noi vogliamo. Grazie all'avvento di un elemento disturbatore, che increspa la monotonia della vita familiare di tutti i giorni, il protagonista (e anche gli altri personaggi) cercherà in tutti i modi di scrivere una sceneggiatura per se stesso, interpretando un ruolo che non gli appartiene, cercando di dare una svolta alla sua vita, di iniziare una storia che sia sua e non imposta da altri, una propria ragione per vivere.
La tematica della famiglia viene dunque sviscerata con incredibile profondità, anche se spesso in modo un po' confusionario e delirante. Ogni personaggio presenta una psicologia, che si fonde un po' con gli archetipi del nucleo familiare: il padre, il figlio adolescente, i nonni; solo che i ruoli sono distribuiti in modo confuso e cambiano a seconda che predomini la verità o la messinscena.

Considerando globalmente l'aspetto tecnico, la regia risulta estremamente efficace, l'atmosfera è surreale, onirica, quanto di meglio ci si potrebbe aspettare da un'opera sperimentale. Le musiche vengono utilizzate alla perfezione, soprattutto nelle battute finali degli episodi; l'animazione rende ottimamente la gestualità e le espressioni dei personaggi, per l'epoca si tratta sicuramente di un ottimo lavoro, diretto in modo impeccabile.
Un espediente, poi, che ha incontrato il mio gusto e che ho trovato addirittura geniale è stato quello di aprire ognuna delle puntate con una sorta di parodistico documentario, che analizza gli aspetti comportamentali, relativi alla famiglia, di alcuni uccelli, portandoli metaforicamente in analogia con il comportamento umano, in particolare con ciò che accade nella relativa puntata. Questi siparietti che fanno da incipit a ogni OVA sono poi conditi con una sana vena di umorismo e di ilarità che li rende incredibilmente godibili e quasi leggeri, nonostante la loro profondità metaforica. L'unico punto oscuro di tutta l'opera rimarranno gli innumerevoli rimandi al marchio CocaCola, i quali mi sono tuttora inspiegabili.

Per concludere, non posso che consigliare la visione di questa perla dell'animazione, questa assurda parodia della società e dei ruoli che la vita ci impone.
Come direbbe Shakespeare: <i>Il mondo è un palcoscenico dove ciascuno deve recitare la propria parte</i>.


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alex83xyzq

Episodi visti: 6/6 --- Voto 6
Gosenzosama Banbanzai! è un anime, composto da 6 oav di 30 minuti, davvero singolare, sia dal punto di vista stilistico sia per le sue velleità filosofiche. I personaggi sono disegnati come marionette e quasi sempre si muove solo il personaggio che sta parlando, il che ricorda il teatro. L'effetto è molto suggestivo. E la protagonista è davvero affascinante.
Le puntate cominciano con brevi escursus naturalistici che si rivelano allegorie degli episodi.

La storia, dicevo, è particolarissima: una ragazza irrompe in una normale famiglia di Tokyo asserendo di giungere da un futuro non troppo lontano per poter vivere con i suoi antenati, per riscoprire il senso della famiglia, che nella sua epoca, afferma, è venuto meno. Il capofamiglia e il figlio le credono, la madre no e, indignata per il fatto che il marito non le crede, se ne va. In realtà però non è del tutto chiaro se sia vera o no questa storia del viaggio nel tempo, o se invece la ragazza sia una specie di truffatrice.
Uno dei cardini dell'anime è in effetti il desiderio di credere in ciò che può farci sentire vivi: il capofamiglia non dubita un attimo della storia perché ha trovato una "nipote" servizievole; il figlio, Inumaru, solo alla fine si convince che la ragazza sia una truffatrice, ma prima è cieco e vede in lei esclusivamente la ragazza di cui si è innamorato.

Pro: un anime che offre spunti interessanti, di stile sperimentale, una discreta colonna sonora (soprattutto l'ending del primo episodio mi è piaciuta), a tratti divertente.
Contro: verboso, talora surreale senza motivo, tendenzialmente un po' noiosetto e dispersivo. L'autore non mi dà l'impressione di aver sceverato a fondo le questioni proposte.
Comunque se cercate qualcosa di differente e particolare lo consiglio, ma non è un capolavoro.