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AkiraSakura

Episodi visti: 21/21 --- Voto 9
"Ginga Nagareboshi Gin" è un'anime decisamente intenso. Si tratta di uno shounen di formazione anni '80 duro e puro, nel quale i veri protagonisti sono i cani anziché gli uomini. La storia ha origine nelle ventose, fredde ed innevate alpi giapponesi, nelle quali gli orsi costituiscono una grave minaccia per la sopravvivenza dell'uomo. Gin è il cucciolo figlio di Riki, un carismatico cane da orso il quale, durante una caccia all'ultimo sangue, viene scaraventato nei meandri di un precipizio dalla sua monolitica, imponente e feroce preda. Da questo evento avrà inizio il viaggio di formazione che Gin intraprenderà al fine di vendicare il padre: egli dovrà uccidere Akakabuto, il temibile e sanguinario leader degli orsi bruni.

Inizialmente, l'anime si sofferma sul rapporto cane-padrone, mettendo in primo piano la crescita del cucciolo Gin e la conseguente maturazione del suo padroncino Daisuke. Il nonno di quest'ultimo, un burbero e brutale cacciatore di orsi dallo sguardo penetrante, sottopone il piccolo Gin ad un addestramento sfiancante, senza alcuno sconto, al fine di farlo diventare un valido cane da orso in grado di prendere il posto del padre scomparso. La maturazione del cucciolo induce un cambiamento in Daisuke, il quale, spinto dall'amore per il suo cane, si sottoporrà anch'egli ad un duro allenamento coronato da molteplici sacrifici e sofferenze. La voce narrante più volte mette l'accento sul fatto che Gin e Daisuke, uniti dai loro sforzi e dalla loro reciproca ed amorevole comprensione, siano diventati una cosa sola: quando Daisuke imparerà ad utilizzare l'arco, cane e padrone si recheranno sulle suggestive montagne giapponesi al fine di dare la caccia agli orsi in modo autonomo, senza l'aiuto degli adulti e confidando unicamente nel legame viscerale che li unisce.

Nella seconda parte della serie, Gin abbandona il padrone e si unisce a dei cani selvatici, alcuni dei quali sono anch'essi sfuggiti dai rispettivi padroni dopo aver sentito il richiamo del branco. L'uomo viene escluso dalla narrazione e i cani vengono caratterizzati come uomini: nell'anime l'unica differenza sostanziale tra uomo e cane è il fatto che l'uomo possa utilizzare arco, frecce e armi da fuoco; la natura ingloba tutto e mette tutti gli esseri sullo stesso piano, siano essi uomini o animali; l'unica differenza è che l'uomo possiede dalla sua parte la scienza, ovvero la capacità di plasmare la natura al fine di trarne vantaggio. Non siamo quindi di fronte ad un'opera che privilegia la natura rispetto all'uomo o viceversa: la legge del più forte vale sia nel mondo animale che nel mondo degli uomini, cambiano soltanto i mezzi. E' la natura stessa che ha permesso l'esistenza del potere e del suo culto: non a caso Akakabuto viene di sovente raffigurato assieme ad un'imponente pagoda, la quale simboleggia il potere nella sua accezione più totalizzante.
Il branco di cani senza padrone è mosso da sentimenti ed atteggiamenti tipicamente giapponesi: senso del sacrificio, rispetto, onore, coesione sociale, culto del leader; si potrebbe dire che i cani siano dei veri e propri guerrieri praticanti la via del bushido. Esattamente come in "Hokuto no Ken", in "Ginga Nagareboshi Gin" si assiste al trionfo dei valori giapponesi sul nemico che ne è privo: gli orsi comandati dal feroce ed insensato Akakabuto sono direttamente assimilabili ai predoni vagabondi e senza codice morale di "Hokuto no Ken", i quali puntualmente venivano fatti a pezzi dallo stoico protagonista.

