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Ataru Moroboshii

Episodi visti: 26/26 --- Voto 7,5
"The Big O" è un anime in due stagioni a metà fra il mecha ed il cyberpunk. In uno scenario post apocalittico si erge un'unica grande città coperta da varie cupole: Paradigm City. Nessuno sa cosa sia successo al mondo poiché 40 anni prima uomini ed androidi che abitavano la città hanno perso la memoria e anche ogni dato è stato cancellato, da allora ognuno vive nella posizione in cui si è trovato quel giorno. Tuttavia sembra che l'amnesia generale abbia delle rarissime eccezioni, ciò fa delle memorie del passato la merce più ambita in assoluto, merce con cui il nostro protagonista, il negoziatore Roger Smith avrà a che fare mentre cerca di svelare i misteri di Paradigm City.

Negli anni '90 la Sunrise specializzata in anime mecha, ha collaborato con la Warner Bros alla realizzazione del famoso cartone di Batman, da lì è maturata l'idea di realizzare una serie mecha ad ambientazione anglosassone con grosse influenze provenienti dal cartoon. Questo fa di "The Big O" un anime stilisticamente molto originale con un'ambientazione cittadina ispirata alla New York degli anni '30-40 ed un chara design spigoloso: molti personaggi risultano influenzati da quelli del precedente cartoon e palesi sono le similitudini fra Bruce Wayne e Roger Smith, così come sono palesi le somiglianze di alcuni villain della serie con il Jocker, L'enigmista e altri nemici dell'uomo pipistrello.

Le similitudini finiscono però qui, "The Big O" non è un anime supereroistico ma bensì un anime mecha con una forte impronta cyberpunk data dal principale sceneggiatore della serie: J. Konaka.
La coprotagonista androide infatti giocherà un ruolo importante nella trama e i temi trattati sono i soliti cari allo sceneggiatore e al genere ma con una venatura giallista: lo spettatore verrà invogliato a risolvere il mistero dell'amnesia a Paradigm City, ma il compito non sarà per nulla facile vista la presenza di svariate false piste e strutture a scatole cinesi, il simbolismo tipico di Konaka si farà strada negli ottimi episodi finali in cui è d'obbligo guardare ed ascoltare tutto molto attentamente.

Dal lato mecha si nota subito la differenza con i tradizionali robottoni giapponesi, Big O non è un samurai in scala 60:1 con katane solari ed alabarde spaziali ma un robot anni '50 armato di laser e di due giganteschi pugni dal funzionamento simile ad una pressa idraulica. Anche buona parte dei nemici di Big O condividono lo stile retro e persino il robot volante si librerà in volo solo grazie ad enormi turbine simili a quelle di un B52. In ogni episodio è sempre presente uno scontro fra Robot ma purtroppo spesso queste battaglie sono superflue e chiaramente a senso unico, una sorta di fan-service per gli amanti del mecha.

Essendo l'anime del '99 è presente la classica struttura dell'epoca che sviluppa l'intreccio per lo più con trame verticali e che lascia durante lo scorrere degli episodi sparuti indizi e dettagli riguardo alla trama orizzontale. Nello specifico la prima stagione se la prende molto comoda, fin troppo, tanto da aver visto in un primo momento il proprio seguito annullato. Fortunatamente nel 2004 è arrivata la continuazione ed anche la trama verticale molto più avvincente di quelle orizzontali ha potuto ingranare.

La regia è molto altalenante mostrando a volte episodi tecnicamente piatti e con tempi morti, e a volte vivaci e con inquadrature davvero belle, le animazioni sono invece ad un livello medio per la fine degli anni '90 ma con dei notevoli difetti riguardo le scene d'azione che non si svolgono a bordo di un mecha, aspetto tecnico che purtroppo non è stato questa volta preso ad esempio da Batman. Se le atmosfere fra il cyberpunk ed il noir sono il fiore all'occhiello dell'anime, la parte tecnica è invece probabilmente la parte più debole dell'opera. Da notare infine che la seconda stagione è andata in onda negli USA per cui la serie è reperibile quasi esclusivamente in inglese, fortunatamente il doppiaggio americano qui è meno pessimo del solito.


