Uno dei primi Panel del Napoli Comicon 2025 è stato dedicato a una delle serie TV del momento: The Last of Us. Conosciamo un po' tutti l'impatto che il lavoro di Neil Druckmann ha avuto sul mondo videoludico, con una narrazione cruda, realistica e coraggiosa, sino a un finale inaspettato, proprio per come esso viene veicolato.
 
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La Parte II è qualcosa di completamente diverso, non solo per una mancata linearità delle vicende ma soprattutto perché nel frattempo, è divenuto una delle bandiere della cosiddetta “Dissociazione Ludo-Narrativa”, un effetto collaterale di un gameplay profondamente rinnovato e divertente in un contesto che però dovrebbe trasmettere tutto il contrario.

L'equilibrio di un videogioco di questo tipo, in cui l'evidente critica alla violenza e alla vendetta (alcuni perni delle vicende) si scontra con un gameplay che usa quelle stesse leve per intrattenere il gioco è uno degli elementi più interessanti di questa seconda stagione della serie TV, forse la versione più “pura” del pensiero di Neil Druckmann. Su questo e altri elementi si è svolta una bella chiacchierata in compagnia tra gli altri di Victorlaszlo88 e GabboDSQ, in cui si è discusso non solo dell'impatto della prima serie e dell'inizio della seconda ma anche delle differenze sostanziali tra videogioco e controparte televisiva, scontate, ma non quanto sembrerebbe.
 
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Uno degli elementi che è saltato fuori più volte è stato il talento dello showrunner Craig Mazin, scrittore tra gli altri di alcuni Scary Movie, Una Notte da Leoni ma soprattutto Chernobyl, altra serie HBO dalla quale si può estrapolare un percorso.
Il modo di creare serie da parte della famosa emittente ha subito una forte evoluzione nel corso del tempo, partendo con lavori sperimentali sino a OZ e al grande successo I Soprano. HBO ha creato uno standard, cosa che vale anche con The Last of Us. In questa serie, infatti, è possibile notare diversi elementi in comune con le serie precedenti, proprio perché nel frattempo, i vari feedback ricevuti hanno trasformato le sceneggiature in dei “LEGO”, con i mattoncini che rappresentano i vari stilemi utilizzati finora e intercambiabili in caso di esigenza. Insomma, se si sa che qualcosa funziona, perché cambiarla?

Ma a differenza delle altre, The Last of Us ha già una solida base, un'esistenza su un altro media che vive di regole diverse. Ultimamente i prodotti derivanti dai videogiochi sembrano aver trovato una quadra, con film e serie TV lontani dai disastri di solo pochi anni fa. La difficoltà di trasporre qualcosa che possiede già una forte componente narrativa, intervallata dal gameplay, ha necessitato di sperimentazione e tanti tentavi falliti al fine di trovare il giusto equilibrio.
 
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Se siamo passati da una prima stagione in cui si è seguito in modo quasi pedissequo le vicende della prima stagione, l'inizio di questa seconda lascia intendere che qualche necessario cambiamento sarà maggiormente presente. Questo anche perché nel videogioco le regole sono molto diverse: spesso è lo stesso giocatore a “fare regia” e la tensione generata dal gioco è spesso data dal gameplay. I vari Clicker sparsi per l'ambiente di gioco, seguendo le regole del buon game design, creano ulteriore ritmo, ma questo è gestito solo e soltanto dal giocatore. Una situazione che chiaramente nella serie TV non è possibile. In queste opere (come nel cinema del resto) la storia prosegue a prescindere dallo spettatore, con un ritmo e durata delle vicende decise a tavolino.

