Harem End
Harem End è uno dei tanti capolavori di Kago che non vorrei fosse dimenticato.
La logica è questa: il racconto parte facendo il verso ironico al genere harem che di solito troviamo negli ecchi o negli hentai e lo porta ad un livello di delirio fuori da ogni immaginazione. Se pensate di sapere cos'è il macabro, in Harem End troverete l'ultra-macabro. Se pensate di immaginare cos'è la violenza, in Harem End troverete il vostro limite di sopportazione.
Leggere un'opera come questa infatti richiede da una parte coraggio e dall'altra la continua ricerca di una consapevolezza su chi siamo e cosa vogliamo dalla vita, consapevolezza che ci serve per porre un muro di difesa tra noi e l'opera.
I personaggi sono credibili, e seppure tratteggiati, i loro caratteri risultano persino condivisibili. Quello che invece non è possibile rimane immaginare che un mondo come quello di Kago possa essere anche solo desiderabile. Eppure, credo stia proprio qui l'arte pura che riesce a portare sulle tavole il maestro Kago: tutta la violenza che l'autore disegna è già esistita da qualche parte nella storia dell'umanità. Sembra di leggere una fiction invece Kago non fa altro che portare su carta le conseguenze dei nostri pensieri.
Lo stile narrativo di Kago si basa sul partire da una ambientazione apparentemente realistica, per poi arrivare gradualmente a rompere i limiti che come esseri sociali ci poniamo, per varie ragioni (non fare del male agli altri per esempio). I limiti sono la rete di sicurezza delle nostre società, eppure Kago immagina mondi in cui questi limiti siano liberamente valicabili, pur mantenendo un legame con le conseguenze.
L'universo proposto in Harem End è di tipo frattale (visto ad esempio anche ne Il Grande Funerale, Dementia21 e altre opere del maestro). Una violenza ne genera un'altra uguale e contraria. I buoni si confondono coi cattivi, per poi scoprire che non esistono buoni ma solo conseguenze alle azioni, compiute a volte per nessun motivo... e proprio qui, nella banalità del male, troviamo la descrizione del germe della follia che sembra agire con una propria identità a discapito della volontà dei personaggi, e che se vogliamo è il punto più terrorizzante di tutta l'opera.
Per non cadere nell'abisso della follia i protagonisti si nascondono nei loro fetish, sempre più estremi, con conseguenze difficili da prevedere (questa parte la ritroviamo approfondita e dettagliata in Fraction e Il Grande Funerale).
Non vi racconto volontariamente parti della trama perchè credo che la scoperta incrementale delle idee di Kago sia parte integrante del gusto di leggere i suoi fumetti.
Kago è un autore che ha dovuto inventare un suo "genere" per poter essere accettato, con la sua incredibile ironia e gusto del macabro. Per poter leggere questo Harem End, così come tante altre opere del maestro è fondamentale approcciarsi con una mente aperta, non farsi abbattere dalla violenza, spesso inaudita e crudele, di cui è strapieno e andare oltre, arrivare al senso dell'opera stessa: cosa voleva dirmi questo autore? Di cosa era stanco? Cosa ha voluto "punire" con le sue tavole spietate?
e spesso la risposta a queste domande non riguarda tanto il lettore quanto piuttosto il contesto del mondo che tutti assieme stiamo costruendo, giorno dopo giorno.
La logica è questa: il racconto parte facendo il verso ironico al genere harem che di solito troviamo negli ecchi o negli hentai e lo porta ad un livello di delirio fuori da ogni immaginazione. Se pensate di sapere cos'è il macabro, in Harem End troverete l'ultra-macabro. Se pensate di immaginare cos'è la violenza, in Harem End troverete il vostro limite di sopportazione.
Leggere un'opera come questa infatti richiede da una parte coraggio e dall'altra la continua ricerca di una consapevolezza su chi siamo e cosa vogliamo dalla vita, consapevolezza che ci serve per porre un muro di difesa tra noi e l'opera.
I personaggi sono credibili, e seppure tratteggiati, i loro caratteri risultano persino condivisibili. Quello che invece non è possibile rimane immaginare che un mondo come quello di Kago possa essere anche solo desiderabile. Eppure, credo stia proprio qui l'arte pura che riesce a portare sulle tavole il maestro Kago: tutta la violenza che l'autore disegna è già esistita da qualche parte nella storia dell'umanità. Sembra di leggere una fiction invece Kago non fa altro che portare su carta le conseguenze dei nostri pensieri.
