Mimi wo sumaseba 1Shizuku Tsukishima è una ragazzina di prima media che ha una passione: leggere.
Leggerebbe per tutto il giorno, saccheggiando la biblioteca scolastica e quella cittadina dove lavora suo padre.
Da un po’ di tempo a questa parte, tuttavia, c’è qualcosa che la incuriosisce, poiché ogni libro che lei prende in prestito dalla biblioteca della scuola è sempre stato letto, prima di lei, da un tale Amasawa Seiji.
Curiosa di scoprire chi sia questo misterioso nome su cui comincia a fantasticare, la ragazzina si mette alla sua ricerca… e se Amasawa Seiji fosse invece quell’indisponente compagno di scuola che ha incontrato per caso e con cui non fa altro che litigare?

Mimi wo sumaseba (letteralmente, Se tendi le orecchie), meglio noto al pubblico internazionale come Whisper of the Heart, è uno dei film dello Studio Ghibli meno conosciuti. Uscito nel 1995 per la regia del prematuramente scomparso Yoshifumi Kondo, è tratto dall’omonimo shojo manga del 1989 firmato da Aoi Hiiragi e pubblicato anche in Italia qualche anno fa dall’editore Star Comics.
Il lungometraggio è tuttora inedito in lingua italiana, difatti la proiezione avvenuta al Festival del Film di Roma in occasione della rassegna dedicata allo Studio Ghibli mostrava il film in lingua originale con sottotitoli in italiano.
La consueta introduzione di Gualtiero Cannarsi, che si è occupato di presentare tutti i film della rassegna, ha posto un interessante parallelismo tra Yoshifumi Kondo, scomparso nel 1998 a 48 anni a causa di un aneurisma, e Satoshi Kon, regista recentemente venuto a mancare pochi mesi fa, per via di un tumore al pancreas, alla stessa età di Kondo.
Mimi wo sumaseba è uno dei rari film dello Studio Ghibli dove l’elemento sovrannaturale è completamente assente, nonostante qualche flebile suggestione. A farla da padrone è la quotidianità, con tutta una serie di piccole sensazioni, sogni, aspettative e sentimenti tipici di chi si appresta a compiere il passaggio dall’infanzia all’adolescenza. Vivremo la vicenda di Shizuku, alle prese col primo, tormentato, amore e con un percorso di crescita che la porterà a scandagliare nel suo animo per comprendere la strada da intraprendere in futuro, ma non solo. Infatti, oltre a seguire la vicenda principale, ovvero l’approfondirsi del rapporto tra Shizuku e Seiji e la crescita personale di entrambi, anche altri personaggi, come gli amici e la famiglia dei ragazzi, avranno il loro spazio.
Si tratta di un film sognante, molto delicato, in bilico fra una quotidianità urbana e il mondo dei sogni e della fantasia, che esprime magistralmente il passaggio dall’infanzia all’adolescenza e i problemi che ciò comporta nell’animo dei ragazzi. Per meglio esemplificare i suoi messaggi, poi, il lungometraggio fa uso di diverse simbologie ben riuscite, come le pietre preziose, la maestosa bambola del Barone Gatto che è il fulcro e il simbolo della vicenda e il testo della canzone portante.

Mimi wo sumaseba 3

Take me home, country roads” è un brano originariamente composto da John Denver, Bill Danoff e Taffy Nivert nel 1971, che ha riscosso notevole fortuna ed è stato poi reinterpretato in diverse versioni, fra le quali quella di Olivia Newton-John del 1973, che è possibile ascoltare sui titoli di testa del film. Mimi wo sumaseba offre una reinterpretazione del testo, adattato in giapponese, ad opera della piccola Shizuku. Non vi si fa menzione dei monti, dei laghi e delle strade di campagna della Virginia come nel testo originale, ma rimane quel senso di ricerca di sé stessi e del proprio posto nel mondo (sentimenti, questi, che ben esprimono il messaggio del film e il carattere della protagonista) che è presente nella versione in inglese.

E’ proprio questa canzone, eseguita da Yoko Honna (Nagisa in Pretty Cure) che dà voce a Shizuku in uno dei punti cardine del film, a portarci verso quelli che sono, in un certo senso, i punti deboli del lungometraggio, concentrati nel suo discostarsi quasi completamente, nella seconda metà, dal manga a cui fa riferimento. Si perdono così molti interessanti risvolti della trama, quando non addirittura dei personaggi, se ne adattano altri in maniera differente (è il caso, per l’appunto, dell’elemento musicale, assente nel cartaceo) e si dona alla seconda parte del film un tono forzatamente più tragico, laddove la vicenda originale era molto più delicata.
Mimi wo sumaseba 2Il film riesce ugualmente ad emozionare e a presentare diversi ottimi momenti, pur risultando un po’ forzato o poco approfondito in taluni aspetti, ma rimane di parecchi punti inferiore al più completo manga da cui trae spunto. Tuttavia, si tratta di difetti che saranno notati soltanto ai pochi fortunati che avranno letto il manga della maestra Hiiragi prima di gustarsi la visione dell’adattamento animato.
Sul lato tecnico, il film si mantiene sugli alti standard dello Studio Ghibli sia per quanto riguarda la grafica che il sonoro, mentre il doppiaggio, probabilmente a causa della giovane età di molti interpreti, risulta a tratti un po’ sgraziato.
La proiezione organizzata dal Festival del Film di Roma, purtroppo, non si può lodare del tutto. Iniziata con diversi minuti di ritardo sulla tabella di marcia per via di problemi tecnici, ha poi presentato dei sottotitoli scritti in un italiano talvolta un po’ traballante, i quali, peraltro, ogni tanto non corrispondevano a quanto detto nei dialoghi.
Nonostante questi piccoli inconvenienti e le numerose differenze col manga originale che gli hanno tolto qualche punto, mi sono trovato tutto sommato ad apprezzare la visione di Mimi wo sumaseba, che rimane un Ghibli minore ma che, nella sua semplicità e delicatezza, è comunque un buon narratore della giovinezza, dei sentimenti e dei sogni che muovono e turbano i ragazzi durante il raggiungimento dell’età adulta, capace di far emozionare gli spettatori a cui si propone.