A Kyoto, in una notte innevata, una ragazza viene inseguita da due uomini armati di spada. Questi tuttavia non faranno in tempo a raggiungerla, perché troveranno prima la morte per mano di due esseri dall’apparenza quasi umana ma del tutto invasati. Proprio quando uno di essi, dopo avere scovato la ragazza, sta per ucciderla, escono allo scoperto altri due uomini armati di katana. Come prevedibile la fine degli invasati è segnata. E quella della ragazza, che a quanto pare ha visto cose che non avrebbe dovuto conoscere?

Queste sono le prime battute di Hakuoki, serie prodotta dallo Studio DEEN (Tenshi no Tamago, Fate/stay night, Higurashi no Naku Koroni Kai, Maria-sama ga Miteru), diretta Osamu Yamasaki (Lemon Angel, Terra e…, Tokyo Revelation) e creata da Tsunekiyo Fujisawa. L’intreccio della trama, almeno per ora, ruota attorno Chizuru, la ragazza di cui sopra, che è alla ricerca del padre, partito dalla loro casa di Edo mesi addietro e dato per disperso. Dopo gli eventi della notte, Chizuru verrà presa in custodia dalla Shinsengumi, il corpo di ronin scelti allo scopo di difendere lo shogun e scovare traditori e ribelli, del quale fanno parte i due uomini che l’hanno salvata. All’interno della sede della Shinsengumi Chizuru farà la conoscenza degli altri membri della squadra e intuirà che dietro la scomparsa del padre si cela ben più di un mistero legato allo stesso gruppo di guerrieri.


L’anime Hakuoki nasce a partire da Hakuoki Shinsengumi Kitan, videogioco d’ambientazione storica indirizzato a un pubblico femminile. Tale postilla, comunque, si palesa già da una prima occhiata alla serie, anche non sapendo nulla del target del videogioco. Difatti è evidente come il cast presenti una ricca quantità di tipi maschili tutti piuttosto affascinanti, appetibili e capaci di scatenare le pulsioni di un ventaglio variegato di fangirl.

I personaggi maschili, però, se esteticamente seguono le più usuali e trite scelte figurative del genere, vantando forme tonicissime e asciutte e volti dai tratti fini e spesso efebici, come caratteristiche comportamentali sono per certi versi atipici. Infatti i membri della Shinsengumi, chi più chi meno, sono privi di quell’aura di atarassia e perfezione che di solito ammanta tale tipologia di personaggi, almeno quelli più “cool”. Invece i ragazzi presentanti nella serie, da questo punto di vista, vengono in un certo senso smitizzati, perché commettono gaffe, sono ben poco seriosi e si lasciano andare a battibecchi ricchi di prese in giro e di reazioni stizzite. Ciò di certo fa bene alla visione, in quanto da una parte allontana l’antipatia che spesso sorge spontanea (in chi non è una fangirl) verso i “fighi” di turno, mentre dall’altra evita che una cappa di noia si posi su chi si trova di fronte agli ennesimi stereotipi. C’è a ogni modo da dire che la personalità dei personaggi, soprattutto in chiave introspettiva e psicologica, per il momento non sembra presentare spunti degni di nota, né approfondimenti di sorta, essendo i protagonisti piuttosto limpidi e subito inquadrabili nelle loro caratterizzazioni, Chizuru compresa.


Come realizzazione tecnica la serie si situa nella media. Il chara non spicca, come già evidenziato, per originalità, anche se i disegni appaiono sempre corretti, costanti e abbastanza eleganti. Buona è la fotografia, che rende bene le variazioni cromatiche atmosferiche; certo non presenta virtuosismi o scelte ricercate ma, complici le luci dosate in modo adeguato, rende più che godibile ogni sequenza. Le animazioni invece sono carenti, nel senso che ce n’è poche e nelle poche scene d’azione finora viste esse non hanno brillato per fluidità nei movimenti. Carenti sono anche i fondali e il dettaglio degli ambienti, i primi un po’ trascurati a favore d’inquadrature d’interni, il secondo molto povero e poco attenzionato. Carenti inoltre sono la regia e lo storyboard, perché molto statici e lineari, in quanto si limitano ad assolvere i loro compiti in maniera scolastica. Ovviamente non si posso pretendere soluzioni autoriali per ogni prodotto e da ogni regista e storyboarder, però delle scelte diverse e meno schematiche non avrebbero fatto male al titolo.

Sul versante sonoro, Kô Ôtani (Gunslinger Girl -Il Teatrino, Haibane Renmei, Tokyo Magnitude 8.0) offre una buona prova delle sue capacità di compositore, benché non ci si trovi davanti a una delle sue migliori prestazioni. In generale i brani assecondano bene i momenti dell’anime nonché i toni a essi propri, anche se non spiccano molto e non riescono a ritagliarsi una parte davvero incisiva nell’economia della serie. Stessa cosa si può dire delle due sigle: sia come canzoni sia come immagini non danno un grande impatto, e le armonie, specialmente quelle dell’opening, non dicono granché all’ascolto.


In definitiva Hakuōki non è una seria che sembra avere molto da dire né al livello di profondità né tanto meno sul piano della pura bellezza visiva. Ciò su cui l’anime può puntare è invece una storia della quale per adesso si è solo in grado d’intuire vagamente i contorni. Con il proseguo degli episodi si potrà quindi vagliare la solidità dell’impianto narrativo, osservandone gli sviluppi, gli intrecci e la riuscita della trama e di tutte le sue parti. In particolare pare che il già molto folto cast di personaggi sia ancora lontano dall’essere al completo, così quanto meno è possibile che sorga la curiosità di conoscere i nuovi volti che devono ancora apparire. Soprattutto però devono ancora venire le fasi salienti di ogni prodotto ambientato nel Giappone feudale, ovvero le faide e i duelli fra i grandi guerrieri dell’epoca, con tutto lo strascico di mitizzazioni e stilemi che, quando messi in scena con perizia, nonostante non siano una novità possiedono sempre un certo fascino.

Perciò le mie prime impressioni, seppure non entusiastiche, non sono comunque negative. Tutto sta nel vedere come si evolverà la sceneggiatura, la quale suppongo non perderà troppo tempo a ingranare, dato che le puntate segnalate sono tredici, e quindi il tempo occorrente a esporre in modo esauriente tutto quello che l’anime ha da raccontare è relativamente poco.