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micheles

Episodi visti: 26/26 --- Voto 8,5
Il periodo a cavallo del nuovo millennio è stato una fucina di idee per quanto riguarda il genere robotico: sono anni in cui il genere si svincola completamente dalle sue origini di prodotto per l'infanzia e si prende una reputazione di prodotto sofisticato, simbolico, filosofico e riflessivo, rivolto a un pubblico postmoderno ed esigente. E così a cavallo tra il 1998 e il 2002 escono opere come "Brain Powerd", "Gasaraki" e "RahXephon"; negli stessi anni esce anche "Big O".

Scritto da Chiaki J. Konaka e diretto da Katayama Kazuyoshi, "Big O" si preannuncia come una brillante rivisitazione del grande robotico del passato, nella fattispecie quello di Mitsuteru Yokoyama di "Tetsujin 28". La rivisitazione di Konaka e Kazuyoshi non ha nulla a che fare con le ricostruzioni ipercinetiche, adrenaliniche ed eccessive di Imagawa, che negli stessi anni produrrà "Getter Robot", "Giant Robo" e poco dopo la serie di "Tetsujin 28". Al contrario, "Big O" ha un ritmo lento, ponderoso, riflessivo, ed è condito da una simbologia suggestiva e metaforica.

Forse anche per lo stile grafico occidentalizzato (la serie è stata realizzata dalla stesso studio Sunrise che ha prodotto "Batman Beyond" per la Warner Bros) la serie fu un fiasco in Giappone, tanto da essere cancellata dopo solo 13 episodi. Per fortuna la serie piacque molto negli Stati Uniti, cosicché, caso quanto mai raro, ne venne prodotta una seconda stagione con altri 13 episodi grazie ai fondi di Cartoon Network. È quindi grazie agli americani se abbiamo potuto vedere la conclusione di "Big O". Io ho visto proprio la versione americana di "Big O". I doppiaggi e adattamenti americani sono notoriamente criticabili, ma "Big O" è una felice eccezione, anzi, dirò di più: è di gran lunga il miglior doppiaggio inglese che abbia mai visto di un qualunque anime. Le voci sono davvero eccellenti, specialmente per i protagonisti Roger e Dorothy, ma in generale per tutti i personaggi. Le voci contribuiscono non poco a far amare i personaggi, che già di loro natura sono amabilissimi e davvero indovinati.

"Big O" ha tra i migliori personaggi del genere. Il protagonista Roger Smith è impeccabile nel suo completo rigorosamente nero, la sua automobile piena di trucchi alla James Bond e il suo maggiordomo guercio Norman: Haram Banjo e la match patrol vengono ridotti a tamarrate prive di stile paragonati a Roger e soltanto Garrison riesce a reggere il confronto con Norman. Dirò di più: preferisco Roger Smith anche al suo modello ispiratore Bruce Wayne, se non altro perché Batman non pilotava un robot gigante con dei giganteschi pugni a maglio che farebbero l'invidia di Popeye. L'ispirazione americana di "Big O" è fortissima e probabilmente proprio per questo la versione occidentale è riuscita benissimo: una serie ambientata in una città che fa il verso alla New York degli anni trenta e quaranta e in cui tutti i protagonisti hanno nomi anglosassoni rende meglio in inglese che in giapponese.

Da notare che dei giapponesi compaiono soltanto in una puntata filler verso la fine della serie, in cui vengono sfottuti secondo tutti i cliché negativi degli occidentali verso il Giappone; inoltre vengono sfottuti i robot componibili. In quella puntata sembra proprio di assistere alla rivalsa della vecchia guardia del robotico, composta dagli otaku attempati che disprezzano i ridicoli e infantili robot moderni degli anni settanta, contrapponendogli i virili e massicci robottoni degli anni cinquanta e sessanta. Naoki Urasawa sarebbe stato un fan di quella puntata e lo sono anch'io. Perché tutto in "Big O" è retrò, ma un retrò autentico e genuino, tanto che non manca la puntata con la piccola orfanella malata, oppure la puntata natalizia con il musicista spiantato innamorato di una dolce ragazza cieca, oppure la puntata con il pianista androide virtuoso della musica che viene usato come arma finale. Soprattutto, è il ritmo lento che rimanda al passato, e che ci fa apprezzare l'onestà e la cura della rivistazione, da contrastare con il retrò fasullo e pretestuoso delle ultracinetiche opere di Imagawa.