Il più grande pregio di "Ginga Nagareboshi Gin" sono le atmosfere, le quali vengono coadiuvate da splendide musiche inserite sempre al momento opportuno in modo tale da creare più pathos possibile nello svolgimento delle vicende narrate. Musiche incalzanti, potenti, epiche, con tanto di brani drammatici commoventi e freddi assoli di chitarra elettrica che paiono emulare gli ululati fieri e disperati dei coraggiosi cani guerrieri senza padrone. Dal punto di vista grafico, i personaggi sono delineati da un tratto sporco, grezzo, virile, molto efficace in un'opera del genere; gli animatori hanno avuto molta cura nel trasporre le emozioni umane nei volti degli animali, tant'è che basta osservare le espressioni facciali di un determinato personaggio al fine di inquadrare subito la sua personalità. Molta suggestione deriva dalla visione dei fondali: gli onnipresenti boschi delle alpi giapponesi sono assai evocativi, e senz'altro hanno molto affascinato gli spettatori dei paesi nordici: in Finlandia, Danimarca, Norvegia e Svezia "Ginga Nagareboshi Gin" è diventato in breve tempo un cult molto popolare. A mio avviso un cult fatto veramente col cuore, il quale trasuda carisma da tutti i pori ed è un valido esempio di "potenza narrativa" tipicamente giapponese: drammi, amori, lacrime, sangue, avventure, combattimenti epici che spazzano via tutto con la loro inaudita ferocia e violenza. La disarmante prevedibilità delle vicende passa in secondo piano, anzi, diventa godibile ed avvincente, grazie al carisma e alla genuinità dell'opera.

Dal punto di vista registico si notano alcuni sperimentalismi visivi e delle trovate grafiche di gran classe; notevoli e sempre efficaci sono i classici primi piani intensi tipici della vecchia scuola dell'animazione, quanto mai appropriati in un'opera estremamente viscerale e drammatica. Non manca un vigoroso culto del guerriero esaltato in tutti i modi possibili, anche mediante l'utilizzo di inquadrature dal basso verso l'alto che contribuiscono a rendere ancora più carismatico il personaggio rappresentato. Le dipartite verso l'altro mondo di alcuni cani sono suggestive e brutali, come ad esempio una sanguinosa immolazione con tanto di volto del defunto che si erge imponente nel cielo; attacchi kamikaze nei quali un cane morde il suo avversario e si butta assieme a lui in un precipizio; belve dilaniate dai denti affilati ed aguzzi di altre belve dallo sguardo assassino e così via.
La serie riprende gli eventi della prima saga del manga coronandoli con un finale epico; inoltre sono assenti filler e lungaggini inutili: il tutto si svolge in soli ventuno episodi, senza tempi morti e senza alcun calo di ritmo. Insomma, "Ginga Nagareboshi Gin" è un vero e proprio fulmine a cielo sereno per gli amanti degli shounen d'annata, un piccolo grande cult il quale ancora oggi ha un solido e meritato seguito in parecchi paesi stranieri nonostante sia pressoché misconosciuto in Italia.


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The Narutimate Hero

Episodi visti: 21/21 --- Voto 9
"Certe volte gli animali sono più umani degli uomini stessi".
Quante volte sarà capitato di sentire-leggere le più disparate varianti di questa frase? Poi se crederci o non crederci dipende dalla mentalità di ognuno, ma la serie che verrà presa in analisi in questa recensione ci pone invece dinnanzi a un quesito simile, ma al contempo diverso. "Com'è che in quest'anime i cani sono più 'veri uomini' di molti umani protagonisti di altre serie?"
Eh si, perché Gin, Ben e tutti gli altri quattro-zampe al centro della vicenda sembrano usciti dalla succursale cinofila della Otoko Juku.

"Ginga Nagareboshi Gin" è una storia perfetta per il periodo invernale: è infatti ambientata sulle montagne Giapponesi, e il background è prevalentemente boschivo, con poche scene in altri tipi di località, e narra le vicende di un cagnolino di razza Akita (sì, come Hachiko) di nome Gin, nome dovuto al suo manto grigio-argentato, con delle striature che sin da subito rendono felice il suo piccolo padroncino Daisuke. Seguiremo nel corso dei 21 episodi la crescita interiore ed esteriore del giovane Akita, figlio e nipote di due grandi cani da caccia all'orso, entrambi appartenuti al nonno di Daisuke, Gohei, ed entrambi caduti però vittime della furia di Akakabuto, un enorme orso che abita le montagne vicino al villaggio dove vivono i protagonisti umani.
Riuscirà il giovanissimo Gin (che viene al mondo all'inizio del primo episodio) a vendicare i suoi predecessori e a diventare un grande cane da caccia all'orso a sua volta?

