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andynest

Episodi visti: 1/1 --- Voto 10
"Coco" è il migliore film della Pixar di sempre, ma andiamo con ordine. La storia parla di Miguel, un ragazzino messicano che sogna di diventare un musicista come il suo idolo Ernesto De La Cruz, ma ostacolato dalla sua famiglia che ha bandito la musica dato che molti anni prima la sua trisavola venne abbandonata dal marito che inseguì il sogno di diventare un musicista.

Per una serie di circostanze in cui Miguel arriverà ad essere certo che il suo trisavolo era in realtà il musicista che lui tanto idolatrava, si ritroverà nel mondo delle anime, dove conoscerà i suoi parenti passati a miglior vita. Tutto pur di ottenere l'approvazione di divenire un musicista. Il film è meraviglioso, perché tocca le corde emotive di chiunque, e fa piangere anche tanto a ogni visione. Le canzoni sono poco invasive e meravigliose, il comparto tecnico poi è fenomenale, ma parliamo della Pixar.

Il finale poi, è uno dei più belli della storia del cinema, difficile non piangere ogni volta che lo si vede sentendosi scaldare il proprio cuore. Film consigliatissimo, da sapere anche a memoria. Meraviglioso.


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Mirokusama

Episodi visti: 1/1 --- Voto 9
Nel secondo decennio del nuovo millennio la Pixar, ormai consolidato gigante del settore dell’animazione, ha prodotto diversi lungometraggi, quasi tutti quelli che non erano sequel o spin-off dei successi precedenti, che avevano come comune denominatore due temi che si intersecavano, il viaggio del/dei protagonisti e l’elaborazione delle emozioni che lo stesso suscitava; “Up” per esempio, che uscì proprio a chiudere il decennio per aprire il successivo, affrontava un viaggio fisico nella sua ‘realistica fantasia’ che vedeva una casa volare grazie a tanti palloncini che la sostenessero; “Inside Out” trattava invece il tema di un viaggio interiore nelle emozioni e sulla capacità di riuscire ad accettarle anche quando non ci fanno stare bene mentre ancora, “Il Viaggio di Arlo” raccontava un viaggio impossibile tra un dinosauro e un bambino per congiungersi con la famiglia del primo e al contempo maturare superando le proprie paure. Il film che chiude idealmente il cerchio inaugurato quasi 10 anni prima è, a mio modo di vedere, proprio questo “Coco”, un piccolo gioiello datato 2017 dove il viaggio stavolta si sposta in territorio quasi dantesco con un avventura a cavallo tra mondo dei vivi e mondo dei morti.

Ambientato in Messico, “Coco” è la storia di Miguel Rivera, un ragazzo dodicenne che sogna di diventare un musicista come il suo idolo, il più grande musicista del mondo Ernesto de la Cruz, nonostante la sua famiglia sia decisamente contraria all’idea; la musica infatti è bandita da anni nella famiglia Rivera, sin da quando la trisavola di Miguel, mamà Imelda, fu abbandonata dal marito musicista che preferì seguire la sua carriera piuttosto che lei e la piccola figlia Coco. In virtù di questa tradizione, seguita ancora alla lettera da tutti i Rivera, Miguel è destinato ad essere impiegato nell’attività calzaturiera di famiglia, inaugurata proprio da quella mamà Imelda abbandonata, e a rinunciare quindi al suo sogno di dedicarsi alla musica. In seguito ad un alterco nato proprio per questo motivo durante il Dìa de muortos (ossia il Giorno dei morti, una celebrazione molto sentita in Messico in cui si crede che le anime dei defunti tornano a fare visita ai loro parenti in vita), Miguel rompe i rapporti con la sua famiglia fuggendo via e rifugiandosi nel mausoleo dedicato ad Ernesto de la Cruz nel cimitero cittadino dove, dopo essersi impossessato della sua chitarra che vorrebbe suonare per dimostrare ai suoi familiari come si sbaglino ad ostracizzare la musica a priori, finisce per ritrovarsi in una dimensione alternativa che gli permette di vedere le anime dei defunti che tornano in quel giorno dall'aldilà per ricongiungersi alle proprie famiglie. Incapace di tornare normale, Miguel dovrà intraprendere un viaggio nel mondo dei morti che gli permetta di abbandonare quella condizione e allo stesso tempo poter continuare a dedicarsi alla musica in vita, aiutato in questo da Héctor, uno scheletro misterioso che vorrebbe andare nel mondo dei vivi per rivedere la figlia ma che è impossibilitato a farlo visto che lì nessuno lo ricorda e che per questo chiederà a Miguel di essere inserito nelle foto di famiglia, una volta che il ragazzo sarà tornato nel suo mondo, in modo che il suo ricordo sopravviva e possa così realizzare il suo desiderio.

