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Kotaro

Episodi visti: 23/23 --- Voto 7
Un trend recente, che personalmente trovo molto piacevole, è quello di ripescare titoli "sfortunati" del passato per svecchiarli e dotarli di trasposizioni animate che non avevano avuto o avevano avuto in formato OAV monco. "Abarenbou rikishi Matsutarou", tratto da un manga anni '70 di Tetsuya Chiba, è uno dei più recenti esempi di questa tendenza.
Non conosco il manga originale, ma già a giudicare da questa trasposizione animata si colgono alla perfezione lo spirito degli anni in cui la storia è stata creata e ambientata, nonché lo stile inconfondibile del suo autore.
Il rimando al più celebre e fortunato "Ashita no Joe" è immediato e irrinunciabile. Entrambi i titoli condividono la stessa ambientazione, quella del poverissimo Giappone anni '70, e un protagonista di base molto simile: sfrontato, menefreghista e rissoso, si dedica ad uno sport da combattimento (lì il pugilato, qui il sumo) che lo porterà ad attraversare un percorso di formazione.

Matsutarou si rivela essere sin da subito un protagonista ben più sopra le righe rispetto a Joe: non è un personaggio tragico, ma un ragazzone maleducato, perennemente sicuro di sé e della sua forza erculea, in virtù della quale si sente in diritto di averla sempre vinta (del resto, chi oserebbe contraddirlo?) e di fare il bello e il cattivo tempo, sia nel paesello di campagna dove inizia la storia, sia sui ring e nelle palestre di sumo della grande Tokyo dove si trasferirà più avanti.
Un personaggio chiaramente d'altri tempi, a cui manca completamente l'affabilità tipica dei protagonisti delle storie che verranno, ma anche quell'incrollabile spirito di sacrificio tipico dei protagonisti delle serie sportive (fiducioso della sua forza innata, Matsutarou non si allena mai ma vince sempre e comunque, scordiamoci catene ai polsi, diete rigorosissime o partite di calcio giocate nonostante gravi problemi di cuore).
Matsutarou è un personaggio estremamente espressivo: è strano, volgare, antipatico, ma allo stesso tempo non si può fare a meno di volergli bene.
Un buzzurro come pochi che, però, a modo suo, è alla ricerca del suo posto nel mondo, vuol bene ai suoi familiari e cerca, in modo schietto e volgare ma anche romantico, di colpire il cuore della professoressa di cui è innamorato.
La sua mente è semplice e allo stesso tempo imprevedibile, sempre in preda a scatti d'ira, pensieri superbi e dispetti da bambinone maleducato.

La serie, teoricamente di argomento sportivo, mostra in realtà poco del sumo, vuoi perché Matsutarou vince sempre in pochi minuti, vuoi perché preferisce lasciarlo sullo sfondo per concentrarsi sulle infinite bravate da lui compiute in questo o quel luogo, sia esso un ring, un treno, una palestra o un ristorante.
La narrazione è lenta e altalenante, va da episodi divertenti ad altri più noiosi, passando anche per piccole perle che sanno essere poetiche, malinconiche o introspettive, pur senza mai scadere nel dramma e anzi riservando sempre una gran dose di comicità.
Quello di "Abarenbou rikishi Matsutarou" è un mondo anni '70 povero e arretrato, ma, per una volta, si sceglie di raccontarlo con allegria e calore, attraverso una miriade di personaggi buffi e divertenti e vicende caciarone e demenziali, sia pur di tanto in tanto condite con un velo di poetica malinconia.

E' chiaramente Matsutarou la star indiscussa dello show, dato che il suo carattere strabordante fagocita chiunque gli si pari davanti, ma anche i vari personaggi secondari o comparse che costellano la serie sanno essere simpatici e regalare un sorriso. Menzione d'onore per il buffo e timido Tanaka, vittima preferita dei dispetti del protagonista, che conquista lo spettatore col suo carattere buono e insicuro, salvo poi rivelare una gran forza d'animo nei momenti più inaspettati.

Nella parte finale, la serie abbandona (ma non del tutto) le atmosfere demenziali per farsi più romantica, seria e introspettiva, ed è lì, dopo tanti episodi sì spassosi ma anche un po' lenti, che inaspettatamente ci si appassiona alla storia di questo gigante cafone e smargiasso che finalmente, dopo tanti casini, si ritrova a fare i conti con se stesso, con la disciplina di cui è diventato campione quasi per gioco e con la donna che ama, le cui parole possono dargli la forza e il coraggio di Ercole o farlo precipitare negli abissi della disperazione.
Ma Matsutarou è un personaggio troppo fuori dagli schemi per concludere la sua vicenda con un normale happy ending, ed ecco che il finale dell'opera arriva, spiazzante, a deludere le (elevate) aspettative degli spettatori a un paio di minuti dalla fine. Chissà, forse è meglio così, meglio ricordarselo che si diverte e combina disastri insieme al fido Tanaka piuttosto che come un glorioso lottatore di sumo che ha messo la testa a posto.