L'altro punto di forza di "Big O" è nelle musiche: ha una delle migliori colonne sonore che abbia mai sentito, opera di Toshihiko Sasaki ("Gundam SEED") e composta di brani originali che si rifanno a classici del Jazz d'epoca, come pure a vari brani di musica classica. Eccezionali anche opening e ending, la prima ispirata al Flash dei Queen e la seconda più melodica, in stile anni quaranta. Infine merita un plauso il mecha design, davvero eccezionale, in cui l'omaggio a Mitsuteru Yokohama è palese. Sono eccezionali anche i combattimenti, di solito molto brevi, ma estremamenti incisivi, combattimenti in cui il peso e la possanza del Big O si fanno veramente sentire. Il Big O ha tutta una serie di armi spettacolari, ma fra tutte primeggiano i giganteschi pugni a maglio: arma primitivissima, ma estremamente efficace, che non esito a classificare superiore ai moderni pugni a razzo di Mazinga (anche se in realtà l'inventore dei pugni a razzo è sempre Yokoyama, leggete "Giant Robo" se non ci credete).

Insomma, capolavoro assoluto e voto 10? Purtroppo no. Questa recensione è stata scritta prima di vedere l'ultima puntata. Dopo la visione bisogna ammettere che "The Big O" commette il grave peccato di abbondare la sua caratteristica vocazione retrò e allinearsi alla moda moderna (leggi "Evangelion") del finale metafisico e incomprensibile, con tanto di Deus ex Machina (la misteriosa "Angel"), di cui proprio non si sentiva il bisogno. Probabilmente Chiaki J. Konaka (sceneggiatore anche di "Lain" e "Texhnolyze") non ha resistito alla tentazione della cripticità. Peccato, perché quando resiste alla tentazione è un ottimo sceneggiatore, basti vedere "Devilman Lady", realizzato negli stessi anni di "Big O". Un buon finale sarebbe stato far perdere la memoria a tutti i personaggi e riportare lo show alle condizioni iniziali, con la prospettiva di nuove avventure. Così invece non si capisce cosa sia successo...


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AkiraSakura

Episodi visti: 26/26 --- Voto 9
E' un vero peccato che "The Big O" non sia mai uscito in Italia. Forse avrebbe potuto godere anche nel Bel Paese dell'enorme successo riscosso negli Stati Uniti, in cui è diventato un fenomeno di culto. Questo anime di ventisei puntate è un prodotto dello studio Sunrise, lo stesso che ha dato alla luce "Gundam" e "Cowboy Bebop". La sceneggiatura è di Chiaki J. Konaka, la stessa persona che ha scritto "Lain", "Texhnolyze" e "Digimon Tamers". Ci troviamo quindi di fronte a un'opera complessa, che nella sua apparente semplicità nasconde una struttura narrativa macchinosa, geniale e ricca di simbolismi.

La prima cosa che si osserva in "The big O" è l'originalissimo stile grafico, che mescola il tratto del cartone animato di "Batman" con quello tipicamente orientale, da anime giapponese. Il plot è multiforme e variegato: l'atmosfera è tipicamente noir, e potrebbe ricordare "Cowboy Bebop", sopratutto per la presenza di episodi autoconclusivi (più che altro nelle prime tredici puntate) e per le splendide musiche, tra cui spiccano le incursioni di sax alla "Blue in Green" durante le riflessioni del protagonista, che sfreccia con la sua auto nella grigia Paradigm City. In questa città tutte le persone hanno perso la memoria, e non ricordano cosa successe quarant'anni prima, quando ci fu un misterioso cataclisma. Inoltre sembra che all'esterno della città ci sia un mondo sconosciuto, in cui nessuno osa avventurarsi. Insomma, questa cosa ricorda molto le mura di "Haibane Renmei", ed è carica dello stesso simbolismo dell'opera di Abe, che strizza l'occhio al buddhismo e alla prigionia dell'uomo nella ruota del "Samsara".