Non si muore mai davvero, insomma, finché si sopravvive nei ricordi di chi ci ha voluto bene, sicuramente questo è uno dei messaggi che il film vuole veicolare, e lo fa attraverso quel Giorno dei Morti tanto sentito in Messico e qui efficacemente ricostruito in tutti i suoi riti, dalla preparazione con altari dedicati in ogni famiglia con i ritratti dei cari estinti fino all’ofrenda (offerta) di cibo e bevande, diverse e dedicate ad ogni antenato, che vengono preparate affinchè i morti possano idealmente rifocillarsi dopo il loro viaggio. Il ricordo quindi viene messo in primo piano in “Coco” nella sua fondamentale importanza visto che rappresenta non solo il legame che i parenti vivi conservano coi propri defunti ma anche l’essenza stessa della ‘vita’ concessa alle anime di coloro che ci hanno lasciato; nonostante la situazione faccia pensare il contrario infatti, non è possibile neanche continuare ad esistere nel mondo dei morti se il ricordo della nostra vita passata non viene conservato da quelli che ci hanno conosciuto, siano essi colleghi, amici e, soprattutto, parenti. Perché qui sopraggiunge l’altro elemento cardine del messaggio di Coco, ossia la famiglia e l’importanza che riveste nella nostra vita. Il film stesso è un inno all’unità e all’influenza che la famiglia riflette nel corso della nostra esistenza, anche quando, come nel caso di Miguel all’inizio, sembra porsi come ostacolo alle nostre ambizioni; nel corso del suo viaggio Miguel avrà modo di conoscere i suoi antenati, le loro storie, le motivazioni che hanno portato a quella realtà a lui ostile che vediamo a inizio film arrivando a capire come ogni minima decisione, per quanto sofferta o illogica possa sembrare all’inizio, viene presa nell’intenzione unica di salvaguardare l’interesse comune del nucleo familiare prima di quello personale, nonostante i sacrifici che ciò possa comportare. Nel percorso che porterà a quest’intima evoluzione non mancheranno comunque momenti divertenti e più spensierati volta ad impreziosire ulteriormente il film che, dal punto di vista narrativo, scorre una meraviglia senza annoiare mai complici la duplice ambientazione ben realizzata, personaggi brillanti e convincenti nei loro ruoli, camei ironici ma spassosi come quello di una stravagante e scheletrica Frida Kahlo, colpi di scena efficaci nel ribaltare la situazione fin lì mostrata e momenti musicali frizzanti e piacevoli capaci di emozionare lo spettatore nei modi e nelle circostanze che la trama si prefigge di fare.