Lo stile narrativo di Kago si basa sul partire da una ambientazione apparentemente realistica, per poi arrivare gradualmente a rompere i limiti che come esseri sociali ci poniamo, per varie ragioni (non fare del male agli altri per esempio). I limiti sono la rete di sicurezza delle nostre società, eppure Kago immagina mondi in cui questi limiti siano liberamente valicabili, pur mantenendo un legame con le conseguenze.
L'universo proposto in Harem End è di tipo frattale (visto ad esempio anche ne Il Grande Funerale, Dementia21 e altre opere del maestro). Una violenza ne genera un'altra uguale e contraria. I buoni si confondono coi cattivi, per poi scoprire che non esistono buoni ma solo conseguenze alle azioni, compiute a volte per nessun motivo... e proprio qui, nella banalità del male, troviamo la descrizione del germe della follia che sembra agire con una propria identità a discapito della volontà dei personaggi, e che se vogliamo è il punto più terrorizzante di tutta l'opera.
Per non cadere nell'abisso della follia i protagonisti si nascondono nei loro fetish, sempre più estremi, con conseguenze difficili da prevedere (questa parte la ritroviamo approfondita e dettagliata in Fraction e Il Grande Funerale).
Non vi racconto volontariamente parti della trama perchè credo che la scoperta incrementale delle idee di Kago sia parte integrante del gusto di leggere i suoi fumetti.
Kago è un autore che ha dovuto inventare un suo "genere" per poter essere accettato, con la sua incredibile ironia e gusto del macabro. Per poter leggere questo Harem End, così come tante altre opere del maestro è fondamentale approcciarsi con una mente aperta, non farsi abbattere dalla violenza, spesso inaudita e crudele, di cui è strapieno e andare oltre, arrivare al senso dell'opera stessa: cosa voleva dirmi questo autore? Di cosa era stanco? Cosa ha voluto "punire" con le sue tavole spietate?
e spesso la risposta a queste domande non riguarda tanto il lettore quanto piuttosto il contesto del mondo che tutti assieme stiamo costruendo, giorno dopo giorno.
Shintaro Kago è un pazzo. Decostruttore estremo del fumetto, così efferato da reputare il suo stesso operato come merda, attraverso una perizia tecnica incontestabile, che si rifà all'iperrealismo grafico di Otomo e Maruo, il mangaka muove una satira grottesca di grande impatto, che fa di tutto per rimanere impressa nella mente del lettore, ponendosi con grande prepotenza attraverso corpi squartati in mille pezzi, cadaveri in putrefazione, sanguinose dissezioni di ragazzine innocenti, falli che diventano carri armati, parti del corpo umano che vengono ruotate e disassemblate allo stesso modo delle facce di un cubo di Rubik... insomma, si tratta di perversioni talmente creative da essere addirittura difficili da concepire, sicché provengono dagli angoli più reconditi della mente. Attraverso uno stile personalissimo, riconoscibile con poche tavole, il mangaka punta il ditino contro la società dei consumi e il suo deperimento dei valori, attraverso un masochismo splatter che stordisce come una bastonata in testa.
Un autore con un tale gusto dell'orrido, che ama collezionare action figures di cadaveri in putrefazione e strumenti di tortura (!), come si approccerebbe alla critica del medium animato e dell'otakuzoku in generale?
"Harem End" ci dà la risposta.
Nell'opera, la furia distruttrice di Kago si concentra sull'animazione contemporanea, nella quale il genere harem è inflazionato; di fatto, "Harem End" è una decostruzione brutale del genere, che ridicolizza con sarcasmo feroce tutti i suoi stereotipi, uno alla volta, sino al prevedibilissimo mattatoio finale. Ovviamente tra i personaggi dell'opera non mancano riferimenti a ragazzine moe provenienti da "Madoka Magica", "Chūnibyō demo koi ga shitai!" e compagnia, che vengono disegnate in modo più realistico, in modo tale da farle apparire ancora più kitsch delle loro controparti originarie.
Una volta terminato l'incipit a base di harem, Kago si scaglia contro l'industria dell'animazione tutta, raffigurando gli otaku produttori e consumatori come dei necrofili che adorano personaggi di "anime" creati dal vivo con cadaveri dissanguati, che vengono impiegati nelle riprese come se fossero marionette - palese metafora che grida alla "morte dell'animazione" e all'inettitudine dei suoi personaggi-simulacri senza fare troppi complimenti. In particolare, ad essere preso a sassate è un animatore di nome Kawamori, palese riferimento allo Shoji Kawamori che nel 1982 con "Macross" diede origine all'animazione "da otaku per altri otaku": attaccando il fenomeno alla sua origine, e facendoci sopra del sarcasmo decisamente malato, Kago crea alcuni spunti di riflessione sul manierismo tipico del medium animato giapponese, constatando che molti dei suoi prodotti puzzano di cadavere, di marcio.