La seconda cosa che salta subito all'occhio sono i robottoni: il mecha design è spettacolare, e ricorda molto quello di "Giant Robot". Dieci e lode anche ai combattimenti, che presentano coreografie perfette e animazioni fluide. La colonna sonora magistrale, inoltre, contribuisce a far cadere la mascella per terra allo spettatore molte volte durante lo show.

La terza cosa che senz'altro affascina è la trama: Roger è il negoziatore di Paradigm City, uomo dalle risorse illimitate e dalle molteplici sfaccettature, che inizialmente risolve dei casi riguardanti le memorie del passato, ovviamente gli oggetti più preziosi nella città dell'amnesia. Nel primo caso egli conoscerà Dorothy, una sarcastica ragazza-robot che come design ricorda molto la Rei Ayanami di "Evangelion", che diventerà la sua assistente. Il rapporto Dorothy-Roger crescerà esponenzialmente di intimità nel corso della serie e coinvolgerà pienamente lo spettatore, data l'unicità dei due personaggi. Andando avanti con le puntate, la storia si farà sempre più cupa, psicologica e carica di simbolismi, sulla scia di "Evangelion". Su internet infatti girano molte interpretazioni del finale di "The big O" e dei vari simbolismi leit-motiv che vi compaiono: come in "Haibane Renmei", nulla è lasciato al caso, e anche una singola frase che a prima vista sembra irrilevante può essere la chiave per decifrare il mistero di Paradigm City.
Nell'ultimo frangente della serie ci ritroveremo di fronte ad uno stile molto simile a "Lain" e "Matrix", sempre in un contesto noir e con i robottoni, e con la velata storia d'amore tra i due cinici protagonisti.

La quarta cosa importante è che questo anime spinge lo spettatore a pensare, a cercare risposte ai numerosi e sinistri misteri che si presentano, a interpretare le vicende in un contesto sociologico e filosofico. E' infatti evidente che uno dei temi principali che propone "The big O" è il rapporto individuo-società, oltre ovviamente ai richiami più cyberpunk, come ad esempio la ricerca della natura dell'anima, e la possibilità che essa possa esistere indipendentemente dalla memoria.

In conclusione, "The Big O" è un'anime che racchiude in sé una vasta moltitudine di generi, una trovata geniale dallo stile unico e inconfondibile. Tecnicamente è promosso a pieni voti, i personaggi sono splendidi, ma purtroppo non posso dare il dieci pieno a causa di qualche filler e, sopratutto, qualche rallentamento nella seconda metà della serie.
Ah, dimenticavo: l'atmosfera di nostalgia e perdita che avvolge questo anime è indimenticabile, il cielo grigio, il triste sassofono, le clessidre, il vestito nero di Dorothy, le parole non dette...


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God87

Episodi visti: 26/26 --- Voto 7
Qual è il mistero di Paradigm City? Perché tutti i suoi abitanti non hanno alcun ricordo di quanto accaduto quarant'anni prima? Cosa sono i giganteschi robot che sporadicamente appaiono in città mettendola a ferro e fuoco? Roger Smith, professione negoziatore, con il suo lavoro si trova presto a indagarci, venendo a contatto con una realtà incredibile che cambierà per sempre la sua vita, mettendola seriamente in pericolo. Fortunatamente, a proteggerlo ha dalla sua parte alleati fidati: Norman, maggiordomo tuttofare; Dorothy, ragazza cyborg dalla grande agilità, e il gigantesco, potentissimo robot da combattimento Big O...