A livello tecnico, "Abarenbou rikishi Matsutarou" è un gioiellino. Forte del suo essere tratta da un manga d'altri tempi, la serie animata fa un utilizzo pressoché inesistente di computer grafica e stilemi degli anime moderni, regalandoci elementi che non si vedevano da tanto, troppo tempo: personaggi espressivi, capaci di deformare il loro volto in mille smorfie e di correre qua e là trasformando le gambe in semplici pallette. Questa espressività molto forte ben si presta ad esprimere la totale demenzialità dei personaggi, e la godibilità della serie ne giova molto, aiutata anche da colori molto vivaci e da una colonna sonora sobria ed essenziale, capitanata da una piacevole sigla d'apertura con uno stile d'altri tempi (quella di chiusura non c'è, brutta abitudine degli ultimi anni).
Anche per quanto riguarda il doppiaggio, la serie strizza piacevolmente l'occhio alle produzioni degli anni passati, facendoci ritrovare doppiatori di una certa caratura come Kozo Shioya, Masaharu Satou, Issei Futamata o Bin Shimada. Come in altre produzioni di altri tempi (si pensi a "Jungle no ohja Tar-chan"), a dar la voce al protagonista non c'è un doppiatore di professione, ma un attore, Ken Matsudaira, che dona al bellicoso sumoka un tono energico e lamentoso, forte e caloroso, unico e irresistibile.

E' un anime strano, che vive di ambivalenze, questo "Abarenbou rikishi Matsutarou": vecchio e insieme nuovo, ora divertente e ora noioso, ora dissacrante e ora commovente, spaccato del mondo del sumo professionistico e della vita nel Giappone degli anni '70, con un finale evocativo e deludente al tempo stesso. Una serie che dà da pensare, perché se consigliarla o meno non l'ho ancora capito, ma il buon Matsutarou e la sua strafottenza mi hanno strappato più di una risata e, sebbene non sia proprio quel gran, buon esempio che solitamente cerco nei protagonisti dei cartoni animati, in un certo senso mi ci sono affezionato.


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Robocop XIII

Episodi visti: 23/23 --- Voto 7
Neanche due mesi dopo aver concluso Rocky Joe, la sua opera più importante, il disegnatore Tetsuya Chiba si cimentò subito in un altro manga, che gli valse la vittoria di un Shogakukan Manga Award nel 1977. Il manga verrà anche trasposto, ad opera ancora in corso, in una serie OAV di dieci episodi, nel 1990. Nel 2014, sulla scia di un trend che ha toccato altri vecchi manga come Kiseijuu e Ping Pong, si decide di riprendere in mano Notari Matsutaro e di trasformarlo in un anime televisivo di ventitré episodi.

Sebbene praticamente sia il baseball, teoricamente è il sumo lo sport nazionale Giapponese. Com'è allora che si contano miriadi di produzioni sul baseball (a partire dalle love story di Adachi fino alle intricate strategie di One Outs) mentre sul sumo molte meno? Quantomeno per me, Matsutaro è stato il primo approccio con una produzione che trattasse tale tema. C'è però da dire cheMatsutaro non è uno spokon vero e proprio, il sumo è difatti lo sfondo sul quale si muove il protagonista e maggiore importanza viene data alle sue movimentate avventure. Perché come lo descrive lo stesso nonno, Matsutaro "non è che una testa calda che vive di prepotenze e capricci". Ma a dirla tutta questa descrizione è fin troppo riduttiva, Matsutaro è uno dei personaggi più odiosi, maleducati, violenti e menefreghisti mai concepiti. Furti, rapimenti e violenze sono all'ordine del giorno, e non esiste discussione che non si concluda a cazzotti. È facile immaginare che ci sarà un percorso di formazione per il protagonista.

Questo anime ha sostanzialmente due problemi: è lento e piatto. La narrazione procede con un ritmo disturbante (basti pensare che il sumo appare solo nel finale della seconda puntata) e le vicende si riducono alla fin fine alle solite cose, con Matsutaro che si comporta da incivile e qualche gag basata sulle flatulenze intestinali. Ma questo anime dimostra poi di avere qualche carta basata sul suo valore storico e divulgativo. Innanzitutto c'è una rappresentazione non proprio banale (anche relativamente all'atmosfera generale dell'opera) del periodo Shōwa, mostrando la differenza tra i vari strati sociali e la povertà che albergava nei paesini più periferici, in cui Tokyo era vista come qualcosa di lontano (anche se si trattava di pochi chilometri) e anche solo visitarla era considerato un lusso. Successivamente c'è una rappresentazione del sumo nella sua struttura, impariamo quindi che ci sono vari gradi, vari riti, vari personaggi che girano intorno a questo grande mondo e gerarchie inflessibili in cui i lottatori più forti e anziani devono essere serviti e riveriti senza battere ciglio. Se vi sembra banale che un anime basato sul sumo parli di sumo, guardatevi Mitsuano, un anime dello stesso anno che riesce nell'arduo compito di parlare delle geisha senza parlarne. Infine Matsutaro ha un valore storico, perché per quanto svecchiato nel character design, la storia e la struttura rimangono pur sempre quelle di un manga iniziato nel 1973. C'è da aggiungere che il finale dell'anime (aperto come non mai) non coincide con il finale del manga, quindi o è previsto un sequel oppure è un'opera tronca.

Matsutaro non è sta gran cosa. Però una volta superato lo scoglio della lentezza e della ripetitività risulta un anime tuttavia simpatico e interessante nel suo essere old school. Una curiosità: il doppiatore di Matsutaro è alla sua prima esperienza con un anime e la sigla iniziale è un omaggio alla sua canzone più famosa, Matsuken Samba II.