Riportiamo dal nuovo blog di Yupa alcuni commenti e considerazioni sulla traduzione italiana di One Piece, edito da Star Comics:
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Non è cosa che mi piace, criticare le traduzioni altrui. Quelle fumettistiche e dal giapponese, intendo. Cioè, quelle del mio campo.
Il rischio sarebbe alto, di far la figura del saccente che agita il ditino ma non s’accorge di non far tanto meglio di chi critica.
Piuttosto che spender tempo a far le pulci agli errori altrui, sicuramente meglio impegnarlo per evitarne di proprî.
Ovviamente questo non significa che non legga lavori altrui, anzi.
E che non ci trovi cose assai discutibili, o che mi sembrano tali; e naturalmente anche molto da cui imparare, invece.
Solo che di norma non mi metto a scriverne qui, sul blog, o altrove.
Poi in certi casi leggo lavori altrui anche per lavoro, oltre che per piacere.
Ad esempio pare che dovrò occuparmi della traduzione italiana di ONE PIECE, a partire dal volume 62. E quindi mi sto leggendo tutti i (non pochi…) volumi precedenti.
La premessa di cui sopra serve a chiarire una cosa, cioè che: quanto segue non vuole essere una critica (o un elogio) a come finora è stato tradotto ONE PIECE, non vuole essere una caccia all’errore, magari con intenti di berlina.
Come spero sarà evidente, si tratta d’una riflessione che prende come spunto alcune cose che ho trovato in ONE PIECE, ma che riguarda più in generale un certo modo di trattare certi termini giapponesi che ricorrono nei fumetti. O meglio, un certo modo di non trattarli.
Modo che fatico a capire.
La cosa, in realtà, è molto semplice.
Spesso certi termini nelle edizioni italiane non vengono tradotti, quando invece – secondo me – si dovrebbe; vengono semplicemente trascritti.
Di solito si tratta di nomi che stanno a metà strada tra il nome proprio e il nome comune.
Passo direttamente a tre esempî presi appunto da ONE PIECE, così si capirà sùbito cosa intendo.
- Tra i primi avversarî affrontati dai protagonisti c’è una ciurma di pirati che si chiama “Kuroneko”. Si tratta d’una ciurma a tema gattesco e felino in genere ^ω^ Quindi si combatte a suon di artigli graffianti, passi felpati e via dicendo. Il punto è che il nome della ciurma, in italiano, è lasciato “Kuroneko”, quando invece si sarebbe dovuto tradurlo, visto che significa “Gatto Nero”…
- Tra le illustrazioni che aprono i singoli capitoli e che, in sequenza, formano storielle indipendenti, viene ritratta una tribù di selvaggi (o di diversamente civilizzati, se volete). E anche qui il nome non è stato tradotto ma solo trascritto: “Kumate”. Che significa “Zampa d’orso”. E difatti l’emblema della tribù è una zampa ursina stilizzata, dipinta anche sul dorso stesso delle mani dei diversamente civilizzati (o selvaggi, se volete).
- Questo è un dettaglio, ma segue la logica di cui sopra. Il ristorante del mare ha una testa staccabile a forma di pesce, utilizzata nelle emergenze per attaccare aggressori particolarmente tenaci. In italiano viene chiamata “Sabagashira”, ma anche qui c’è un significato che è andato perso: “sabagashira” significa “testa di sgombro”.
Ora, non so come mai questa tendenza a trascrivere invece di tradurre, e senza nemmeno apporre una nota a piè di vignetta che spieghi i significati. Non so se sia una forma di pigrizia, o una scelta iperprotezionistica verso il testo giapponese (magari temendo il risentimento dei lettori più puristi).
Sia quel che sia, il risultato è comunque un impoverimento, specie quando il fumetto è umoristico, e quindi il lettore dovrebbe dilettarsi coi giochi di parole e disegni, coi rimandi arguti compiuti dall’autore. Giochi e rimandi che in tal modo però vanno persi.
Si può capire che in alcuni casi si tratti quasi di nomi proprî, che quindi non vanno tradotti. Nello stesso modo in cui non si traducono i nomi giapponesi ordinarî, quali Misao o Hotaru.
Ma quando il nome è invenzione dell’autore, e da questi utilizzato per ottenere un determinato effetto, per rompere l’ordinarietà dei nomi di persone e cose, allora la traduzione ci va.
Questo discorso, come ho sottolineato, va ben al di là dei singoli casi riportati per ONE PIECE.
Si tratta di una tendenza che ho riscontrato anche in altri fumetti.
I casi più delicati sono quelli con un’ambientazione storica, o che comunque recuperano termini, idee, oggetti, figure della tradizione nipponica.