Nel biennio 1998-1999 Sunrise trova la sua più ispirata vena artistica, tirando fuori una sfilza di opere estremamente autoriali che ben gli fanno meritare la nomea di studio d'animazione tra i più importanti in ambito internazionale, legato non più solo alla faccia "matura" del genere robotico, ma anche alla sperimentazione in altri generi narrativi. Sono gli anni in cui escono, a distanza ravvicinata, gioiellini del livello di "Brain Powerd", "Gasaraki", "Cowboy Bebop", "Infinite Ryvius", "∀ Gundam", "The Big O".

Opera avveniristica che segna davvero la cifra sperimentale Sunrise, "The Big O" è mystery di cifra americana filtrato da sensibilità giapponese, dove si incrociano tempi narrativi rarefatti, atmosfere tenebrose e un tangibile senso di sporcizia e degrado di derivazione noir anni '40, con robottoni giganti e personalità psicopatiche di matrice nipponica. Un ispirato connubio narrativo, enunciato da una prestigiosa collaborazione produttiva - Sunrise e un colosso americano dell'intrattenimento del livello di Cartoon Network - e una opening leggendaria che rilegge il Flash Gordon's theme dei Queen, che è il primo del suo genere, seguito quasi un decennio dopo con gli adattamenti Mad House di "Iron Man", "X-Men" e "Wolverine" e, per rimanere in ambito super-eroistico, con il divertente "Tiger & Bunny" diretto da uno degli stessi creatori del cult Sunrise. Evidentemente il sottocosmo degli eroi mascherati a stelle e strisce rappresenta forte influenza per svariate produzioni nipponiche, e anche "The Big O" non sfugge alla regola, nonostante parli di tutt'altro, facendosi spesso accostare al Batman animato della Warner Bros per il design grafico estremamente simile e paralleli tra il protagonista-milionario Roger Smith e Bruce Wayne, tra il suo maggiordomo Norman e Alfred. Ma sono giusto affinità estetiche e poco altro. Geniale sintesi tra culture e influenze di diversi Paesi, "The Big O" è la personale creazione del regista Kazuyoshi Katayama e del designer Keiichi Sato, che con la sceneggiatura scritta dal rinomato Chiaki J. Konaka dà vita a una delle più affascinanti incursioni a memoria d'uomo nello steampunk.

Proprio da uno dei papà di "Serial Experiments Lain" deriva il problema - anche se tale termine è forse ingeneroso contando la caratura dello sceneggiatore - maggiore dell'opera, lo script così complesso e articolato da sembrare in più frangenti confusionario, privo di intermezzi leggeri per tirare il fiato e assimilare con calma le informazioni. Le indagini di Roger Smith alla scoperta della sua identità e dei segreti di Paradigm City sono pesanti da seguire: colpa di un chara design americaneggiante e quadrato - simile a quello di Batman, appunto - poco incisivo e attraente, ma anche di una ostica regia che, sforzandosi di essere evocativa ed estremamente lenta come i noir che vorrebbe omaggiare, risulta facilmente letargica, portando a noia, col pericolo concreto di non permettere di seguire lucidamente gli sviluppi dell'intreccio. "The Big O" è una di quelle opere che, similmente a "Gasaraki", presuppongono una visione a cervello attivo, ponendo tutto l'interesse dello spettacolo nella complessità della storia, non importa a discapito di una certa freddezza generale. Un meccanismo che funziona egregiamente attestando le qualità artistiche della produzione, ma non permette di sentirsi troppo emotivamente legati a lei. Per qualche strana sinergia di forze, però, a costo di non recepire tutte le sfumature dell'intreccio, la visione è a sprazzi talmente carismatica da risollevare pienamente il giudizio.

