Se non siete ancora riusciti a visitare la splendida mostra dedicata a Utagawa Hiroshige (Tokyo, 1797-1858), uno dei più grandi artisti giapponesi del XIX secolo, avete un’altra chance!

La chiusura dell’esposizione, in corso a Roma presso il Museo Fondazione Roma con oltre 200 opere provenienti dalla Honolulu Academy of Art, era inizialmente programmata per il 7 giugno, ma è stata posticipata al 13 settembre per una maggiore e meritata visibilità.

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E' la prima volta che le opere di Utagawa Hiroshige sono esposte nel nostro paese e difficilmente le rivedremo a breve. Hiroshige non è importante solo per l'arte orientale, ma i suoi lavori hanno influenzato anche artisti occidentali come Van Gogh, Manet, Monet e, in generale, gli impressionisti francesi.

La mostra è suddivisa in cinque sezioni a tematiche: la prima, Il mondo della natura, raggruppa numerosi capolavori i cui soggetti di stampa sono gli elementi della natura (piante e fiori, uccelli, pesci e altri animali, elementi della vita cosmica con cui l’uomo deve mantenersi in armonia); la seconda sezione, Cartoline dalle province, è dedicata a rappresentazioni di alcuni dei luoghi più belli del paese del Sol Levante; La via per Kyoto, terza sezione della mostra, è dedicata alle due grandi vie che collegavano la capitale imperiale di Kyoto a quella amministrativa di Edo (Tokyo). Fa parte di questo percorso l’opera intitolata Cinquantatré stazioni di posta del Tokaido, universalmente considerata uno dei capolavori del maestro. Nella quarta sezione, Nel cuore di Tokyo, è ritratto il vedutismo di Edo, la “capitale orientale”, l’attuale Tokyo, storica residenza dello Shogun, il capo militare e politico del Giappone. L'ultima sezione, Il vedutismo di Hiroshige nella prima fotografia giapponese, testimonia l’influsso che il pittore ebbe sul nuovo mezzo visivo e sull’immaginario dei primi fotografi.

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Ne approfittiamo per segnalare un articolo di Cesare De Seta, professore presso l’Istituto Italiano di Scienze Umane di Firenze-Napoli e storico dell’arte e dell’architettura moderna e contemporanea. Il pezzo tratto dalle pagine di La Repubblica:

Quando ci si accosta alle civiltà artistiche asiatiche, i concetti formali ed estetici dell´Occidente sono scarsamente utili per provare a capire.

Per l´estetica giapponese la comprensione è intuitiva e percettiva. Lo spiega in modo esemplare Donald Richie in "Sull´estetica giapponese", edito ora da Lindau, che ho letto con profitto prima di visitare alla Fondazione Roma la bella mostra Hiroshige, a cura di Gian Carlo Calza (catalogo Skira, fino al 7 giugno).

Le nostre convenzioni formali sono ancora differenti se ci si accosta al tema del paesaggio che in Occidente è codificato dalla prospettiva, introdotta in Giappone per la prima volta con le vedute di Edo, oggi Tokyo, di Utagawa Hiroshige (1797-1858). Ma la veduta a volo d´uccello, così tipica del vedutismo occidentale, si trasforma nelle vedute radenti, come quella di Okawabata, di questo pittore tra i più grandi del suo tempo, non impari a un maestro come Hokusai. Questi lo precede di una generazione, essendo nato nel 1960, e le sue vedute del monte Fuji furono una rivoluzione nel modo di concepire il paesaggio.

La mostra romana presenta una ricca selezione di stampe di Hiroshige, parte della strepitosa collezione di oltre 3000 fogli della Honolulu Academy of Arts raccolti da James Michener, autore del romanzo "Sayonara".

Hiroshige era nato in una famiglia di samurai di basso rango e tredicenne aveva iniziato la sua lenta formazione di artista alla scuola di Toyohiro. La cosa più difficile per un pittore giapponese era quella di trovare un editore che stampasse i suoi disegni: un processo molto lento e minuzioso che viene illustrato in mostra in modo efficace.

Tra il 1830 e il 1831 Hiroshige pubblica luoghi celebri della capitale orientale ancora influenzati da Hokusai.
Liberatosi dal ruolo di funzionario dello shogun, il pittore trova una sua originale strada.

Le informazioni biografiche su di lui sono assai poche, scrive Calza, ma è certo che le "Cinquantatré stazioni di posta del Tokaido 1833-1834" ebbero un grande successo, furono stampate in due volumi e molte vedute tirate in fogli sciolti.
Ora conviene lasciarsi andare a questi fogli policromi che sono scanditi in sezioni tematiche: molto spesso nelle stampe figurano testi poetici che sono consustanziali alla pittura giapponese. La scrittura è essa stessa un modo di dipingere.

Fiori, uccelli, pesci, alberi, le onde del mare, lo scrosciare di una cascata, il ripido pendio di una rupe, l´apparire della luna sono il mondo vibrante della natura che viene rappresentato con rara sensibilità e libertà immaginativa.

Dai dettagli si passa con estrema lentezza a vedute panoramiche dalla focale sempre più ampia e articolata: paesaggi in senso proprio.

Nella serie tarda delle "Cento vedute di luoghi celebri" o in quelle di Edo, assai più tarde, Hiroshige compie miracoli di virtuosismo e dipinge persino il fitto cadere della pioggia. Solo a Kyoto ho riconosciuto lembi di questi paesaggi, del tutto scomparsi a Tokyo, che vive solo nelle vedute di Edo. Compaiono in questo variegato universo dipinto su fogli di carta di riso architetture e ponti, paesaggi marini e montani, ma anche personaggi e folle, dame e cavalieri, pescatori e manovali con tagli e inquadrature che ci fanno capire quanto importante sia stata questa secolare tradizione figurativa e quanto essa abbia influenzato il grande cinema giapponese
”.

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Chiudiamo con una nota di Simona Maggiorelli che introduce un articolo per la rivista Left sul rapporto fra il mondo degli impressionisti francesi, in particolare Van Gogh, e Utagawa Hiroshige:

Chi abbia avuto la fortuna di vederle accanto, da vicino - come ci è capitato al museo Van Gogh di Amsterdam - il paragone fra le due opere risulta piuttosto imbarazzante. Tanto la potenza del colore e l’invenzione d’immagine del Susino in fiore (1887) di Vincent Van Gogh sovrasta l’originale xilografia realizzata dal maestro giapponese Utagawa Hiroshige nel 1857 e su cui l’opera del pittore olandese era esemplata: omaggio di un allievo che non aveva piena consapevolezza del proprio genio a un maestro che, in questo modo, ne restava irrimediabilmente aduggiato. Ma ora, incontrando di nuovo questa xilografia originale de L’albero di susino nella casa del tè a Keimedo nell’ambito della coerente ricostruzione dell’arte di Hiroshige curata da Gian Carlo Calza nelle sale del museo Fondazione Roma in via del Corso (fino al 7 giugno, catalogo Skira), si riesce a vederla in un’altra ottica, ricollocandola nel suo contesto storico originario e apprezzandone i valori di immediatezza, di precisione, in un ventaglio di colori, a un tempo vastissimo e calibrato. Di stampe giapponesi ci eravamo già occupati in questa rubrica a proposito della ristampa del libro Stampe giapponesi”.

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