Nomi di nemici, di gruppi di nemici, di tecniche magiche o di combattimento, di forme d’energia, di luoghi immaginarî, di entità supere o infere, e così via: spesso sono ripescaggi di termini tradizionali, o reinvenzioni o combinazioni degli stessi. E ovviamente sono difficili da trattare, perché intricati, pongono scelte ardue, esigono un certo lavoro. Un lavoro anche molto faticoso, quando l’autore si diverte a fondere giapponese, inglese, e quant’altro, e questo non succede di rado.
Ma la fatica va fatta.
E finché c’è qualcosa che si può tradurre, lo si traduce.
Anche perché sono ancora pochi i termini nipponici entrati effettivamente nell’uso comune italiano, e dall’italiano comune comprensibili: shōgun, kimono, karate, e non molto di più…
Scegliere invece la via facile della semplice trascrizione produce effetti poco felici:
- Come già detto, impoverisce il testo, ne assottiglia la poliedricità semantica, lo appiattisce.
- Introduce un elemento di esotismo dove in origine d’esotico non c’era nulla: il termine che per il lettore giapponese ha un significato immediato e trasparente, per quello italiano diventa un insieme di suoni indecifrabili.
- Per il lettore italiano la fruizione diventa più macchinosa, ostica e lenta.
- E infine per il lettore meno addentro al fumetto giapponese l’accesso a quest’ultimo diventa più difficile, la distanza tra i due viene aumentata proprio lungo il canale, quello della traduzione e dell’adattamento linguistico, che invece dovrebbe far da ponte primario, se non unico.
Non certo ciò di cui s’ha bisogno, in tempi in cui si lamenta (e giustamente) che il fumetto – non solo quello giapponese – meriterebbe un pubblico ben più ampio delle nicchie in cui ancora riesce a sopravvivere…
Fonti:
Blog di Yupa

Il rischio sarebbe alto, di far la figura del saccente che agita il ditino ma non s’accorge di non far tanto meglio di chi critica.
Piuttosto che spender tempo a far le pulci agli errori altrui, sicuramente meglio impegnarlo per evitarne di proprî.
Ovviamente questo non significa che non legga lavori altrui, anzi.
E che non ci trovi cose assai discutibili, o che mi sembrano tali; e naturalmente anche molto da cui imparare, invece.
Solo che di norma non mi metto a scriverne qui, sul blog, o altrove.
Poi in certi casi leggo lavori altrui anche per lavoro, oltre che per piacere.
Ad esempio pare che dovrò occuparmi della traduzione italiana di ONE PIECE, a partire dal volume 62. E quindi mi sto leggendo tutti i (non pochi…) volumi precedenti.
La premessa di cui sopra serve a chiarire una cosa, cioè che: quanto segue non vuole essere una critica (o un elogio) a come finora è stato tradotto ONE PIECE, non vuole essere una caccia all’errore, magari con intenti di berlina.
Come spero sarà evidente, si tratta d’una riflessione che prende come spunto alcune cose che ho trovato in ONE PIECE, ma che riguarda più in generale un certo modo di trattare certi termini giapponesi che ricorrono nei fumetti. O meglio, un certo modo di non trattarli.
Modo che fatico a capire.
La cosa, in realtà, è molto semplice.
Spesso certi termini nelle edizioni italiane non vengono tradotti, quando invece – secondo me – si dovrebbe; vengono semplicemente trascritti.
Di solito si tratta di nomi che stanno a metà strada tra il nome proprio e il nome comune.
Passo direttamente a tre esempî presi appunto da ONE PIECE, così si capirà sùbito cosa intendo.
- Tra i primi avversarî affrontati dai protagonisti c’è una ciurma di pirati che si chiama “Kuroneko”. Si tratta d’una ciurma a tema gattesco e felino in genere ^ω^ Quindi si combatte a suon di artigli graffianti, passi felpati e via dicendo. Il punto è che il nome della ciurma, in italiano, è lasciato “Kuroneko”, quando invece si sarebbe dovuto tradurlo, visto che significa “Gatto Nero”…
- Tra le illustrazioni che aprono i singoli capitoli e che, in sequenza, formano storielle indipendenti, viene ritratta una tribù di selvaggi (o di diversamente civilizzati, se volete). E anche qui il nome non è stato tradotto ma solo trascritto: “Kumate”. Che significa “Zampa d’orso”. E difatti l’emblema della tribù è una zampa ursina stilizzata, dipinta anche sul dorso stesso delle mani dei diversamente civilizzati (o selvaggi, se volete).

Ora, non so come mai questa tendenza a trascrivere invece di tradurre, e senza nemmeno apporre una nota a piè di vignetta che spieghi i significati. Non so se sia una forma di pigrizia, o una scelta iperprotezionistica verso il testo giapponese (magari temendo il risentimento dei lettori più puristi).
Sia quel che sia, il risultato è comunque un impoverimento, specie quando il fumetto è umoristico, e quindi il lettore dovrebbe dilettarsi coi giochi di parole e disegni, coi rimandi arguti compiuti dall’autore. Giochi e rimandi che in tal modo però vanno persi.