È opera che vive di momenti estremamente suggestivi, molti dei quali per merito della magnifica colonna sonora di Toshihiko Sahashi, i cui temi ora epici, ora corali, ora gregoriani, regalano fortissima intensità alle scene, sopratutto a quelle di rivelazioni importanti o della lotta tra il Big O e il robot nemico di turno, quasi sempre all'interno della città di Paradigm - a ricordare i film di Godzilla degli anni '60 - e coreografate con una cura tale da far spalancare le mascelle. Il robottone protagonista è un capolavoro del mecha design, tra i più carismatici della Storia grazie alle sue spalle gigantesche e verticali fuse nel braccio e le incredibili armi: la sua enorme stazza è glorificata dalla fisicità delle animazioni, fluide a livello di un filmone cinematografico, che rendono ogni singolo scontro, per quanto sempre breve, puro spettacolo di lamiere e viti in movimento. Aiutano a sopportare meglio la lentezza di Big O il simpatico protagonista Roger Smith, ma sopratutto le atmosfere torbide, vero marchio di fabbrica di un noir basato su lunghi silenzi, dialoghi sussurrati, tempi narrativi rarefatti e antagonisti grotteschi, inquietanti e psicopatici che ricordano non poco certi villain delle storie di Yasuhiro Imagawa. Unico, vero limite dell'opera, appunto, rimane il ritmo pachidermico. "The Big O" è molto, troppo registicamente raffinato, al punto da sembrare in qualche frangente di un'irritante snobberia. Lo si avverte in ogni inquadratura, nei dialoghi lentissimi, nelle animazioni spesso minimali quando non si tratta di scene d'azione. E la visione, a meno non sia pienamente attiva, rischia di diventare presto stancante e in alcuni punti insopportabile, perché tanta autorialità per molti è, anche giustamente, di troppo.

La valutazione finale non può prescindere da questo: "The Big O" è concretamente una bella serie, potenzialmente splendida, che seguita con attenzione rivela una storia intrigante e ben sviluppata e con un finale all'altezza dei misteri che la reggono (seppur semi-incompleto, portandosi via un buon numero di sottotrame che, purtroppo, visti i bassi share che negano una nuova stagione, non sono più chiuse). Finale che, negli stessi anni del Matrix cinematografico, ha il merito di riportare in auge forti cenni di cyberpunk in animazione, seppur impossibili da rivelare pena distruggere uno dei misteri più importanti della serie. Apprezzarla è un conto, viverla è però un altro: se una regia soporifera e pochissima azione non sono deterrenti, probabile che chi legge l'adorerà. Altrimenti, rischia di annoiarsi, non riuscendo neanche a seguirla bene. Ognuno stabilisca la sua soglia di tolleranza.

Voto: 7 su 10


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Shaka_no_virgo

Episodi visti: 26/26 --- Voto 10
<b>Attenzione! Contiene spoiler!</b>

La definizione di genere fantascientifico-noir per questa serie animata ci sta tutta, Big O è anche di più, ci sono ironia, amore, azione e filosofia. Per me è uno dei migliori anime in circolazione e ancora non mi capacito del perché non sia mai arrivato in Italia. Altro che Gurren Lagann!
Nelle altre recensioni si dice che quest'anime sia una summa di Batman, Evangelion ed altri anime; sì, lo è, ma va ben oltre nel finale ponendo una serie riflessione teologica.
Il chara per me è splendido, i personaggi sono caratterizzati benissimo, su tutti spiccano l'androide Dorothy e il protagonista Roger, negoziatore (o mediatore tra gli uomini e Dio?) di Paradigm City.

Dopo non si sa quale evento catastrofico, lo s'intuisce nel finale, quel che rimane dell'umanità è una città chiamata Paradigm City, dove gli abitanti hanno perso le memorie di ciò che è accaduto loro 40 anni prima. Perché si sono persi i ricordi? Perché agli abitanti non interessa di sapere chi vive al di fuori del loro ambiente? La città è un palcoscenico artificiale sul quale vivono gli uomini, e chi lo ha costruito? Qualche risposta nelle puntate finali c'è ed ecco perché ho parlato di spiegazione teologica e aggiungo metafora della vita.
"Big O" è un anime decisamente raffinato e molto più profondo di quanto possa sembrare.

