Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Nell'appuntamento di oggi un libero assortimento di recensioni da titoli di recente produzione: Highschool of the Dead, Rock Lee no Seishun Full-Power Ninden e Tiger and Bunny.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


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Per quanto cerchi di ampliare il più possibile i miei orizzonti in fatto di anime e manga, ci sono generi che esercitano su di me ben poco fascino. Uno di questi è l'horror: eccezion fatta per quelli di carattere psicologico, infatti, vedere del sangue versato per il gusto di farlo non mi fa generalmente né caldo né freddo. Un altro è l'ecchi, non tanto per una questione di target, quanto perché la mia concezione di erotismo differisce da quella che caratterizza questo tipo di opere. Ne consegue che un'eventuale combo sia da considerarsi incompatibile con i miei gusti, ma più sento parlare male di un determinato titolo e più mi viene la voglia di scoprire se è veramente brutto come dicono, e pazienza se il prezzo da pagare per soddisfare questa mia curiosità è sorbirsi tot episodi di sangue e di cosce al vento. Il trucco per uscirne vivi sta nel non nutrire particolari speranze, anche se naturalmente anche non aspettarsi alcunché, in un certo senso, è una forma di aspettativa.
Ordunque, com'è andata? Ne sono uscita viva? Sicuramente più dei vari zombie - pardon, di loro, come vengono chiamati "in-universe" - uccisi nel corso di questa breve serie targata Madhouse, e devo dire che è stato più facile e perché no, anche più divertente di quello che credevo.

Appoggiato alla ringhiera di una scala antincendio della sua scuola, Takashi Komuro guarda i petali di ciliegio con la stessa predisposizione d'animo di Yves Montand quando cantava "Les feuilles mortes" - o di Takaki di "5 cm per Second", se vi intendete più di animazione giapponese che di chansons. Colei per cui si strugge è Rei, diventata da poco la ragazza del suo migliore amico Hisashi, ma visto che allo spettatore importa soltanto delle tette e degli zombie la sua opera di autocommiserazione viene interrotta per ben due volte nel giro di pochi secondi: la prima da Saya, tsundere occhialuta sputa-sentenze (tette, appunto), la seconda da parte dell'apocalisse, che pare aver scelto proprio quel momento manifestarsi in tutta la sua virulenta crudeltà all'interno dell'istituto (zombie). Nel tafferuglio che segue il ragazzo si ritroverà a capo di un gruppo di studenti superstiti che comprende le di cui sopra, il "gun nut" Kohta Hirano - qualcuno ha detto "Hellsing"? -, la campionessa di kendo Saeko e la sprovveduta dottoressa Marikawa, per poi scoprire che non esiste luogo al mondo in cui non sia avvenuta, o non stia per avvenire, la stessa mattanza da cui tutti e sei credevano di poter sfuggire una volta abbandonato l'edificio scolastico.

Voglio lasciarvi un po' di tempo per metabolizzare una trama così originale e ricca di contenuti, diciamo... tre secondi. Fatto? Naturalmente di per sé la sua pochezza non significa nulla, ma anche con un intreccio ridotto ai minimi termini "Highschool of the Dead" - la cui abbreviazione è un palese richiamo a un altro famoso franchise horror - è come un videogioco in cui, arrivati agli estremi confini di una determinata mappa, si va a cozzare contro lo skybox senza riuscire ad avanzare di un solo passo. Inutile dire che i rari, tardivi e inaspettati tentativi di darsi un tono con delle tematiche più impegnate, quantunque da apprezzare, sono lungi dal sortire gli effetti sperati. Non che ci sia granché da stupirsi, visto che il manga dei fratelli Daisuke e Shōji Satō, che all'epoca constava di cinque volumi, è in sospeso da aprile 2011 e presumibilmente ben lontano dalla parola "Fine", ma non sarebbe stato meglio desistere dal trasporre sul piccolo schermo il poco materiale a disposizione?

L'introspezione psicologica è chiaramente l'ultima delle priorità, ma dal momento che credevo di non trovarne traccia ho ritenuto di potermi accontentare delle poche briciole incontrate lungo il cammino, facendo, come si suol dire, di necessità virtù. I personaggi più riusciti sono senza dubbio Kohta, che vede nella situazione venuta a crearsi un modo per liberarsi dal suo personale giogo di repressione, e Saeko, un vero e proprio cocktail di coraggio, sensualità e follia. Tutti gli altri sono tristemente - quantunque non sorprendentemente - non pervenuti, a cominciare da Takashi che, vittima del suo ruolo di eroe per scelta altrui, manca di qualsivoglia profondità. Sarà questa sua vacuità ad attrarre tutte le donzelle dello show? Completamente inutili Saya, che non fa altro che vantarsi della propria intelligenza da mane a sera, la Marikawa e Alice, una bambina che i nostri, in uno slancio di dubbia umanità, salvano da loro. Rei, invece, viene rimandata a settembre perché incapace di decidere se passare la vita a farsi salvare da Takashi o se cominciare a salvarsi da sé e per sé.