La parola "caccia" e il concetto di cane che combatte potrebbero fare storcere il naso agli amanti degli animali (di cui io faccio parte in maniera esponenziale, è bene dirlo subito), ma in realtà tutto questo dev'essere visto con l'ottica dei cani stessi: non è l'uomo che spinge il cane alla lotta, è il cane che per primo lancia il guanto di sfida all'orso, poiché questo vuole spadroneggiare come avido tiranno, e la caccia è messa in cattiva luce, perché Gohei è un cacciatore, ma è pure la causa della malvagità e della follia di Akakabuto, finito vittima di un proiettile del vecchio che gli cavò un occhio danneggiandogli il cervello e portandolo a essere un pericolo per tutti. La caccia all'orso non è dunque la soluzione al problema, ne è bensì la causa, e più volte gli uomini armati ma incapaci di fermare l'iraconda bestia verranno messi in cattiva luce rispetto agli orgogliosi cani che lottano con le loro sole forze.

"Ginga Nagareboshi Gin" non è però neppure una favola ecologista: potrà sembrare strano vista la quantità di violenza, viste le premesse vendicative, ma questa è soprattutto una storia d'amore. Amore di un figlio nei confronti del proprio padre e del proprio nonno; amore di un padrone per i suoi cani al punto tale da fare irrimediabilmente male a se stesso per salvarli; amore di un padre nei confronti del figlio; amore tra un "uomo" e una "donna" e verso ciò che da questo amore nascerà, con conseguente presa di responsabilità da parte di entrambi. Ma vi sono anche lealtà tra commilitoni - perché la caccia ad Akakabuto con il tempo diverrà una vera e propria guerra -, rispetto tra "uomini" e nei confronti dei veterani, i grandi vecchi che sanno che presto o tardi non ci saranno più e sarà per i giovani virgulti che dovranno lottare fino al loro ultimo fiato di vita. Insomma tutti concetti molto presenti, chi più chi meno a seconda dei casi, nelle serie coetanee a "Ginga", come il sopracitato "Otoko Juku", ma anche "Hokuto no Ken", "Kinnikuman" o "Saint Seiya".
Questa inoltre è una storia corale di crescita interiore ed esteriore, dove i personaggi intraprenderanno (quasi) tutti un percorso specifico, che li porterà ad affrontare difficoltà, scelte - a volte drastiche - e a incamminarsi verso il proprio destino, sia esso di salvezza o tragico.

Eh sì, perché il dramma è particolarmente presente in questa serie, molti personaggi sceglieranno coraggiosamente di sacrificarsi e/o saranno vittime del fato, ma la serie non cerca comunque la lacrima facile, ogni morte viene descritta con una perfetta pienezza di sentimenti e coinvolgimento e quando avviene solo il predestinato è al centro dell'attenzione, non vengono falciati personaggi solo per fare scena, ma si tratta di addii necessari per raggiungere l'obiettivo dei protagonisti. Insomma tutte morti che fanno parte del grande cerchio della vita che ruota intorno alla vicenda, e dopo avere provato la forza emotiva di alcuni addii non si può non pensare ad alcuni classici Disney con protagonisti degli animali, e in effetti alcuni martiri di quest'anime potrebbero benissimo essere immaginati fare una partita a briscola con la mamma di Bambi e Mufasa in un immaginario paradiso per animali animati.