Si può capire che in alcuni casi si tratti quasi di nomi proprî, che quindi non vanno tradotti. Nello stesso modo in cui non si traducono i nomi giapponesi ordinarî, quali Misao o Hotaru.
Ma quando il nome è invenzione dell’autore, e da questi utilizzato per ottenere un determinato effetto, per rompere l’ordinarietà dei nomi di persone e cose, allora la traduzione ci va.
Questo discorso, come ho sottolineato, va ben al di là dei singoli casi riportati per ONE PIECE.
Si tratta di una tendenza che ho riscontrato anche in altri fumetti.
I casi più delicati sono quelli con un’ambientazione storica, o che comunque recuperano termini, idee, oggetti, figure della tradizione nipponica.

Ma la fatica va fatta.
E finché c’è qualcosa che si può tradurre, lo si traduce.
Anche perché sono ancora pochi i termini nipponici entrati effettivamente nell’uso comune italiano, e dall’italiano comune comprensibili: shōgun, kimono, karate, e non molto di più…
Scegliere invece la via facile della semplice trascrizione produce effetti poco felici:
- Come già detto, impoverisce il testo, ne assottiglia la poliedricità semantica, lo appiattisce.
- Introduce un elemento di esotismo dove in origine d’esotico non c’era nulla: il termine che per il lettore giapponese ha un significato immediato e trasparente, per quello italiano diventa un insieme di suoni indecifrabili.
- Per il lettore italiano la fruizione diventa più macchinosa, ostica e lenta.
- E infine per il lettore meno addentro al fumetto giapponese l’accesso a quest’ultimo diventa più difficile, la distanza tra i due viene aumentata proprio lungo il canale, quello della traduzione e dell’adattamento linguistico, che invece dovrebbe far da ponte primario, se non unico.
Non certo ciò di cui s’ha bisogno, in tempi in cui si lamenta (e giustamente) che il fumetto – non solo quello giapponese – meriterebbe un pubblico ben più ampio delle nicchie in cui ancora riesce a sopravvivere…
Fonti:
Blog di Yupa
Peggio di come è adesso non potrà essere, e si che il 51 ancora me lo ricordo bene (chi se lo scorda?).
anche nella new edition tra l'altro,che dovrebbe avere i testi revisionatiXD
Sono assolutamente d'accordo, sia sui manga che sui fansub.
Che non è affatto facile. Bisogna capire quando sia opportuno spiegare il menù e quando no. Nessuno vuole abolire la parola "Udon" per sostituirla con "Zuppa di Spaghetti di Frumento in Brodo Caldo"; però in determinati contesti la traduzione ci stà!
Questo mi ricorda la versione Panini dell'antologia dei Peanuts dove termini come "La capra", "santa miseria", "testone" hanno Sì subito una traduzione letteraria originale:
capra : goat
santa miseria : good grief
testone : blockhead
pero' rendono molto meno dal punto di vista semantico rispetto alla prima traduzione di baldini-castoldi:
verme : goat
misericordia : good grief
Deficiente . blockhead
per non parlare della traduzione B&C "auguri cocomerizi" con gli "auguri anguriali" della panini.
C'è da dire inoltre che la traduzione dal giapponese implica una difficoltà in piu' data dalle parole onomatopeiche che non per forza simulano un suono o un rumore, ma anche sensazioni visive o stati d'animo:
es. Kirakira = qualcosa che luccica
PunPun = qualcuno arrabbiato
Rispetto quanto detto da Yupa, ma le onomatopee e i nomi dei personaggi li lascerei originali.
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EDit
@Jay
Non basterebbero per un manga alla One Piece
Io sono per l'italiano sempre e comunque, ma non si deve esagerare. Bisogna trovare il giusto equilibrio, e non penso che si faccia torto a nessuno se, ad esempio, si lasciano i nomi delle "tecniche" invariati e si scrive, una, due volte, a piè di pagina, che ha detto il personaggio di turno... Anche perché è un po' ipocrita voler eliminare questo esotismo quando per noi è palesemente esotico.
Come si può eliminare il fattore esotico in storie che in buona parte riprendono gli stilemi di vita dei giapponesi? parlano degli spiriti, delle usanze e dei cibi giapponesi?
Preferirei evitare di tornare a traduzioni in stile doppiaggio delle prime serie tv City Hunter.
In tal caso, per rispetto delle proprie idee, si dovrebbero tradurre anche le parole inglesi che gli stessi autori inseriscono nei loro manga come "esotismi"... come si traducono? in italiano così si perde anche quel poco di "diverso" che l'autore stesso ha inserito? si lasciano in inglese così per noi parranno solo una spocchiosa traduzione grossolana quando, leggendo "testa di sgombro" al posto di "sabagashira", leggeremo anche "gear second" invece di "seconda marcia"? Il problema è proprio questo...
come si dice: "la virtù sta nel mezzo".
