The Scary House
Hirobumi Watanabe, maestro della comicità stralunata e dell'indie a bassissimo budget, decide di cimentarsi con il genere horror in "The Scary House". O, per essere precisi, decide di camminare con disinvoltura sul confine tra l’horror e la parodia dell’horror, finendo inevitabilmente per sconfinare nella seconda.
La produzione, come da tradizione watanabiana, è snella e casalinga: pochi attori, una location polverosa e un'atmosfera volutamente trasandata. La regia si muove con passo lento e disinvolto, mescolando lunghi silenzi, gag surreali, interviste in stile documentario, in un continuo gioco di rottura delle aspettative.
La fotografia, spoglia e poco luminosa, sembra voler costruire il brivido ma finisce per accentuare il senso di straniamento grottesco che attraversa tutto il film. L’orrore tanto atteso resta sempre sullo sfondo, come un attore distratto che dimentica di entrare in scena.
Le musiche, firmate dal fratello Yuji Watanabe, sono come il film: minimaliste, citazioniste, spiazzanti e più adatte a una commedia dell’assurdo che a un horror vero e proprio. La colonna sonora interviene a sottolineare con discrezione il ridicolo delle situazioni, senza mai prendere sul serio il terrore annunciato.
"The Scary House" è, insomma, un horror che promette brividi ma mantiene risate. Un film che sembra farsi beffe del genere stesso, dove l’unico vero spavento è la capacità di Watanabe di trasformare anche l'inquietudine più profonda in un pretesto per prendersi amabilmente in giro. E forse è proprio questo il suo talento più raro.
La produzione, come da tradizione watanabiana, è snella e casalinga: pochi attori, una location polverosa e un'atmosfera volutamente trasandata. La regia si muove con passo lento e disinvolto, mescolando lunghi silenzi, gag surreali, interviste in stile documentario, in un continuo gioco di rottura delle aspettative.
La fotografia, spoglia e poco luminosa, sembra voler costruire il brivido ma finisce per accentuare il senso di straniamento grottesco che attraversa tutto il film. L’orrore tanto atteso resta sempre sullo sfondo, come un attore distratto che dimentica di entrare in scena.
Le musiche, firmate dal fratello Yuji Watanabe, sono come il film: minimaliste, citazioniste, spiazzanti e più adatte a una commedia dell’assurdo che a un horror vero e proprio. La colonna sonora interviene a sottolineare con discrezione il ridicolo delle situazioni, senza mai prendere sul serio il terrore annunciato.
"The Scary House" è, insomma, un horror che promette brividi ma mantiene risate. Un film che sembra farsi beffe del genere stesso, dove l’unico vero spavento è la capacità di Watanabe di trasformare anche l'inquietudine più profonda in un pretesto per prendersi amabilmente in giro. E forse è proprio questo il suo talento più raro.
Da Hirobumi Watanabe non ci si poteva certo aspettare un horror classico, e infatti il regista di Otawara non si smentisce nemmeno stavolta, portando il suo inconfondibile universo creativo all'interno del genere, con risultati che oscillano tra l'esilarante e l'inquietante. “The Scary House” è un esperimento tanto bizzarro quanto coerente con la poetica dell’autore: un vero e proprio horror “fatto in casa”, in tutti i sensi.
Girato con mezzi ridotti, in digitale grezzo e con una troupe quasi inesistente, il film è ambientato in una casa infestata dove il regista decide di trasferirsi per sette giorni e sette notti. Documentando il suo soggiorno, tra allucinazioni, rumori sospetti e strane presenze. Un'idea che sembra semplice sulla carta, ma che nelle mani di Watanabe si trasforma in un’esperienza straniante, spesso surreale, a tratti comica e a tratti (almeno per me) disturbante.
Onestamente, dopo aver visto (e soprattutto digerito) il suo precedente e iconico "Techno Brothers", aspettavo questo nuovo film con una certa curiosità. Non mi ha deluso. Anzi, sorprende perché, pur restando fedele a sé stesso, minimalista, ironico, fuori da ogni schema narrativo tradizionale, Watanabe si tuffa senza paura nel genere. E ci mette dentro tutto: urla e vecchietti inquietanti, esorcismi, possessioni e impazzimenti.
Ma lo fa a modo suo, la casa, più che un luogo, diventa una mente che crolla: ogni stanza è una trappola, ogni rumore un presagio funesto. Quasi un’estensione della psiche del protagonista. La ripetizione di gesti quotidiani, le inquadrature fisse, il montaggio essenziale: tutto contribuisce a creare un senso di disagio crescente, spezzato da improvvise gag comiche, che abbattono la tensione e riportano tutto a quella dimensione di cinema artigianale/anti-narrativo che è la firma inconfondibile dell'autore.
Insomma, “The Scary House” non è un horror per tutti, ma per chi ne accetta le regole (o meglio: la loro assenza).
Girato con mezzi ridotti, in digitale grezzo e con una troupe quasi inesistente, il film è ambientato in una casa infestata dove il regista decide di trasferirsi per sette giorni e sette notti. Documentando il suo soggiorno, tra allucinazioni, rumori sospetti e strane presenze. Un'idea che sembra semplice sulla carta, ma che nelle mani di Watanabe si trasforma in un’esperienza straniante, spesso surreale, a tratti comica e a tratti (almeno per me) disturbante.
Onestamente, dopo aver visto (e soprattutto digerito) il suo precedente e iconico "Techno Brothers", aspettavo questo nuovo film con una certa curiosità. Non mi ha deluso. Anzi, sorprende perché, pur restando fedele a sé stesso, minimalista, ironico, fuori da ogni schema narrativo tradizionale, Watanabe si tuffa senza paura nel genere. E ci mette dentro tutto: urla e vecchietti inquietanti, esorcismi, possessioni e impazzimenti.
Ma lo fa a modo suo, la casa, più che un luogo, diventa una mente che crolla: ogni stanza è una trappola, ogni rumore un presagio funesto. Quasi un’estensione della psiche del protagonista. La ripetizione di gesti quotidiani, le inquadrature fisse, il montaggio essenziale: tutto contribuisce a creare un senso di disagio crescente, spezzato da improvvise gag comiche, che abbattono la tensione e riportano tutto a quella dimensione di cinema artigianale/anti-narrativo che è la firma inconfondibile dell'autore.
Insomma, “The Scary House” non è un horror per tutti, ma per chi ne accetta le regole (o meglio: la loro assenza).