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Pan Daemonium

Episodi visti: 1/1 --- Voto 9
Le opere di Kafka han tutte una stessa atmosfera contorta, oscura e pesante che chiunque suo assiduo lettore può notare. Basta riportare alla mente "Il Castello", "Il Processo", i suoi vari racconti della serie "Un medico di campagna" e persino i suoi diari.
Proprio dalla suddetta serie viene tratto l'omonimo racconto qui trasposto ad anime. La bravura del regista consiste non solo nel riproporre in modo convincente l'atmosfera nebulosa, ma anche nel far sì che i personaggi stessi vengano assimilati dall'ambiente e ne diventino parte, divenendo perciò deformi, irrealistici ed esagerati. Indubbiamente il miglior modo per descrivere in modo visivo e grafico il mondo kafkiano.

D'altronde il termine stesso "kafkiano" ha assunto nel tempo l'accezione di "assurdo, insensato", cosa abbastanza falsa, perché in Kafka più che l'assurdo ci sono i due estremi: l'esagerazione e il vuoto.
In tutte le storie di Kafka il significato è strettamente personale, non v'è un codice di decrittazione univoco. Il medico, in questa narrazione, non è altro che la riproposizione del malato stesso. Tutto, difatti, ruota attorno a Rosa, l'amata domestica, il fiore che penetra nella carne del Landartz così come la "scheggia nelle carni" di Kierkegaard. Dato questo input credo sia facile comprendere alcuni avvenimenti della storia, ma, bisogna ricordare, che questa è solamente un'interpretazione come un'altra, niente di dogmatico.


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Robocop XIII

Episodi visti: 1/1 --- Voto 9
<i>“La vera via passa per una corda che non è tesa in alto, ma appena al di sopra del suolo. Sembra destinata a far inciampare più che a essere percorsa”.</i>

Se nel 2002 il regista Yamamura Koji si ispirava a un rakugo (un monologo comico giapponese) per produrre il suo corto, questa volta cambia completamente registro e si dedica ad un racconto di Franz Kafka, "Un medico di campagna", che dà il titolo alla raccolta di racconti del 1919 in cui è contenuta.
"Franz Kafka's A Country Doctor", annata 2007, è insieme ad Atama Yama (nomination agli Oscar 2003) l'opera di Yamamura che ha avuto più successo tra i critici cinematografici, facendo letteralmente incetta di premi. La giuria delll'Anifest Film Festival, che l'ha premiato come miglior corto, l'ha definito "ispirato, espressivo, originale, dimostrazione di un'eccellente capacità narrativa e d'animazione".

Ritengo praticamente obbligatorio avere letto il racconto di Kafka per potere godere appieno la visione di questi 20 minuti circa di animazione.
Quando lessi il racconto, provai una sensazione mai provata con un testo scritto, la capacità espressiva dello scrittore ceco riuscì infatti a trasportarmi in una dimensione onirica, la forza delle parole e delle immagini che ne scaturiscono è tale da riuscire a farti vivere un incubo a occhi aperti. Ma Yamamura, sebbene con tutte le limitazioni che derivano dal trasformare un racconto in animazione, riesce ad adattarlo alla perfezione.
Penso che anche Franz Kafka sarebbe entusiasta del risultato, perfino una frase come <i>"La porta si aprì sbattendo ripetutamente sui cardini, e fui investito da una folata calda, odorosa di cavalli."</i>, che esprime un'azione che contempla il senso dell'olfatto, riesce a raggiungere lo spettatore grazie alla natura sperimentale dell'opera.
Il regista giapponese non osa mettere mano sul racconto, nulla di quanto scritto viene cambiato, semmai adattato con diverse tecniche all'animazione, è il caso della voce narrante dello stesso dottore, che viene rappresentata da due piccoli omini neri, che prendono parola durante le scene come se nulla fosse, e nessuno dei personaggi, dottore compreso, si accorge di loro: si tratta di un corridoio tra il protagonista e lo spettatore.
Due voci come il dottore e il paziente, il primo rappresentante la parte razionale dell'uomo e il secondo quella emotiva, il primo afflitto dalla perdita della sua cara Rosa e il secondo afflitto da quel "fiore" nel fianco. Il paziente chiede al dottore di essere lasciato morire, ma anche il dottore (o meglio, uno dei due omini neri) dice "anch'io voglio morire", si tratta di un dualismo.

Movimenti inumani e repentini combinati con la mancanza di proporzione anatomica moltiplicano la vena sperimentale dell'opera, ma un altro grande aiuto arriva dalla particolare musica del duo femminile Syzygys, che ormai può vantare una certa esperienza in questo campo, avendo collaborato con Yamamura già in numerosi corti come Atama Yama, Bavel's Book, A Child's Metaphysics e Man & Whale.
Chi segue Koji Yamamura è a conoscenza dell'importanza che questo regista dà alla comunicazione, di come la utilizzi in modo pedagogico quando indirizza un prodotto ai bambini o di quando in Atama Yama decise d'improntare la narrazione sullo stile rokyoku. Ebbene in questo tassello della sua filmografia egli decide di tentare un altro approccio, includendo nel cast dei doppiatori la casata degli Shigeyama, attiva da 200 anni nel mondo del Kyogen, una forma di teatro tradizionale giapponese. Abbiamo quindi Sensaki (nato nel 1919) che doppia il dottore, suo figlio Shime (1947) che dà voce allo stalliere, e poi tre della generazione più giovane, Ippei nel ruolo del ragazzo e Shigeru e Doji come voci narranti. Tre generazioni che doppiano i ruoli più importanti, tralasciando Rosa per il semplice fatto che nel Kyogen si esibiscono solo uomini, anche in panni femminili se necessario.

Franz Kafka possiede un difetto e un pregio, che è lo stesso: i testi da lui scritti sono talmente criptici e simbolici che perfino le analisi degli esperti delle sue opere non si possono dire realmente oggettive, per quanto ben argomentate. Ritengo che le sue opere abbiano un grosso margine di soggettività, motivo per il quale vi consiglio di leggervi il racconto, guardarvi il corto e ottenere la vostra personale visione d'insieme.