Cosa che peraltro nel fansub si fa da una vita.
Ano esempi riportati wa pittari desu... È un po' come se lasciassi una frase del genere... I pochi eletti che leggeranno conoscendo almeno un minimo di giapponese potranno capire, ma un lettore medio perserà che mi sia fumato qualche erba pesante xD
Bell'argomento di discussione comunque, visto i pareri discordanti del settore.
OP è un manga come un altro: per eventuali tecniche o nomi bastano tranquillamente gli asterischi (senza contare che la J-Pop ne fa ampio uso tuttora con Moonlight Act di Fujita, giusto per fare un esempio).
Un buon compromesso sarebbe la nota in calce con asterisco.
Comunque se gli tocca davvero leggere tutti e 62 i volumi di One Piece per lavoro, immagino che non avrà molto tempo a disposizione....auguri.
Nel senso, stiamo parlando comunque di nomi propri e soprattutto di manga e non credo esistano nomi propri di serie A e nomi propri di serie B. Per cui a differenza di un'opera visiva, non è così marcato il problema della comprensione diretta del testo: se si vuole esternare il concetto, si può sempre usare una nota a fondo vignetta.
Diverso è il concetto dell'opera visiva, che ha un'impatto più diretto; e lo stesso vale coi sottotitoli, usare le note appesantisce la visione di qualcosa che già è pesante di suo (audio più percezione visiva dei sottotitoli).
Mettiamola così: secondo il traduttore, se la ciurma si chiama Kuroneko devo tradurre, ma se è il personaggio che si chiama di cognome (oppure lo usa come nickname) Kuroneko (ogni riferimento è puramente casuale xD)? Non ho ben chiaro cosa farebbe in questo caso.
Cioè, nel caso del nome della ciurma, posso essere d'accordo dato che si tratta comunque di un'immagine evocativa, ma nell'altro snì.
E aggiungo la traduzione dei suoni onomatopici, che si sta perdendo a favore di aterischi con note invisibili
Spesso c'è la tendenza a lasciare il nome giapponese perché "fa figo", quando poi noi ne perdiamo il significato (poiché latitano note a pié pagina).
Voglio aggiungere che oggigiorno questo tipo di lavoro di non-adattamento, lo fa quasi esclusivamente la star comics...
Grazie a questo traduttore che ha scritto questa nota, gettando quasi le basi delle regole di traduzione!
Tradurre, tradurre il più possibile, minimizzare note, asterischi e compagnia bella. E scrivere in un buon italiano.
piccola nota inutile: ha un ottimo utilizzo degli accenti
Ho notato che in molti volumi Jpop, e non solo, hanno iniziato a comparire termini d'uso comune per chi è avvezzo dell'ambiente manga, come bento e konbini (o kombini, all'italiana), solo per fare un esempio.
Lo stesso adattamento anime di Welcome to NHK di Yamato (che personalmente mi piace, uno dei pochi di quell'azienda a dire il vero) è infarcito di termini che riguardano la cultura otaku giapponese e che sarebbero altrimenti difficili da rendere in italiano.
Diciamo che il tutto va valutato in base all'opera di cui si parla. Se è settoriale o comunque più adatta a un pubblico di intenditori, una traduzione troppo pedante ne snaturerebbe la struttura.
Ovvio che questo non è assolutamente il caso di One Piece, che è un manga mainstream.
Proprio in questi giorni sto revisionando la traduzione di Oreimo per i blu-ray sistemando i giapponesismi tipici delle nostre prime release, ma mi rendo conto che se fossi troppo rigido sulla traduzione, rischierei di rovinare la resa dell'opera. Questo è il tipico caso in cui ritengo sia meglio un adattamento un pochino più "otaku" (ma solo dove non è evitabile) e un bel file di note esterne per i neofiti, permettendo a chi ha più esperienza di godersi una visione veloce e leggera senza ingombranti note a schermo di dubbia utilità, ma allo stesso modo tutelando in modo esaustivo chi è nell'ambiente da poco.
sono d'accordo anche io, o meglio, a me piace che i nomi siano lasciati all'originale in qaunto in italiano mi fa strano sentire che uno si chiama Gatto nero, mentre se lasciato Kuroneko mi sa di più figo, non so XD
stessa cosa per Kumate, "zampa d'orso" mi sembra ridicolo.
Ciò non toglie che potrebbero mettere degli asterischi per indicarne la traduzione o degli approfondimenti!
un pò d'inchiostro in più non li farebbe certo fallire.
