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Nicola Scarfaldi Cancello

Episodi visti: 12/12 --- Voto 3,5
Vi devo chiedere scusa, perché nella recensione alla prima stagione di “The Eminence in Shadow” ho peccato di obiettività, e questo mi ha portato a una visione parziale e fin troppo ottimista.
Tale visione ha, in minima parte, alterato la sostanza del testo, restituendo un giudizio più positivo di quanto l’opera avrebbe meritato, ed essendo per questo fuorviante.

Qualcuno di voi mi dirà: “Maestro, ma lei ha perso il lume della ragione! Quella era una recensione da 5, che iniziava con una citazione di Amleto e finiva con un’invocazione alla rinascita di una comunità intellettuale capace di influenzare, almeno in minima parte, l’opinione pubblica. Qual uomo può dire che tali parole astiose siano mosse da buon cuore?”
A questa risposta, del tutto naturale e indiziaria di una capacità articolatoria di cui sicuramente vi credo in possesso, risponderei invitandovi a soffermarvi sulla sostanza dei miei scritti, e non sullo stile tagliente che decido di adottare. Una volta fatto ciò, vi sarà chiaro che quella recensione, anche nei suoi picchi di spietatezza, era permeata da un certo ottimismo.
L’idea era che, anche se piena di problemi, “The Eminence in Shadow” fosse un’opera con una dignità: ero sinceramente convinto che, pur se con delle ingenuità, avesse comunque il fine di raccontare una storia, trasmettere un’emozione, comunicare un messaggio.
Prima di guardare la seconda stagione, ero convinto che ci fosse dell’arte all’interno di questo anime: sicuramente arte di consumo, ma pur sempre arte.

Ebbene, mio manipolo di fratelli, non è così.
Mi è ormai chiaro che “The Eminence in Shadow” non è questo.
“The Eminence in Shadow” non è altro che un insieme di idee messe insieme senza premura o cognizione di causa alcuna. Non ha alcun pensiero dietro, alcuna sensibilità e alcuna intenzionalità. Non ha scopo, se non quello di catturare l’attenzione con mezzi prevedibili, e forse di sedare le menti di taluni con un minimo di euforia, agendo in modo non dissimile da una sostanza psicotropa.
“The Eminence in Shadow” non ha dignità: non è dissimile da ciò che furono i cinepanettoni e la TV Mediaset per gli italiani, o le telenovela e soap opera per le casalinghe.
I mezzi creativi che utilizza per catturare l’interesse sono i medesimi.

“The Eminence in Shadow” non esiste in funzione di ciò che dà, ma in funzione di ciò che toglie.
Perché sì, “The Eminence in Shadow” non è nulla, se non una triste considerazione nata a seguito della sua popolarità.
“The Eminence in Shadow” è ciò che molti hanno accusato, anche un po’ a ragione, il franchise di “Fate” di essere.

“The Eminence in Shadow” è la morte dell’arte.

Sono qui per dirvi il perché.
Per farlo, dovrò ‘spoilerare’ ogni cosa.
Siete avvertiti.

Attenzione: la parte seguente contiene spoiler

Partiamo dal principio.
Cos’è una storia? In linea di massima, una storia è una sequenza di eventi ordinata con criterio. In arte, tale criterio è quello strumentale a comunicare x, laddove x può essere una morale, un messaggio, una sensazione, o qualsiasi altra cosa. Le coniugazioni di questo concetto sono tante quante le stelle in cielo, ma la condizione necessaria è la consapevolezza di ciò che si sta facendo, al fine di realizzarlo al meglio.

Con la visione della seconda stagione, posso affermare con certezza che tale consapevolezza è del tutto assente in “The Eminence in Shadow”, almeno nel suo adattamento animato.

La serietà che criticavo nella prima stagione, da me ritenuta eccessiva anche nell’ottica di un’opera con umorismo tongue-in-cheek che decostruisce canoni e stereotipi degli isekai, è presente anche in questa seconda stagione: ed essa è presente con un’intensità ancor maggiore, rendendo evidente come la gestione problematica della serie non era dovuta, come credevo, a incapacità (rendendomi quindi compassionevole, poiché, essendo un artista che critica altri artisti, so bene che non si può sempre eccellere), ma alla totale inconsapevolezza di chiunque abbia gestito la sua componente narrativa.
Non c’è alcuna coscienza di cosa la serie sia e voglia essere, e quindi la si riempie di eventi a caso nella beota convinzione che la narrativa sia solo raccontare una sequenza di eventi, e niente più.

Gli esempi più notevoli di ciò sono due: la scena del flashback del passato di Yukime, dove viene mostrato lo sterminio del suo villaggio e viene raccontato di come lei abbia vissuto come prostituta per un lungo periodo; ma, soprattutto, il momento sul finale, dove Rose Oriana rimane sconvolta nel vedere la madre avere un rapporto sessuale con l’assassino del padre, e vomita per il disgusto di una rivelazione così sconvolgente.
Due scene pesanti, drammatiche, troppo drammatiche. Scene drammatiche in un’opera che non ha le basi per reggerle, perché non sono così eccessive da risultare ridicole, ma rimangono maledettamente serie e pesanti, stonando con quanto visto nel resto dell’opera.
Vederle è come venire costretti a mangiare una peperonata dopo aver bevuto un bicchiere di latte, se ne esce nauseati. Sono semplicemente fuori luogo.