Merito questo di una scrittura sapiente ma certamente anche di quel comparto tecnico fantastico che i Pixar Animation Studios sanno sempre esibire quando ne hanno l’occasione; realizzato, come tradizione, completamente in computer grafica, con la ormai consapevole regia di Lee Unkrich, qui al secondo e per ora ultimo lungometraggio da lui diretto in Pixar, “Coco” è un film vistoso che avvolge quasi nella sua grafica pulita e ammaliante, partendo dalle splendide ambientazioni ricreate, come un pittoresco scorcio messicano quasi da cartolina e un mondo dei morti tanto misterioso quanto ‘terrestre’ nei suoi aspetti che ironicamente ricordano quello che vediamo tutti i giorni, dall’onnipresente burocrazia che regola le azioni delle anime dei trapassati fino all’aspetto glamour che non rinuncia a inserire in quell’universo festival musicali e celebrazioni mondane. Molto affascinante anche la creazione dei personaggi, non tanto nell’ottica dei viventi, esteticamente simili in fondo agli altri lavori degli studios, quanto piuttosto nell’aspetto scheletrico degli abitanti del mondo dei morti, una via di mezzo ideale tra quell’impressione di timore che dovrebbero naturalmente suscitare e una parvenza comica che ti aspetteresti in un film per famiglie distribuito dalla Disney e che alla lunga prende facilmente il sopravvento. Come non citare poi la splendida componente musicale nella buona riuscita di quest’opera, data anche l’importanza che ricopre nella sceneggiatura (opera di Adrian Molina, Matthew Aldrich) del film. L’energica colonna sonora dello stesso, che si crogiola appieno nei ritmi latini del suo scenario, è composta da Michael Giocchino, già premio oscar per “Up”, mentre le canzoni sono scritte, tra gli altri, anche dai coniugi Robert e Kristen Lopez (già celeberrimi per quella “Let it go” del primo Frozen diventata poi hit mondiale) che qui firmano un altro successo con “Ricordami” (“Remember me” in originale), vincitrice del Premio Oscar 2018 come miglior canzone. Elogi meritati sono anche quelli dovuti all’ottimo doppiaggio italiano che, come capita spesso in queste grandi produzioni, ha unito professionisti del settore e guest star del momento in un risultato che, fortunatamente, non ha intaccato la qualità che ci si aspetta in queste occasioni. Voce dei due protagonisti Miguel ed Héctor sono il giovane, ma con una già notevole esperienza alle spalle, Luca Tesei e il veterano Emiliano Coltorti, entrambi capaci di dare vita in maniera convincente a due personaggi poliedrici e dinamici, mentre si aggiungono al cast altri esperti del settore conosciuti anche al pubblico normalmente interessato in maniera maggiore all’animazione giapponese come Luigi Rosa (mariachi) o Doriana Chierici (‘abuelita’ Elena Rivera), voce ricorrente in molti adattamenti nostrani dei film dello Studio Ghibli; l’attrice Valentina Lodovini (mamà) e il produttore musicale barra personaggio televisivo Mara Maionchi (la Coco che da’ il titolo al film) completano il cast senza snaturare la buona riuscita finale. Menzione a parte merita infine Simone Iuè, giovane cantante salito alla ribalta nazionale nel programma televisivo ‘Ti lascio una canzone’, che qui interpreta tutte le parti cantate (con le canzoni adattate da Lorenza Brancucci) del protagonista Miguel, una voce forte e pulita la sua che aiuta a far risaltare la componente emotiva che i vari brani vogliono evocare nello spettatore, in particolare nelle canzoni “Che loco che mi sento!” (cantata in coppa con Emiliano Coltorti), “In ogni parte del mio corazòn” e, nella già citata, “Ricordami” cantata nel finale in coppia con la bisnonna Coco nel segmento più commovente ed emozionante del film.

E proprio in virtù del grande coinvolgimento emotivo che quest’opera è riuscita a trasmettermi, in un crescendo continuo dall’inizio alla fine, che mi sento caldamente di consigliare la visione di “Coco” a chiunque, anche a quelli che magari nutrono delle riserve in film che non siano di produzione giapponese o animati in computer grafica. Questo lungometraggio, che ricordo ha vinto il Premio Oscar 2018 al miglior film d’animazione, si inserisce pienamente nel novero dei capolavori firmati dalla Pixar, col supporto delle classiche contaminazioni musicali Disney, per la sua capacità di emozionare in maniera genuina, sia sul lato comico che in quello drammatico, e di parlare a tutte le fasce di pubblico, non solo a quelle più giovani a cui magari vuole rivolgersi in prima istanza; tutti quelli che hanno avuto la fortuna di crescere in famiglie numerose e calorose non potranno fare a meno di ritrovarsi nei panni di Miguel e della sua bisnonna Coco in quell’abbraccio metaforico in cui musica e reminiscenze si fondono e più di una lacrima fa capolino sul viso mentre la dolce azione della memoria allieva l’inevitabile sofferenza che comporta ripensare alle persone amate che purtroppo ci hanno lasciato fisicamente ma sopravvivono nei nostri ricordi. E in quel senso non muoiono mai.