Certo, trovo sbagliato lasciare termini giapponesi "buttati lì" alla "chi mi capisce è bravo e chi non capisce peggio per lui", ma è altrettanto sbagliata la "traduzione a tutti i costi", per una serie di motivi:
1) Se parole come quelle da lui citate, shogun e kimono, fossero sempre strate tradotte con termini come generale e vestito adesso non conosceremmo nemmeno quelle (e lui non sarebbe qui a darle tanto per scontate)
2) Chi legge manga di solito ha in partenza (e se non ce l'ha è abbastanza spontaneo che gli venga durante) una certa passione o quanto meno interesse per il Giappone in generale e di conseguenza anche per il giapponese (anche se magari non fino al punto di mettersi a studiarlo di sana pianta, ma cmq credo che una certa curiosità sia inevitabile) per cui non disdegna un minimo confronto con la lingua, se adeguatamente supportato.
3) Diretta conseguenza del punto 2 è che, secondo mio modestissimo parere, ormai il lettore medio di manga capisce da solo il significato di termini come "Kuroneko", così come capisce kimono.
4) Mi soffermo ancora su "Kuroneko" e mi permetto di dire che lo trovo un esempio davvero poco azzeccato: traducendo questo termine si perderebbe, infatti, il diretto (e probabilmente voluto) riferimento al nome del capitano della ciurma, il Capitano Kuro, per l'appunto. A meno che non si vada contro il "sacrosanto" principio sopra assodato per cui i nomi propri non si traducono e non si decida, in questo caso, di tradurre pure il nome del capitano in "Capitano Nero" (uuuuhhhh che paura!!!
Insomma: VIVA LE SANTE NOTE A PIE' PAGINA!!! (o a fine volume, se volete)
Certo, non dico che il loro lavoro sia sempre impeccabile - vedasi appunto One Piece 51, e gli ultimi numeri di Steel Ball Run che sono un macello - ma preferisco il loro approccio a quello della J-Pop.
Comunque preferisco che ci si concedano delle libertà poetiche e si renda l'atmosfera e il significato originale piuttosto che fare delle traduzioni letterali lasciando in mezzo i termini intraducibili.
Occhio che lo staff della Star Comics dei tempi dei primi numeri di One Piece (attualmente sparso fra GP Publishing, Ronin Manga e Renbooks) non è lo stesso che c'è adesso, è cambiato dopo che i Kappa Boys hanno lasciato la Star, ed ancora cambia, come dimostrato proprio da questo articolo dove Yupa dice che si occuperà di One Piece solo a partire dal numero 62. E' anche per questo motivo che son successi episodi come quello di One Piece 51, che era pieno di errori, ma non è certo l'unico caso. E' stato quello più eclatante perchè One Piece è molto più famoso, ma nello stesso mese d'uscita del 51 di One Piece, anche nel numero 17 di Otoko Juku c'erano errori e cose senza senso, ma nessuno ne ha fatto un caso di stato nè il volume è stato ristampato in versione corretta. Il mese in questione era il primo in cui il nuovo staff era operativo, quindi era logico aspettarsi una situazione del genere, son sicuro che leggendo altri manga usciti quel mese sicuramente troverò situazioni simili.
XD
La nota ha una funzione essenzialmente didattica, molto gradita nei manga storici, nei quali è assolutamente necessario rimanere più che fedeli ai nomi originali, ma in manga come One Piece, voglio dire, perchè mi devo star a leggere ennemila note che mi spiegano che Kuroneko significa Gatto nero... ma chi se ne frega! Voglio leggere un fumetto non un trattato.
Stesso discorso per proverbi e modi di dire giapponesi, non si può tradurre alla lettera, tipo "Sopra un masso tre anni" e farci la nota (scritta piccolissima e che per leggere devi acquisire sensi da ragno) con scritto "chi la dura la vince"... Quindi per me la soluzione è:
1) ridurre le note, solo se necessarie
2) ripristinare una paginetta finale ove si spiegano le varie scelte di adattamento e il perchè (così ad uso e consumo di chi è interessato).
Il discorso cambia se ci troviamo di fronte a nomi propri di persona(come Kuro e la banda Kuroneko, per rimanere in tema), a onorifici o appellativi come riportato sopra da FairyQueen: shogun deve rimanere shogun, il suffisso -chan, -kun, -sama etc. etc. devono rimanere tali. Vi ricordate l'orrendo "Kennino" usato in Bleach dalla Planet Manga?
Si dovrebbe adottare un metro di giudizio per ogni singola parola e contesto e non una repentina e incondizionata traduzione di tutto. Questo perlomeno secondo me.
1) "Shogun" e "Kimono" sono ormai entrati nel lessico comune, e vengono usati per fare riferimento alla provenienza e al tipo di oggetto/persona.
2) Questo non dovrebbe essere un requisito, un'opera come un fumetto dev'essere fruibile da chiunque
3) Come sopra. Kuroneko non è un termine particolare, non è un gioco di parole ed è tranquillamente traducibile, quindi non c'è alcun motivo per non tradurlo. Se lo lasci non tradotto dai una falsa percezione di quello che è.