Il problema, però, è che i confini di questo “luogo” non vengono mai decisi.
La serie vive solo di intenzioni e belle idee, ma tutto ciò che riguarda la sua struttura interna è semplicemente perso nell’etere, a tal punto che ho davvero difficoltà a dire che “The Eminence in Shadow” abbia una scrittura: perché scrivere una storia non è allineare linearmente una serie di eventi più o meno a caso sino a quando non si raggiunge una fine.

Per quanto ci siano singole scene che richiamano lo spirito che l’opera dovrebbe avere (mi viene in mente il combattimento di Gamma, in cui la sua indistruttibilità unita alla sua estrema sbadataggine crea risultati simpatici; o, comunque, alcune scene di Cid nell’arco narrativo centrale, inerenti il suo fare il doppio-gioco con la sua stessa organizzazione, per mandare avanti una frode bancaria), tali scene si perdono totalmente nel fatto che non esiste alcuna narrazione o componente drammatica.
Non c’è nessun motivo per cui dovremmo appassionarci alle vicende di Cid, e non c’è alcun vero meccanismo narrativo, ma al massimo l’illusione della sua presenza, poiché una (e una sola) trama aperta della stagione precedente viene portata avanti sul finire di questa.
E se questa è narrativa, Baudelaire era un netturbino.

Per il resto, cosa ci racconta questa stagione? Tre storie a caso, più un episodio alle terme, che non portano da nessuna parte, e la cui “geniale decostruzione e ironia” è al massimo carina nei momenti descritti in parentesi.

Un altro problema, che diventa ancor più evidente guardando questa stagione in relazione con la prima, è la gestione dei personaggi. Ovvero, l’assenza di un criterio nel farlo.
Tutti i personaggi vengono praticamente introdotti e gestiti allo stesso modo, e questo dà l’impressione che tutti siano ugualmente importanti, quando, per motivazioni fisiologiche, non può e non deve essere così: l’opera risulta quindi insoddisfacente, perché alcuni personaggi non vengono approfonditi per niente e rimangono vuoti o lasciati indietro, alcuni scompaiono facendoci domandare se mai ritorneranno (ciao Sherry), alcuni che sembravano importanti si rivelano non esserlo, altri che erano importanti nella prima stagione non lo sono in questa (hanno fatto qualcosa Iris e Alexia in questa stagione? Me lo sono già dimenticato) e, infine, quelli che vengono introdotti fanno domandare quando e come si parlerà di loro, questo perché ce ne sono tanti altri a cui, idealmente, si dovrebbe dare la priorità.

Il problema, come sto cercando di dire, non è tanto che tutti gli attori in scena non abbiano lo stesso peso: non possono averlo. È la totale assenza di logica nel come sono i gestiti i loro ruoli a livello drammaturgico.
Ad esempio, i membri principali dello Shadow Garden, essendo collegati a due mani con Cid, dovrebbero avere una certa rilevanza, essendo letterali comprimari del protagonista: eppure, dopo trentadue episodi, esistono ancora Zeta ed Eta che, se non li avessi cercati sull’elenco dei personaggi, non mi sarei ricordato neanche il loro aspetto.
E anche quelli su cui ci si concentra non subiscono chissà quale evoluzione interessante, neanche e soprattutto a livello narrativo. Come ho detto anche nella recensione del “L’attacco dei giganti”, non basta la presenza di momenti di crisi per dire che i personaggi siano ben scritti, o che la storia sia ben scritta, o che tale scrittura sia quantomeno presente.

A delegittimare questi difetti, mi è capitato di leggere giustificazioni “strane”.
“The Eminence in Shadow” viene descritta come un’opera ironica che si prende sul serio, o un’opera seria che non si prende sul serio, o altri cortocircuiti logici che, una volta riconosciuti dai soggetti in questione, terminano nel sempreverde “Lo guardo perché è trash”.
Ora, non credo di dover dimostrare che “The Eminence in Shadow” non sia un’opera trash: sotto tale termine di solito si raccolgono opere di qualità scadente nella composizione, indipendentemente se ciò sia voluto o meno. “The Eminence in Shadow” è invece un’opera che vuole ironizzare sui canoni degli isekai, e farla rientrare sotto il termine panacea “trash” mi sembra più un modo puerile di giustificare l’aver visto le sue puntate.
Come se, d’altronde, bisognasse giustificare il modo in cui si passa il tempo.

Sembra quasi che qualcuno non sappia la differenza tra critica artistica e opinione personale...

La triste verità è che “The Eminence in Shadow” è semplicemente un’opera con qualche bella idea, ma scritta tremendamente male.
La cosa peggiore, lo ripeto, è l’evidenza di come tale gestione problematica non sia causata da errori sporadici, ma da una mancanza di comprensione delle potenzialità dell’opera, una cecità su come essa sarebbe stata percepita agli occhi di un pubblico consapevole.

Avevo terminato la precedente recensione affermando che “The Eminence in Shadow” fosse la dimostrazione che le persone non sanno ciò che vogliono, ma ora credo ci sia un’altra riflessione che possiamo ricavare dopo questa analisi.
Tutti possono avere delle belle idee, anche i bambini, ma solo i grandi autori le sanno sfruttare al meglio. Una storia non è solo la somma delle parti, ma è anche l’insieme di strutture narrative che la sorreggono, il modo in cui la sua interezza guida il nostro sguardo e dimostra di saperci sorprendere.

Un bambino può lanciare cento mattoni nello stesso punto, ma solo un architetto può progettare una statua tanto magnifica quanto stabile.

Ho detto tutto.
Auf wiedersehen!