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selene90

Episodi visti: 1/1 --- Voto 8,5
Attenzione: la recensione contiene lievi spoiler sia per l'opera che ne costituisce l'oggetto, sia per l'anime "Mawaru Penguindrum"

Chiunque abbia visto e apprezzato “Mawaru penguindrum”, saprà che metà del suo fascino lo deve al racconto (trasposto poi in film) “una notte sul treno della via lattea”, scritto nel 1927 e pubblicato nel 1934 (il film è invece dell’85). Benchè "Mawaru" non sia l’unico titolo ad aver beneficiato dell’incredibile storia di Miyazawa, trovo sia l’esempio più esemplificativo per parlare della grandiosità dell’opera.
Oggi ho voluto rivedere il film che ne è stato tratto e che, nella sua lentezza, sprigiona tutta la delicatezza di una trama carica di valori e di morale.

Giovanni e Campanella, i due protagonisti, nel film sono rappresentati come gatti antropomorfi (la prima licenza poetica che si prese il regista). Giovanni è molto povero e ha una madre malata, motivo per cui si dà da fare, dopo scuola, al lavoro, per racimolare soldi. È vittima del bullismo del compagno Zanelli, e trova in Campanella il suo unico vero amico. Un giorno, mentre è su una collina a riposare, avviene un piccolo miracolo. Uno strano treno si ferma davanti a lui. Giovanni (e come si scoprirà poco dopo, anche Campanella) vi salirà e inizierà così un viaggio onirico attraverso la via Lattea.

Giovanni non sa cosa sia quel treno, non sa dove lo porterà. Eppure perché vi sale? Perché è certo che sarà quel viaggio a dargli le risposte che cerca sul senso della vita?
Come nel più classico dei film in cui il viaggio è al centro di tutto, anche qui il senso vero che ne sta dietro è dato dai personaggi che Campanella e Giovanni incontreranno sul treno. Tutte le persone che vi saliranno, spiegheranno il loro punto di vista sul perché sono stati felici. Incredibile, a questo proposito, la scena della mela: i passeggeri dividono il frutto fra tutti i presenti, di modo che ognuno possa assaggiarlo.
Ricorda qualcosa? Proprio la mela che viene divisa tra i protagonisti di "Mawaru Penguindrum", e che li salva.


Bambino 1. “Perciò la mela rappresenta il cosmo stesso, un cosmo che puoi tenere in mano, un oggetto che collega il nostro mondo con l’altro”
Bambino 2. “Un altro mondo?”
Bambino 1. “Il mondo verso cui Campanella e gli altri passeggeri sono diretti”
Bambino 2 “Ma scusa, questo cosa c’entra con la mela?”
Bambino 1. “In altre parole la mela è anche una ricompensa per quelle persone che hanno scelto da sole di morire per amore”
Bambino 2. “ Si, però se muori finisce tutto”
Bambino 1. “No che non finisce! Kenji vuole dire che è proprio da lì che tutto ha inizio”
Bambino 2. “Io non ci capisco niente…”
Bambino 1. “È un discorso d’amore, come fai a non capire?”

Giovanni si ritroverà a fine viaggio più cresciuto rispetto a quando l’ha iniziato, consapevole che sia l’amore regalato a dare senso alla vita.
Il finale del film, come anche il finale tributo di "Mawaru," si rifà all’insegnamento buddista secondo cui l’esistenza è un continuo ciclo di vite, morti e rinascite.

Come scritto sopra, "Mawaru" è solo una delle tante opere che ha subito il fascino del racconto… anche Matsumoto prese spunto da questo per creare il suo treno per “Galaxy Express 999”.


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AkiraSakura

Episodi visti: 1/1 --- Voto 8
Nella cultura giapponese, il racconto di Kenji Miyazawa che dà il nome a questo film è un grande classico, a mio avviso paragonabile a quello che per noi occidentali è il "Piccolo Principe" di Antoine de Saint-Exupéry. Gli anime che in qualche modo si sono ispirati all'opera di Miyazawa sono innumerevoli: i primi che mi vengono in mente sono il celebre "Galaxy Express 999" di Leiji Matsumoto e il brillante "Mawaru Penguindrum" di Kunihiko Ikuhara, entrambi appartenenti a due annate ben distanti tra loro. Il film di cui scriverò è un adattamento cinematografico fedele al cartaceo, che ne ripropone l'atmosfera inquieta e sognante con fare molto riflessivo, lento, denso di quel tipico sense of wonder delle fiabe per bambini. Il regista alla guida di questa monolitica trasposizione è un vero e proprio veterano dell'animazione old school, Gisaburou Sugii, un nome misconosciuto ai più il quale nel corso della sua carriera ha lavorato in adattamenti animati di opere seminali del calibro di "Tetsuwan Atom", "Dororo", "Glass no Kamen" e "Genji Monogatari".

Per chi scrive vale la pena spendere qualche parola sulla storia di Giovanni e Campanella; i protagonisti di "Ginga Tetsudou no Yoru" sono due bambini che all'improvviso si ritrovano faccia a faccia con la perdita, con la percezione della morte - resa alquanto affascinante dal talento visionario di Miyazawa. I due si ritroveranno a viaggiare sopra un treno in grado di volare in un'immaginifica Via Lattea cosparsa di simboli religiosi, persone che scompaiono nel nulla di punto in bianco, cacciatori che raccolgono a braccia aperte uccelli dal sapore di zucchero, che volano eleganti in una danza di suoni eterei densa di malinconia. Il racconto originale del poeta giapponese, infatti, era stato scritto dopo ch'egli aveva perso la tanto amata sorella, ed è una personalissima riflessione sul ciclo dell'esistenza, densa di allegorie talvolta impenetrabili. La risposta all'eterno dilemma che tanto tormenta l'uomo sin dalla notte dei tempi in questo caso viene dal buddhismo, del quale Miyazawa era un fervente sostenitore. "Ginga Tetsudou no Yoru" è quindi un'opera per nulla banale, da assimilare col cuore di un bambino e l'esperienza di un'adulto.

Preso come film in se stesso questo adattamento risulta quanto mai giapponese, sia nella forma che nella sostanza; gli eventi procedono con immane lentezza, e viene data una grande attenzione a piccolezze e particolari apparentemente insignificanti, i quali potrebbero sfuggire allo spettatore occidentale occasionale. Lunghi silenzi alternati a sguardi che fissano nel vuoto, una generale tendenza alla cupezza ed alla pesantezza, sono elementi che caratterizzano una pellicola decisamente ostica per chi cerca del puro intrattenimento fine a sé stesso. Il dramma che si respira in questo macigno cinematografico è decisamente atipico, riflessivo; ogni scena pare appositamente dilatata per trasmettere una granitica e silenziosa inquietudine, che si agita in sterminati spazi dal colore della pece, spazi in cui è facile smarrirsi, risucchiati dal gioco sognante dell'eterno danzare della vita e della morte.