4) Sì, si sarebbe potuto tradurre con Capitano Nero. Secondo te suona male? Perché, quando un Giapponese vede la parola "Kuro" non legge "Nero"? Cos'ha la parola Kuro in più? Le cose suonano più "fighe" in Giapponese (e in Inglese, e in Francese), quindi si lasciano così, dando appunto una falsa percezione.
@ Kotaro: ci sono anche esempi più recenti di super-traduzione, comunque come ho detto prima non dico che la Star sia sempre infallibile. Generalmente le sue traduzioni mi risultano più piacevoli.
@Usagi85: un macello di traduzione, e hanno anche sbagliato a trascrivere alcune cifre e cose così. Hanno dovuto ristamparlo e cambiare le copie fallate.
Io ho solo preso per buono quello che l'autore stesso ha affermato cioè che è assolutamente giusto non tradurre i nomi propri.
Se prendiamo per buono questo principio (e mi sta bene), il Capitano Kuro deve rimanere tale, indipendetemente dal significato del suo nome, mentre il nome della sua ciurma (sempre a detta dell'autore) dovrebbe diventare Gatto Nero.
Spero sarai daccordo con me che, in un'eventualità del genere (Capitano Kuro a capo dei Pirati Gatto Nero), si perderebbe qualcosa che non andrebbe perso, e sarebbe altrettanto comprensibile (e forse anche più godibile), con una semplice nota a piè pagina tipo " * Kuroneko = gatto nero".
Se invece decidiamo di infischiarcene del principio sopra enunciato e traduciamo con Capitano Nero, mi domando perchè non fare altre eccezioni a beneficio della comprensione (ad esempio riadattando il povero Usopp in qualcosa tipo Bugiardo, visto che uso significa bugia); insomma si entrerebbe in un giro di schiaffi da cui credo sia meglio tenersi fuori. Tutto qua.
Senza contare che, come ha fatto notare qualcuno, lasciare (e quindi conoscere) i termini originali spesso aiuta nelle ricerche in rete.
PS. Il punto 2 non era un requisito ma semplicemente, a mio modo di vedere, un fattore spontaneo. Chiunque sia cresciuto a "pane e cartoni giapponesi" (prima della grande censura anni 90) si è sicuramente chiesto, almeno una volta nella vita, "Chissà che cavolo c'è scritto in tutti quegli sgorbi (trad. kanji)??!!" e cose simili.
Credo che se non hai questo tipo di spontanea curiosità, difficilmente arrivi ad interessarti dell'argomento fino al punto di leggere regolarmente manga.
"Perché, quando un Giapponese vede la parola "Kuro" non legge "Nero"? Cos'ha la parola Kuro in più?"
Se fosse stata una parola a sè va bene ma in One Piece è stata usata come nome proprio, perciò è istintivo lasciarla così com'è.
@NorthenSnow: (Kuroneko non è un termine particolare. [cit.])
Dipende... in One Piece non saprei perché (grazie a Dio) non lo seguo.
Nell'altro caso che ho citato è un nickname.
Sarebbe come se ti chiamassi "Neve del nord" perché il tuo nick significa quello. No, l'hai scelto tu, hai scelto tu di metterlo in inglese perché ti piace così e se lo traducessi farei un errore.
Stando a questo ragionamento, "Kyubee" di Madoka Magica andrebbe tradotto "Cuba", perché è il diminutivo di "inCUBAtor" (che in giapponese si scrive "inKYUBEEtaa", appunto).
E c'è anche qualcuno che ha osato sostenerlo, anche se è oggettivamente orribile.
D'accordissimo per i colpi e le mosse che devono rimanere fedeli all'originale. Ma "Kennino" va più che bene! Se rimaneva Ken-chan allora doveva rimanere Onii-chan e non fratellino, si sarebbe creato un vortice a catena che avrebbe reso illegibile Bleach (non oso pensare ai discorsi di Orihime "Buongiornooo Kurosaki-kun, Tatsuki-chan, Sado-kun, Ishida-kun, Kuchiki-san")...
Lo dico perchè in Maison Ikkoku si era fatta tale scelta e francamente non fu una scelta felice...
Oddio... è il fratello minore che si rivolge al maggiore lo so! Ma dato che leggi manga (altrimenti non staresti a puntualizzare), oniichan a volte è reso "fratellino" (Yuzu chiama "fratellino" a volte Ichigo)... sbagliato? Giusto? E 'sti grandissimi...