Decisamente esilarante per i cultori dell'artista, molto probabilmente indigesto per la maggiorparte delle persone, "Harem End", sebbene non figuri di certo tra i capolavori dell'ero-guro più underground che ci sia, si rivela una lettura potente, sopratutto per chi ama fare dell'umorismo diretto - privo di moralismi, bigottismi e leziosismi - sulla perversione indotta dall'alienazione dell'individuo postmoderno.
Per quanto concerne gli aspetti tecnici, "Harem End" non può di certo competere con "Uno scontro accidentale sulla strada per andare a scuola può portare a un bacio?" e "Fraction", nei quali la decostruzione assoluta tipica della poetica dell'autore colpiva addirittura le stesse vignette (!), che talvolta venivano svuotate completamente del loro contenuto, il quale veniva rappresentato in ciò che rimaneva della pagina (!!) e altre folli trovate in cui veniva utilizzata altresì la tecnica della metanarrazione. "Harem End" formalmente è un fumetto classico, impaginato schematicamente e disegnato senza un'eccessiva abbondanza di particolari, un divertissement sepolcrale e squisitamente malato, un modo estremo e autorale di concepire il sacrosanto otaku trolling - un diritto inderogabile dell'umanità tutta, inclusi gli stessi otaku.
Un autore con un tale gusto dell'orrido, che ama collezionare action figures di cadaveri in putrefazione e strumenti di tortura (!), come si approccerebbe alla critica del medium animato e dell'otakuzoku in generale?
"Harem End" ci dà la risposta.
Nell'opera, la furia distruttrice di Kago si concentra sull'animazione contemporanea, nella quale il genere harem è inflazionato; di fatto, "Harem End" è una decostruzione brutale del genere, che ridicolizza con sarcasmo feroce tutti i suoi stereotipi, uno alla volta, sino al prevedibilissimo mattatoio finale. Ovviamente tra i personaggi dell'opera non mancano riferimenti a ragazzine moe provenienti da "Madoka Magica", "Chūnibyō demo koi ga shitai!" e compagnia, che vengono disegnate in modo più realistico, in modo tale da farle apparire ancora più kitsch delle loro controparti originarie.
Una volta terminato l'incipit a base di harem, Kago si scaglia contro l'industria dell'animazione tutta, raffigurando gli otaku produttori e consumatori come dei necrofili che adorano personaggi di "anime" creati dal vivo con cadaveri dissanguati, che vengono impiegati nelle riprese come se fossero marionette - palese metafora che grida alla "morte dell'animazione" e all'inettitudine dei suoi personaggi-simulacri senza fare troppi complimenti. In particolare, ad essere preso a sassate è un animatore di nome Kawamori, palese riferimento allo Shoji Kawamori che nel 1982 con "Macross" diede origine all'animazione "da otaku per altri otaku": attaccando il fenomeno alla sua origine, e facendoci sopra del sarcasmo decisamente malato, Kago crea alcuni spunti di riflessione sul manierismo tipico del medium animato giapponese, constatando che molti dei suoi prodotti puzzano di cadavere, di marcio.
Decisamente esilarante per i cultori dell'artista, molto probabilmente indigesto per la maggiorparte delle persone, "Harem End", sebbene non figuri di certo tra i capolavori dell'ero-guro più underground che ci sia, si rivela una lettura potente, sopratutto per chi ama fare dell'umorismo diretto - privo di moralismi, bigottismi e leziosismi - sulla perversione indotta dall'alienazione dell'individuo postmoderno.
Per quanto concerne gli aspetti tecnici, "Harem End" non può di certo competere con "Uno scontro accidentale sulla strada per andare a scuola può portare a un bacio?" e "Fraction", nei quali la decostruzione assoluta tipica della poetica dell'autore colpiva addirittura le stesse vignette (!), che talvolta venivano svuotate completamente del loro contenuto, il quale veniva rappresentato in ciò che rimaneva della pagina (!!) e altre folli trovate in cui veniva utilizzata altresì la tecnica della metanarrazione. "Harem End" formalmente è un fumetto classico, impaginato schematicamente e disegnato senza un'eccessiva abbondanza di particolari, un divertissement sepolcrale e squisitamente malato, un modo estremo e autorale di concepire il sacrosanto otaku trolling - un diritto inderogabile dell'umanità tutta, inclusi gli stessi otaku.