Tecnicamente parlando, la serie presenta degli ottimi disegni senza mai calare in qualità, anche grazie alla sua breve durata, e delle animazioni notevoli e ben realizzate, oltre a dei meravigliosi sfondi montani fatti di picchi innevati, foreste di piante perenni e, di quando in quando, fiumi, oceani e altre variazioni sul tema.
La colonna sonora è poi particolarmente coinvolgente, grazie anche a dei pezzi cantati (da Takayuki Miyauchi, già autore di altre canzoni che in quel periodo adornavano altri anime di una certa importanza, come "Kinnikuman", "Dragon Ball", "Kochikame", "Kyashan" e "Wingman") che spesso e volentieri fanno capolino durante i momenti più importanti delle puntate clou, per quanto ognuno dei 21 episodi può essere considerato fondamentale.
La sigla di testa, dal titolo inequivocabile "Nagareboshi Gin", è dotata di un ritmo coinvolgente e incalzante, e anche nel testo inneggia alla libertà e alla crescita interiore così come fa la serie stessa. L'ending, intitolata Tomorrow, così come l'ending del sopracitato collega "Otoko Juku", che invece s'intitolava Ikujidai Arimashite, parla del futuro e di un domani - lo dice il titolo - ottimista, al di là di quanto possa essere difficile il presente, sempre tirando fuori la voglia di combattere in nome di quell'avvenire, però.

Dovendo trovare difetti a questa serie, forse il ritmo è troppo concitato talvolta, alcuni personaggi non hanno molto spazio e avrebbero meritato qualche attenzione in più, e alcune cose, anche rispetto al manga originale, vengono lasciate in sospeso e questa è un po' una delusione, per quanto la vicenda trova una conclusione perfetta arrivati alla fine della ventunesima puntata. Alcune scelte di sceneggiatura particolari, inoltre, stonano un pochino con l'impostazione piuttosto realistica della trama, ma d'altronde questo è uno shounen anni '80 e come tale va contestualizzato, i cani di questa serie sono cani eroi coraggiosi, e quindi possono anche permettersi di sovvertire qualche legge della natura, anche perché ciò avviene pochissimo durante la serie, quasi mai.
Al di là di questi ultimi appunti, dunque, "Ginga Nagareboshi Gin" merita assolutamente la visione, è breve ma rimane nel cuore per sempre, indimenticabile baluardo di un'era d'animazione giapponese che non c'è più; impossibile non affezionarsi ai personaggi, non trovarne uno preferito e non commuoversi dinanzi alla piega tragica degli avvenimenti. Affrontando quest'opera si piangerà molto, si riderà decisamente poco e si chiuderà l'ultima puntata sicuri che quei cagnolini, lassù sulle montagne, non ce li scorderemo mai.


 4
hallymay

Episodi visti: 5/21 --- Voto 3
Mi dispiace dare una recensione negativa visti tutti gli elogi che questa serie ha ricevuto e addirittura uno speciale su questo sito. Effettivamente la serie in sé non è brutta: è animata bene, ha una storia molto epica, riprende tutti i canoni dello shonen anni ottanta (ma oserei dire i più retrivi aspetti dello shonen), ha una sigla splendidamente anni ottanta e sinceramente il protagonista è adorabile.
Quello che mi ha resa veramente indigesta questa serie non ha a che fare con il comparto tecnico, né con l'intreccio, ma con il suo messaggio intrinseco. Io penso che dietro le epiche storie di cani antropomorfi ci sia una retorica reazionaria talmente sfacciata che mi ha reso impossibile andare oltre con la visione. Fateci caso: il cane di razza <i>Akita</i>, che è ovviamente il più valoroso, il più eroico, il più forte, il più giusto, insomma, in confronto a lui Oliver Hutton si fa le canne, mette insieme un gruppo di cani per fare fuori che cosa? Un gigantesco orso che minaccia la vita di tutti e che nessuno riesce a fare fuori... tranne Gin.
Non so voi, ma a me è sembrato di vedere ancora una volta la solita sbobba revanscista giapponese che, in preda alla sbornia post boom economico anni ottanta, si prende le sue piccole rivincite contro gli Stati Uniti, contro cui non potranno mai avere la meglio visto che la costituzione che sono stati costretti a firmare non gli permette di avere l'esercito. Ci si faccia caso: il piccolo e valoroso cane giapponese, che perde il padre ucciso dall'enorme orso, alla fine, sorprendendo tutti e tutto, compie la grande impresa di compiere la sua vendetta contro l'enorme bestia che nessuno riesce a sconfiggere.