Invece secondo me si doveva adottare proprio questa politica per il manga. Kennino è fuorviante, detto così sembra un diminutivo o un vezzeggiativo quando non dovrebbe esserlo, Ken-chan invece è il termine giapponese usato per esprimersi verso qualcuno che si conosce bene, un amico, una persona con un rapporto confidenziale, stretto. Non è facile(e certe volte impossibile se non stonante per l'italiano) tradurre i suffissi. Per rimanere in tema Bleach, traducendo il suffisso di Onii-sama usato da Rukia nei confronti del fratello Byakuya sarebbe andato a finire con un "Signor fratello" o una cosa del genere. Non si può sentire, molto meglio "Fratello" e basta ma non rispecchierebbe puramente il significato del termine(anche Shun di Saint Seiya usa sempre "Fratello" nei confronti di Ikki ma il suo è più intimo e confidenziale, lontano anni luce dal rapporto tra Rukia e il fratello, molto più freddo e distaccato, da qui, per l'appunto "Onii-sama").
la questione è diversa, ovvero che oniichan nella cultura otaku giapponese del moe è diventato un modo "grazioso" di appellarsi ai maschietti, recitando proprio la parte della sorella minore.
Faccio un altro esempio. Mettiamo caso che in un manga ci sia un personaggio che si chiama KYURO (キュロ) diminutivo di KYUROTTO, che corrisponde al francese CULOTTE.
Per mantenere il richiamo dell'autore, lo tradurreste come CULO o ER MUTANDA voi?
Quello che sto sostenendo è che la casistica nelle opere giapponesi è talmente ampia, che sarebbe un errore e una forzatura il voler imporre per forza un criterio oggettivo universale che valga per tutto. Bisogna valutare la situazione, l'opera in generale, il target e tutte le implicazioni del caso.
Non dico che "Kennino" sia la scelta ottimale, ma ragioniamo sulla nostra lingua italiana. Quando conosciamo da tanto tempo qualcuno, in Italia, abbiamo l'abitudine di storpiare il nome (o di dargli un soprannome), quindi Francesco diventa France' o Cesco o Chicco o Recchiapilu (nel caso abbia peli all'orecchio)... Se io volessi familiarizzare un nome come Ken in italiano come lo renderei? Kenny, Kennuccio, Kennino o Bellosguardo (per via del suo essere orbo). Se lo guardi da questa ottica Kennino è solo un modo che usa una che lo conosce per chiamarlo.
@ Messer Azzone
Non lo dire a me allora, vallo a dire a Orihime e Yuzu... Si ma tu non segui il discorso, l'adattamento è una cosa seria e il non tradurre alla lettera i nomi fa parte del buon adattamento. Per fare un buon adattamento il primo fondamentale requisito non è conoscere alla perfezione la lingua che si va a tradurre (quello è il secondo), ma è conoscere la propria lingua con tutte le sue sfumature. Kyuro si può tradurre anche come Brac, che è il diminutivo di brache...
"L'esotico" nelle traduzioni mi ha sempre affascinato ed è complice importante del mio avvicinamento ai manga!
E lui che sarà il prossimo traduttore di OP dovrebbe stare attento a quello che fà, stravolgere (ma forse esagero) le traduzioni a questo punto sarebbe un errore anche grave a mio parere.
Esistono le famose note con l'asterisco per spiegare questo e quello!
Posso anche essere d'accordo con il tuo ragionamento per quanto riguarda "Kennino" ma ci sono altri casi, svariati, dove andando a tradurre in italiano verrebbero fuori scelte simili ma che non rispecchierebbero il vero significato: se invece di Ken-chan fosse stato usato Ken-kun, che in genere si usa perlopiù per rapportarsi con compagni e/o amici ma non troppo intimi, come l'avresti tradotto? Un'altra volta Kennino? Kennuccio? Alla fin fine i termini italiani sono quelli, si sarebbe andato a usare la stessa scelta ma fraintendendo il senso, e non è da poco. Altro esempio, se fosse stato Ken-san, usato per dare del "lei" ad una persona sarebbe risultato "Signor Ken" o semplicemente "Ken" ma sarebbe risultato simile al "Fratello" o "Signor Fratello" di Rukia dell'esempio prima, e sono due casi totalmente diversi. Un esempio di come certi suffissi vengano tradotti in maniera completamente sbagliata lo troviamo nell'adattamento italiano del primo film di Bleach, Memories of nobody, dove Rukia si rivolge al fratello chiamandolo addirittura "Fratellino"! Sbagliatissimo, "fratellino" fà intendere un(naturale) rapporto intimo e confidenziale col fratello, cosa che tra i due non è mai esistito.
Sono d'accordo che il primo requisito dell'adattatore è conoscere la propria lingua, ma se il traduttore non lo supporta inserendo una nota esaustiva per ogni gioco di parola o particolarità, il suo lavoro va a farsi friggere se non conosce un pochino anche le peculiarità della lingua che sta adattando.
L'ideale è che il traduttore sia anche quello che adatta (occhio, un ottimo traduttore non si limita a tradurre letteralmente, ma sistema anche la traduzione contestualizzandola), ma se non è così sia l'esperienza che la conoscenza della cultura/lingua di provenienza sono un plus per l'adattatore finale.
p.s. "Brac" fa abbastanza cagare, lasciatelo dire. xD
In Italia mica abbiamo tutte queste differenze di espressione.