La prima serie fu girata alla fine degli anni '90, la seconda a distanza di 5 grazie all'enorme successo riscosso in Occidente.
Sia chiaro, alcune questioni rimangono in sospeso e una terza serie sarebbe stata necessaria, ma i costi elevati di produzione spinsero Tonami e Adultswim a desistere.
Avendo amato il Batman della Warner, quest'anime mi intrigava assai, quando poi ho scoperto che c'era anche una storia d'amore sono rimasta incollata allo schermo! Possono un'androide, capace di emozioni umane, e un uomo amarsi? Saranno mai capaci di ammetterlo? Guardatevi la serie, ovviamente reperibile in giapponese fansubbato in italiano. Gruppo Kanjiisub. Da non perdere.


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Mac Parak

Episodi visti: 26/26 --- Voto 10
Big O è un eccezionale ensemble di generi e sottogeneri. Presenta un'incredibile varietà di ispirazioni, dal fumetto americano al noir cinematografico dal sapore retrò. Fascino ed eleganza accompagnano questa serie d'indubbia qualità, con musiche sempre all'altezza della situazione e una trama rivolta a misurarsi con le nuove leve del fanatismo degli anime nipponici.

La prima serie piace per la sua verve comica e intrigante e la misteriosa Paradigm City fa da cornice al grande gigante d'acciao Big-O pilotato dal Negoziatore della città. La seconda serie, è obbligatorio vederla poichè A) si svelano finalmente le condizioni assurde che rendono possibile la vita e i pensieri su Paradigm City, e B) il tutto assume decisamente più senso e la storia finisce in modo completo. Nulla viene lasciato nel dubbio come spesso invece accade negli anime.

Big O è il debutto su teleschermo di uno di manga più apprezzati in Europa, Australia e Stati Uniti.
Tra Batman, Giant Robot, Daitarn 3 e fumetti d'avventura francesi, The Big-O è la serie che molti di voi dovrebbero vedere assolutamente.
Mac Parak

capitano tylor

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capitano tylor

Episodi visti: 13/26 --- Voto 7
Che bell'anime!!!
Una piacevole sorpresa che fonde i robottoni con un'atomsfera che non è propriamente "japanstyle", ma che si rifa' ai comics americani - chi ha detto Gotham City?. Lo stile comunque originale, le storie velate di una sorta di tristezza di fondo date dal background accattivante, e i personaggi variegati rendono godibile la visione di tutti e 13 gli episodi, e fanno ben sperare per la seconda serie, recentemente editata. Da vedere.

Kappei Jin

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Kappei Jin

Episodi visti: 26/26 --- Voto 9
Quasi Capolavoro. Peccato che quel "quasi" dipenda da un finale raffazzonato (parlo del 26simo episodio) dove con l'intento di chiarire tutti i misteri della serie si creano invece innumerevoli nuovi dubbi. Se vi siete morsi le mani con Evangelion preparate l'acqua ossigenata anche per questo anime.
Per il resto, una delle migliori serie mai prodotte salla Sunrise così come nell'intero panorama dell'animazione giapponese: le atmosfere sono uniche, il "carattere" del cartone è solido e di altissimo livello, l'ambientazione nonchè tutto il mondo eletto intorno a questa serie sono costruiti con grande minuziosità. Tantissimi sono quindi i motivi per amarlo focosamente: le storie di Dorothy e Roger, il mistero del passato della città e dei bellissimi Megadeus, i combattimenti robotici, l'irresistibile Beck ed il sagace Schwartzwald, la misteriosa figura di Angel, la stessa Paradigm city, nostalgica e cruda allo stesso tempo, dove gli umani intereagiscono con gli androidi, un luogo isolato dal mondo intero che sembra risiedere in un regno più onirico che reale. Lode infine alle strepitose musiche di Toshihiko Sahashi, tutte davvero splendide, che spaziano dalla nostalgia delle sonate di pianoforte al jazz ritmato in pieno stile Bondiano passando per le forti sonorità orchestrali di sinfonie di musica classica e temi più avventurosi che ricordano il John Williams di Guerre Stellari e Indiana Jones.
Assolutamente da vedere, considerando che la storia decolla intorno all'undicesimo episodio (ma in ognuno di essi c'è un piccolo momento dedicato al "quest" principale). Un cartone fuori dal tempo, grazie Sunrise ^_______^