Certamente questa prosopopea filo-nazionalista si trova in molte opere degli anni settanta ottanta: si pensi a tutti quegli anime sportivi in cui il protagonista, sempre buonissimo, giustissimo, eroicissimo, riusciva a vincere il campionato mondiale di baseball/pallavolo/calcio, fino allo scopone scientifico, con immane sacrificio, immane allenamento, immane lotta. Ma alla fine, come il Giappone dopo la Seconda Guerra Mondiale, riusciva e diventava il più grande. La differenza tra quest'anime e quelli appena citati è che qui il tono è cosi sfacciatamente magniloquente, epico e machista che sinceramente non sono riuscita a vederlo se non con una buona dose d'ironia. Finita quella penso che lo si possa apprezzare come reperto storico di un'epoca in cui il Giappone era come la Cina.
Ma probabilmente parlo così perché fondamentalmente sono cresciuta con gli anime anni novanta, quelli che avevano come protagonisti solo schiappe come Sailor Moon e Shinji Ikari...

Poi c'è un altro aspetto che mi ha dato sinceramente fastidio: vedere dei cani che si scuoiano. Non so perché ma è la prima volta che vedere la violenza in un anime mi ha dato il voltastomaco. Sarà perché qui si tratta di cani che sono comunque creature innocenti (è il padrone che li rende belve al massimo), sarà anche che qui ogni scusa è buona per azzannarsi e mostrare il proprio valore, veramente non ce l'ho fatta.
La violenza è sempre contestualizzata, nel senso che non esiste un film o una serie in cui due personaggi si vedono e si prendono a mazzate: insomma deve esserci un perché. Ad esempio in "Ken il guerriero" la violenza era l'unico modo per proteggere i deboli in balia della spietata legge dei demoni di turno. Qui invece è l'unico modo per stabilire il primato dell'eroe. Nell'anime i cani decidono di unirsi per uccidere l'orso Akakabuto, ma i vari branchi non si uniscono di loro volontà: quelli che vogliono primeggiare si oppongono e ovviamente l'unico modo per portarli nel branco più grande, quello di Gin, è di volta in volta uccidere o sottomettere il capobranco avversario. Alla faccia della tragedia.
Ma voglio essere buona: metto tre!