Quando adatti devi semplicemente pensare: "sapendo che in giapponese è così, nella stessa situazione o in una condizione simile, cosa direi qui in Italia?". Il giochino è semplicemente questo.
Per quanto riguarda chi si avvicina per la prima volta ad un manga, soprattutto nel caso di one piece, penso sappia gia quello che vuole e non vadi completamente a caso su un qualcosa di sconosciuto, quindi se si trova termini giapponesi a lui nuovi è giusto anche che li impari e non si penalizzi chi gia legge manga da tanti anni e vuole adattamenti il più fedele possibile all'originale.
Fedele non significa "che mantiene i termini originali", ma "che mantiene la resa sul lettore e l'intenzione originale dell'autore".
Questo è il vostro errore di fondo.
Sotto questo punto di vista concordo pienamente con il nuovo traduttore di One Piece.
Su quello che ho citato io invece, sono assolutamente convinto che sarebbe sbagliato tradurlo.
Vedo che qualcuno si sta impegnando a metterci i pollicioni rossi dove mi dico contrario agli onorifici... sarà mica Skorpion, per caso? xD
E c'è anche qualcuno che ha osato sostenerlo, anche se è oggettivamente orribile.
Tranquillo, se ha ceduto addirittura Shito davanti all'evidenza (ovvero che il nome ufficiale è Kyubey), vuol dire che chiunque può tornare sui propri passi, se non è ottuso.
E le note a schermo, MAI, mica ci sono nei film...
E' diverso, gli attacchi che hanno nomi inglesi sono già termini stranieri per i giapponesi, quindi sono da lasciare in inglese, che è una lingua straniera anche per gli italiani. Quando il nome è in giapponese, invece, secondo me si può tradurre.
Non fa abbastanza cagare... fa molto cagare xD
Uscendo dai manga, pensiamo ai titoli dei film: per esempio, "Inception" in italiano si traduce "Innesto" o "Inizio", che come titolo non è un granchè, mentre invece lasciandolo in originale inglese ha un effetto completamente diverso.
Bisognerebbe allora tradurre anche Bankai con Rilascio Totale? E i nome dei vari bankai? Ma anche no. In giapponese con un asterisco vanne benissimo.
Quello che mi preoccupa è che vengono ribaditi concetti che dovrebbero essere ovvi, soprattutto nell'ambiente dei traduttori. Voglio dire, mi sembra naturalmente più logico tradurre "Kuroneko" che non tradurlo, non ci sto a pensare due volte.
Ad ogni modo, penso sia sempre saggio valutare caso per caso. Ad esempio, se si tratta di nomi propri che nascondono un gioco di parole, penso sia bene lasciare l'originale con una nota esplicativa, perchè cambiare i nomi ai personaggi complica sempre le cose... Se invece si tratta di soprannomi, che hanno un significato ben preciso (e non solo di rimando), allora vanno tradotti.
Ma ogni fumetto è una storia a sé stante: nel Lupin III serie "Mitico", pubblicato negli anni '90 dalla stessa Star Comics, era frequente che i personaggi avessero nomi con ovvi giochi di parole, ed erano puntualmente tradotti in italiano, perchè si trattava di personaggi occasionali in cui anche il nome definiva la loro ben precisa personalità. Ma lo stesso sistema probabilmente non funzionerebbe in un manga con una continuità intricatissima come One Piece. E ci sono termini che, indubbiamente, suonano meglio in giapponese. Bisogna valutare caso per caso.
Ad ogni modo, la Star deve pubblicare la TRADUZIONE del fumetto, trovando il giusto equilibrio tra qualità e accessibilità. Chi vuole leggere il fumetto nella sua massima fedeltà, senza nulla di tradotto, può andarsi a prendere l'originale giapponese. E non capisco come si possa chiamare "puristi" gente che pretende di leggere una chimera di giapponese e italiano.
Però se a sostituirlo sarà Yupa che la pensa così siamo a posto. A 'sto punto continuerò a comprare il manga solo per collezione e leggerò online le scan senza aprire i volumetti, come peraltro faccio già con altri manga a cui è stato riservato un trattamento orribile (Nurarihyon no mago *coff coff*).
E per favore, adesso cambiate anche i traduttori di Fairy Tail e di To LOVE-Ru che quest'ultimo manco sa distinguere il kanji di imouto da quello di ane (come se non si capisse a colpo d'occhio che Mikan è la sorella minore di Rito).
Vedo che qualcuno si sta impegnando a metterci i pollicioni rossi dove mi dico contrario agli onorifici... sarà mica Skorpion, per caso? xD
Sempre nei pensieri di quella tsundere del Messere... Peccato che sia tornato a casa alle 15 dal lavoro. Suvvia, non crederai veramente che tutti siano d'accordo col tuo fottuto concetto di adattamento [cit.]? "Ormai è assodato che l'utenza vuole il karaoke" [cit.]
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