Cambia ovviamente anche il punto di vista. Se nel videogioco impersoniamo direttamente Joel, Ally e Abby, con la morte in-game che non genera reali conseguenze, essere semplici spettatori delle vicende cambia drasticamente l'impatto con la narrazione. Piccoli cambiamenti ma che possono generare grosse differenze, un po' come avvenuto anche nel Remake di Dead Space (qui la recensione) in cui il protagonista Isaac Clarke è stato dotato di voce e personalità rispetto l'opera originale. Si passa così dall'essere Isaac a essere con Isaac e allo stesso modo, lo siamo con i protagonisti di The Last of Us. Nella serie TV (almeno nella prima stagione) i Clicker sono molto meno presenti e dunque bisogna creare tensione in modo diverso. Questo trasforma la dimensione horror di gran parte del gioco in una “Tragica Commedia Umana”, espressione proprio utilizzata dallo Showrunner. La tragedia che ha colpito i protagonisti è un po' a tutto tondo ma sono molti anche i momenti di semplici vita vissuta e toni leggeri, anche perché essenzialmente The Last of Us parla di puri semplici umani. E questo ci porta a uno degli elementi più discussi in The Last of Us Parte II, in cui a un certo punto, la protagonista cambia “forzandoci” a provare empatia anche per l'altra faccia della medaglia. Una volta avuto modo di empatizzare con i diversi punti di vista, il giocatore rimane spiazzato, in un limbo di scala di grigi da cui è difficile uscire. Trasporre questo nella serie TV sarà la vara sfida di HBO proprio perché quel gameplay non è solo semplice collante ma anche veicolo emozionale.
 
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Tuttavia questo prodotto apre ad altre possibilità e opportunità, come un maggiore approfondimento del background e di alcuni personaggi un po' sacrificati nei videogiochi. La scena in Indonesia per esempio è uno dei massimi esempi in questo caso, con un radicale cambiamento dei paradigmi in gioco ma necessario per far comprendere allo spettatore la gravità della situazione. In The Last of US videogioco, siamo già catapultati in un mondo già spacciato, con informazioni che potremmo trovare solo esplorando i vari ambienti. Ma queste informazioni possono andar perse ed è qui che interviene egregiamente la serie. Qui il prodotto deve avere una sua completezza narrativa di base e accompagna perfettamente il videogioco, comprendendolo meglio. Ci si trova così in due media complementari in cui uno è necessario per capire meglio l'altro e viceversa, mostrando le vicende da più punti di vista. Una cosa non da poco, visto alcuni cambiamenti possono creare alcuni cortocircuiti alla continuity. Ma qui, almeno per ora, le cose sono andate per il meglio, segno che l'attenzione e il rispetto per entrambi i pubblici è molto alta.

Tuttavia, la serie HBO ha anche generato diverse polemiche sul casting, cosa che ha colpito anche Abby. Ci troviamo come al solito davanti alla bolla dei social, in cui sicuramente si può esprimere una preferenza ma va capito anche il contesto in cui questi prodotti vengono realizzati. La Ally di Bella Ramsey è praticamente perfetta, con un interpretazione in grado di oscurare completamente le differenze fisiche con la protagonista del videogioco. E a quanto abbiamo potuto vedere, anche la Abby di Kaitlyn Dever non scherza affatto. Per quanto fisicamente diverse, visto che la “stazza” della versione videoludica ne segnala anche il percorso, l'interpretazione è magistrale e non bisogna dimenticare che è questo che conta davvero.
 
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Kaitlyn Dever ha sentito davvero molto la tragedia di quei momenti, anche per quella che l'ha colpita personalmente con la perdita della madre a pochi giorni delle riprese del secondo episodio. Tutto il dolore di “Abby” è dunque assolutamente autentico. Questo scontro tra amore e morte è quello che segna e segnerà entrambi i personaggi fino alla sublimazione finale che avverrà nella terza stagione, già confermata.

Chiunque può diventare il cattivo della storia, cosa che Neil Druckmann sa molto bene. Da Israeliano ha infatti assistito a un terribile attentato terroristico, cosa che l'ha segnato profondamente. Il ricordo di quell'odio e senso di vendetta provato dall'autore in quel momento è l'idea che ha generato The Last of Us. Odio che genera altro odio, in una spirale infinita che sembra non interrompersi mai.

Come si evolverà la seconda stagione, in attesa della terza, è presto per dirlo ma ci sono tutti i presupposti per fare quel salto in avanti in più rispetto la stagione di partenza. Questa chiacchierata è servita soprattutto per chi non ha mai giocato The Last of Us, opera originale che vive di tempistiche e ritmi diversi ma in grado di lasciare il segno come poche altre opere. Continueremo a discutere di The Last of Us più avanti, magari con una live dedicata al termine della seconda stagione.