 1
kimba77

Episodi visti: 21/21 --- Voto 9
Gli anni 80 furono un periodo clou per i manga per ragazzi (o shonen che dir si voglia). Mi pare inutile ricordare titoli mai troppo osannati come Hokuto no Ken, Dragon Ball e Saint Seiya; tuttavia ve ne sono altre, magari non famose come queste tre, ma non per questo di qualità inferiore, come Sakigake! Otoko Juku (da noi uscito come Classe di Ferro-Otoko Juku), o ancora altre più soft come Touch e Ranma1/2.
Eppure vi è un'altra opera che meriterebbe molte attenzioni ma che( per motivi mi sono ''oscuri'') non è mai stata portata in Europa nè tantomeno in Italia. L'opera in questione è niente popò di meno che uno shonen d'azione tipico dell'epoca (frattanto pubblicata ad inizio anni 80, quindi dello stesso periodo di Hokuto no ken) ma ha un'unica grande particolarità: non troveremo come protagonisti guerrieri in arme o uomini dal fisico da culturista, bensi cani. Eh già i migliori amici dell'uomo sono i principali protagonisti di quest'anime tratto dal manga Yoshihiro Takahasi, un mangaka dedito ai cani come non ce ne sono altri.
Partiamo dalla storia, tra le più epiche e struggenti mai rappresentate su cartone: un selvaggio orso di nome Akakabuto sta portando morte e distruzione sulle montagne del Giappone. Tocca al vecchio e possente Gohei, cacciatore che già anni fa diede la caccia a quell'orso ferendogli un occhio e causandogli i danni cerebrali che lo resero violento, dare la caccia ad Akakabuto grazie a Riki, un Akita Inu figlio del suo vecchio cane Shiro, morto durante un feroce scontro con l'orso. Intanto nel villaggio di Gohei è nato Gin, un akita striato figlio di Riki .Dopo l'ennesimo scontro con Akakabuto, Riki perde la vita e tocca quindi a Gin, con neanche una settimana di vita, portare il fardello della sua famiglia, diventando un cane da caccia per uccidere il perfido orso. I primi episodi ci presentano l'infanzia di questo cagnolino che, grazie ai durissimi e quasi tirannici addestramenti di Gohei e il forte legame con il suo padroncino Daisuke, diventerà pian piano un cane forte e agile. A un certo punto però un branco di cani randagi entra in scena e la storia prende una svolta inaspettata: Gin abbandonerà la sua famiglia e si unirà al branco (per un motivo che non vi dico per non rovinarvi la sorpresa). Da qui in poi percorrerà mezzo Giappone alla ricerca di un gran numero di cani forti per poter cosi contrastare una volta per tutte il terrore di Akakabuto e il suo nascente impero di orsi per un finale che, seppur scontato, è tra i più epici e commoventi mai visti in cartone.
Tema portante dell'anime? La rivalsa del genere canino come razza autonoma, che può benissimo combattere e formare un proprio regno senza l'aiuto dell'uomo, che al contrario richiederebbe sottomissione. Non bisogna inoltre dimenticare che questa è una storia che ha come sfondo la natura: e la natura sarà la seconda protagonista con i suoi boschi e montagne e i suoi paesaggi selvaggi. Pochissime saranno le ambientazioni ''cittadine'' ed è meglio cosi, dato che gli umani sono comprimari in questa storia. Passando al lato tecnico non si può non rimanere affascinati: le animazioni di per sè sono nella media dell'epoca e oggi sono certo arretrate (lo stesso per i disegni degli umani, sempre nella media del tempo comunque) e tuttavia la sapiente regia e il particolare uso dei colori (usati per rappresentare le varie situazioni) fanno del tutto dimenticare i segni del tempo e a ogni fotogramma si rimane come estasiati da cotanta sapienza tecnica. Per finire un appunto: GNG è una storia che fa della violenza e del realismo una parte fondamentale: di conseguenza vedrete il sangue spruzzare a flutti e le perdite tra i personaggi saranno tante. Ma è il prezzo da pagare per avere una storia epica e piena di sentimenti, come i bei shonen di allora.
Concludendo: GNG è un'opera che merita di essere riscoperta che siate amanti dei cani (e le razze qui sono tante) sia che vogliate una storia epica e maestosa come solo i grandi capolavori sanno esserlo.


 4
Kotaro

Episodi visti: 21/21 --- Voto 9
<i>"La montagna ti sta chiamando, il cielo ti sta chiamando...
Qualcosa, laggiù, ti sta aspettando...

Il sangue nelle vene ti arde, splendente
Finalmente, hai compreso il motivo per cui sei nato..."</i>

