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Illidan

Volumi letti: 6/7 --- Voto 8
Questo è uno di quei pochi manga che hanno le caratteristiche da me reputate da 10: una grande profondità, un'accurata elaborazione, un grande studio dietro le quinte, una grafica che colpisce. Perché, dunque, ho assegnato solamente un 8? Perché, anche se Mihara Mitsukazu va forte su questi punti, possiede purtroppo una tecnica narrativa desolante, confusionaria e rozza. Soprattutto nei primi due volumi, dove non abbiamo niente che rassomigli lontanamente ad un'introduzione dei personaggi, si ha un'idea di precarietà dovuta ai continui cambi di scena e di punti di vista, che stordiscono e disturbano. L'impostazione della vicenda, inoltre, visto il continuo ricambio di personaggi dovuto ai continui decessi (cos'altro ci si poteva attendere da un manga che prende così di petto questioni legate alla morte, d'altro canto?) non facilita minimamente la lettura. Fortunatamente, l'autrice sembra essere colta, a partire dal terzo volume, da una specie di sindrome da Tristram Shandy (e il parallelo con il romanzo di Sterne sarebbe perfetto se solo Shigeshoshi fosse da 9 volumi) che la porta finalmente a farci conoscere meglio le origini dei protagonisti della storia. Per il resto, i primi volumi sembrano un'imitazione (mal riuscita, anche) della struttura de "L'Urlo e il Furore" di Faulkner: un inizio fatto di spezzoni incomprensibili, che maturano poi in uno sviluppo più coeso mano a mano che i punti di vista dei vari narratori si susseguono.
Ora, non saprei dire se quello che ha cercato di realizzare l'autrice sia stato un esperimento, o se le mancano davvero le basi del saper narrare, quindi non sputerò giudizi su questo... ma santo Dio, non è così arduo inserire ogni tanto un riquadro con nome, età e professione dei personaggi che si cerca di introdurre: perché non farlo, dunque, anziché lasciare il lettore a brancolare nel buio, sforzandosi di capire cosa stia accadendo ogni maledetta volta, e faticando per figurarsi chi siano gli sconosciuti che compaiono di continuo?

"Shigeshoshi" (o "The Embalmer", o ancora "L'Imbalsamatore", dipende dalla lingua che preferite) non è certamente uno di quei manga leggeri, scorrevoli e facili da seguire. E non solo per le difficoltà che ho già esposto: il macabro fa continuamente da sfondo alla trama, rendendo il tutto più pesante - anche se non necessariamente più spiacevole, dipende dal vostro grado di impressionabilità. Le riflessioni sono molto interessanti, il comportamento dei personaggi è alle volte un po' ossessivo, malato e difficile da concepire, ma psicologicamente corretto e mai esagerato. Il protagonista, Shinjuro, anche se come ho già detto gli viene dedicata la dovuta attenzione solo dal terzo volume in poi, è uno di quei personaggi per i quali provi subito se non empatia, quantomeno simpatia: tormentato e spregiudicato, ma a suo modo divertente, dà l'idea di una versione castana, istruita e filosofeggiante di Eikichi Onizuka ("GTO - Great Teacher Onizuka"), pur differenziandosene per una moltitudine di motivi. Un esempio di questo sarebbe il suo successo con le donne, di cui si fa forte l'incipit del manga, nel quale troviamo Shinjuro impegnato a fare i conti con i postumi di un "threesome", motivo, questo, per cui attrae immediatamente le simpatie del pubblico maschile.

Devo dire, ora che ci penso, che "Shigeshoshi" soffre - occasionalmente, ma comunque più di ogni altro manga che io abbia mai letto - delle limitazioni sensoriali alle quali i fumetti, purtroppo, non potranno mai porre rimedio: nello specifico, l'assenza di suoni e, soprattutto, l'assenza di odori. Sarebbe stato tutto molto più realistico e meno artificiale se solo avessimo potuto condividere con Shinjuro la sensazione di marcio dovuta al continuo contatto con i cadaveri, anziché doverla intuire dalle parole e dalle immagini.

I disegni sono estremamente validi e dettagliati: a me personalmente non sono piaciuti granché - hanno un po' contribuito al mio senso di confusione generale - ma non c'è bisogno di apprezzarli per riconoscere il grande lavoro svolto dalla mangaka. Le splendide rappresentazioni di obitori, cimiteri, uffici professionali e aule universitarie fanno apparire la vicenda molto più realistica e concreta, e trascinano il lettore in un quel mondo a tinte gotiche e fosche che l'autrice si era sicuramente proposta di realizzare. Questo è quello che ho pensato sin dall'inizio, e, svolgendo alcune ricerche, ho scoperto che Mihara Mitsukazu è molto conosciuta in Giappone proprio per la sua maestria nel dare questo tipo di tocco alle sue opere; maggiori informazioni su Wikipedia, sia inglese che giapponese.

Se l'ho già detto lo ribadisco, e se non l'ho fatto provvedo in questo momento: "Shigeshoshi" non ha incontrato molto i miei gusti personali, ma non serve di farsi piacere un manga per riconoscerne il valore. Ne approfitto anche per ribadire che non si tratta di un'opera facile da seguire, e chiunque abbia intenzione di leggerla deve prepararsi per bene alle fatiche che inevitabilmente finirà per incontrare. Per il resto, non serve neanche uno sforzo particolare di "suspension of disbelief": basta convincersi che le situazioni umane sperimentate da Shinjuro nel corso della storia non siano che una minima, speciale parte di ciò con cui ha a che fare di solito, e che l'autrice abbia semplicemente voluto farci conoscere i casi più particolari delle situazioni da lui affrontate, senza mai implicare che tutti quanti i clienti di Shin abbiano degli ultimi desideri o degli ambienti familiari così contorti. Bella storia, davvero: nella mia modesta opinione, più degna di un seinen che di uno josei, con il quale è stata classificata, ma distinzioni di questo tipo contano poco, quando ti trovi davanti un'opera così ben progettata.