Con queste parole, prese dalla sigla d'apertura, Ginga Nagareboshi Gin, fortunato adattamento dell'omonimo manga di Yoshihiro Takahashi, già presenta ai suoi spettatori quella che sarà la sua caratteristica principale, nonchè il suo elemento di maggior fascino: la natura.
L'anime racconta la storia di Gin, un cagnolino di razza Akita inu, sin dalla nascita, e ne segue le svariate traversie. Destinato a diventare un grande cane da caccia, viene dapprima addestrato da un esperto ed austero cacciatore, nonno del suo padroncino e padrone, in passato, sia del padre che del nonno del cagnolino, e poi, abbandonato il focolare domestico, si unisce ad un gruppo di cani randagi che lottano da soli contro un ferocissimo branco di orsi che seminano il panico tra gli uomini e gli animali.
Ginga Nagareboshi Gin è una storia di crescita, di formazione e di scoperte, in primis della scoperta di sé attraverso la natura, ed è uno di quei vecchi shonen d’azione degli anni ’80 che tanto andavano di moda sulle nostre reti private qualche anno fa, anche se questa serie in particolare sulle nostre tv non ci è mai arrivata (ma non vi avrebbe fatto cattiva figura, anzi!).
Ah, i vecchi shonen d’azione degli anni ’80. Rudi, grezzi, violenti, virili, sanguinosi, ma estremamente passionali, lirici, epici, vissuti da personaggi che attraversavano le più diverse difficoltà uscendone vincenti, con grandissimo spirito di abnegazione e un’incrollabile determinazione, con una grande potenza che veniva loro dal cuore.
C’è tutto questo e ancor di più, in Ginga Nagareboshi Gin, il quale, a prima vista, può sembrare quasi un meisaku, con la sua poetica e passionale storia di uomo, orso e cane. Eppure, bastano pochi episodi e questo anime ci stupisce, mostrandosi capace di infilarsi perfettamente in una tradizione già consolidata che prevede grandi drammi, allenamenti massacranti, combattimenti violenti e una crescita, sofferta e passionale, dei propri personaggi.
Sia nei suoi primi sei episodi, che mostrano il mondo “umano” del cagnolino Gin e il rapporto tra l’uomo e la natura nelle sue diverse forme, sia nei rimanenti quindici, che invece capovolgono completamente il modus narrandi dell’opera e gettano lo spettatore nell’immensa, bella e crudele natura, concentrandosi unicamente sui tanti protagonisti canini della storia, l’anime riesce a coinvolgere chi guarda e a colpirlo nel profondo, facendolo irrimediabilmente innamorare di sé.
E’ una storia apparentemente semplicissima. In fondo, si tratta unicamente di cacciatori e cani randagi che combattono contro gli orsi. Eppure, Ginga Nagareboshi Gin ci affascina e credo che, innanzitutto, il merito sia del maestro Takahashi, che ha creato una storia di base semplicissima ma nata da un’idea geniale, quella di rendere protagonisti per una volta non muscolosi guerrieri ma semplici animali e calarli nello stesso, crudele, contesto delle altre opere dell’epoca. Sarà pure una storia semplice, ma viene vissuta da parecchi personaggi interessanti e ottimamente costruiti e narrata con grandissima maestria, giocando coi sentimenti dello spettatore e coinvolgendolo in momenti di grande lirismo e intensità.
Le differenze col manga originale sono ben poche, perlopiù qualche siparietto con i personaggi umani che non viene trasposto in animazione e il leggerissimo ammorbidimento delle scene più cruente del fumetto (ma che appaiono violentissime anche così).
L’anime procede ad un ritmo spedito senza tuttavia tralasciare nessuno dei suoi elementi o personaggi, e lo spettatore viene coinvolto, senza aver la sensazione di una storia narrata in maniera frettolosa. L’ultima saga del manga, narrata negli ultimissimi volumi, non viene trasposta, ma poco male, dato che la vicenda principale, ossia la battaglia contro gli orsi, viene conclusa e narrata con tutti i crismi, cosicché la conclusione del cartone animato non lasci affatto la sensazione di aver tagliato via un’ulteriore saga aggiuntiva presente nel fumetto. Non curiamoci, quindi, di ciò che potevamo avere e concentriamoci unicamente su ciò che abbiamo, ovvero un prodotto davvero ottimo sotto ogni punto di vista, originale, emozionante e sicuramente meritevole di un’occhiata.

La ricetta vincente è quindi ben servita. Una storia ben definita, con dei personaggi ottimamente caratterizzati, combattimenti, un grande viaggio di formazione, amore, amicizia, dramma, poesia, sentimenti e tanti messaggi positivi espressi allo spettatore con grandissimo lirismo e intensità.
A guardarlo oggi, indubbiamente, Ginga Nagareboshi Gin sembra vecchio come il cucco, ma calatelo un attimino nel suo contesto d’origine, e scoprirete invece una lunga serie di pregi.
Gran parte dei meriti, se la serie risulta così coinvolgente, va anche alla parte tecnica e non solo a quella narrativa.
Lo stile di disegno risulta molto fedele a quello proprio del maestro Takahashi, nonché perfettamente inquadrato in una ben precisa tradizione stilistica propria di quegli anni, e il passaggio all’animazione giova molto, soprattutto ai personaggi umani. E’ uno stile rude, sporco, grezzo, ma potente e tremendamente efficace, sia nel rendere le svariate fisicità degli abitanti umani delle montagne di Ou, sia nel tratteggiare in maniera efficace le varie razze di cani e tipologie di orsi, senza mai rinunciare ad una grande espressività nel caso di tutti questi personaggi.
Un grande plauso va al regista, oltre che a disegnatori e animatori. Determinate scelte di regia sono originali e di grandissimo effetto, decisamente un elemento di spicco della serie.
Il doppiaggio giapponese si dimostra essere di altissimo livello e presenta tante voci di spicco dell’epoca che continuano ad essere famose ancora oggi. Si parte con i tre protagonisti Gin, Gohei e Daisuke, doppiati rispettivamente da Eiko “Taro Misaki” Yamada, Takeshi “Kiba Daioh” Watabe e Chika “Sailor Star Healer” Sakamoto, per poi arrivare a Banjou Ginga, a Daisuke Gouri, a Hiromi Tsuru, a Masaharu Satou, a Hirotaka Suzuoki, a Hideyuki Tanaka e a moltissimi altri doppiatori di altissimo livello, che donano inflessioni molto personali e interpretazioni molto professionali nel caratterizzare tutti i personaggi della storia, il che rende l’anime una gioia anche per le orecchie dello spettatore.
Per finire, la colonna sonora, che meriterebbe davvero una recensione a parte tutta per sé, poiché si tratta di uno dei migliori accompagnamenti musicali che abbiamo mai avuto il piacere di sentire in una serie animata, tanto da meritarsi ben due cd, uno con i brani cantati e uno con le musiche orchestrate, ed è strano che debba elogiare così le musiche di una serie vecchia e misconosciuta come questa, ma vi basterà anche solo ascoltarne qualche pezzo e sono sicuro che mi darete ragione.
I brani cantati che accompagneranno l’avventura di Gin saranno tanti e tutti splendidi, a partire dalla potentissima, ritmata e avventurosa sigla d’apertura “Nagareboshi Gin”, cantata da Takayuki Miyauchi, dallo spiccato e aggressivo sound anni ’80 che non avrebbe sfigurato affatto, con un diverso testo, come sigla di Hokuto no Ken o Saint Seiya. Si prosegue poi, con la poesia e la dolcezza della ending “Tomorrow”, anch’essa eseguita da Miyauchi. Entrambe le sigle hanno diversi arrangiamenti in versione strumentale, che spesso e volentieri faranno capolino in sottofondo agli episodi insieme a molte altre tracce orchestrate che saranno ora struggenti ora aggressive, ora strazianti ora dolcissime, e che non mancheranno di emozionare lo spettatore.
Concludono il tutto, una serie di ispiratissime canzoni di accompagnamento agli episodi, tra le quali spiccano il ritmo aggressivo e graffiante di “Fire” e “Kokoro no kiba” e l’emozionante e sincero elogio dell’amicizia virile di “Otokotachi, nakamatachi…” e “Shouri no uta”, quest’ultima azzeccatissimo sottofondo al finale della serie.

Ginga Nagareboshi Gin, concludendo, è sì una serie animata come tante altre, ma è anche un’esperienza, un viaggio in un mondo selvaggio, rude, affascinante, che rievoca nello spettatore sogni ancestrali di avventure in paesaggi incontaminati e di straordinaria bellezza e che riesce ad emozionarlo e a coinvolgerlo come pochissime serie animate tratte da shonen manga attualmente sanno fare. Chi di voi all’ascolto è cresciuto con L’Uomo Tigre, Rocky Joe, Heidi e altri miti degli anni ‘80 non se lo lasci sfuggire, ne rimarrà sicuramente conquistato. E anche a tutti gli altri un’occhiata male non fa di certo, resterete piacevolmente sorpresi nello scoprire questa piccola perla…