Ma la vera star dell'anime è il fanservice, ivi portato a oltre novemila grazie alla regia a metà tra il virtuoso e il maniacale di Tetsuo Araki. Pensate di aver visto tutto in fatto di enormi seni simil-senzienti? Guardate l'ottavo episodio e poi ne riparliamo. Se non altro l'anime gode di un comparto grafico più che dignitoso, che grazie alle sue buone animazioni e all'intrigante fotografia ripagano almeno in parte lo spettatore del disturbo arrecato dalla totale mancanza di tridimensionalità di trama e personaggi. Ottimo il sonoro in tutte le sue ramificazioni, in particolare per quanto riguarda le musiche e il doppiaggio fin troppo espressivo per un'opera dai contenuti così modesti. Provate a chiudere gli occhi e a concentrarvi sui dialoghi: vi sembrerà di trovarvi di fronte a un prodotto di tutt'altra caratura.

Perché 7, allora? Perché non è cattivo, è soltanto poco ispirato e per nulla ardito a dispetto degli onnipresenti siparietti porno-soft. E perché se si è disposti a scavare qualche spunto valido c'è. "Highschool of the Dead" non è l'anime del secolo, ma neppure pretende di esserlo, anche se la sua ricercatezza stilistica può indurre a pensare il contrario.



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"Rock Lee no Seishun Full-Power Ninden" è uno spin-off del più famoso "Naruto" di Masashi Kishimoto e la trasposizione animata dell'omonimo manga di Kenji Taira, assistente del sensei Kishimoto.
Questo titolo vede come protagonista Rock Lee, un personaggio secondario nella serie originale, che ha la particolare caratteristica di essere un ninja che non sa usare le arti ninja, ovvero le "ninjutsu". A causa di questa sua particolarità nella storia originale ha passato molti momenti difficili ed è stato protagonista di episodi drammatici; ciononostante egli è fondamentalmente un personaggio positivo e allegro, che ha spesso contribuito alla comicità del manga.
Questo spin-off si basa proprio su questo suo lato comico, esagerandolo fino a renderlo ridicolo, sfruttando gag di ogni tipo e arrivando a un livello demenziale a cui la storia originale di Naruto non era mai giunta.

Non c'è una vera e propria trama, ogni episodio è composto da due storie, per lo più autoconclusive. In ognuna di esse vediamo Rock Lee, solitamente assieme ai compagni Neji e Tenten, affrontare i problemi quotidiani nella sua vita di ninja. Talvolta si tratta di missioni, altre volte di test o allenamenti oppure problemi adolescenziali, ma in linea di massima la struttura della storia si può riassumere così: c'è un problema da risolvere o uno scopo da raggiungere e Lee si impegna per riuscirci, ma con risultati quasi sempre disastrosi. Per colpa delle sue idee strampalate si creano situazioni assurde nelle quali viene spesso coinvolto il povero Neji, che in questo'anime è costretto suo malgrado a ricoprire il ruolo di travestito professionista. Tutto ciò scatena le ire di Tenten, che esasperata dall'assurdità della situazione e dalla stupidità degli altri personaggi, interviene con commenti o colpendo gli altri con un ventaglio di carta, come nella più classica commedia giapponese. Nel corso della serie compaiono anche gli altri personaggi della serie originale, in primis Naruto.

A evidenziare l'intento comico dell'opera i personaggi sono tutti disegnati nello stile "super deformed" o "chibi". Il design dei personaggi nell'anime è migliore rispetto a quello del manga e lo si nota soprattutto nei profili, che nel manga erano eccessivamente piatti, ma basta dare un'occhiata alla prima scena del primo episodio per rendersi conto che gli sfondi non hanno avuto altrettanta fortuna.
Il punto forte di quest'anime dovrebbe essere la comicità e il suo pubblico dovrebbe essere composto dai fan della serie "Naruto", in particolare i fan di Rock Lee, in quanto solo chi conosce la storia originale può comprendere a fondo il mondo e i personaggi di questo spin-off. Parlo al condizionale perché purtroppo ritengo che questo titolo abbia fallito nel raggiungere il suo scopo.
Per molto tempo sono stata una fan del manga "Naruto" e in modo particolare di Rock Lee, inoltre ho apprezzato il design super deformed delle cover dei CD di "Oo! Naruto Nippon!", che come stile è molto simile a quello usato in quest'anime, ma nonostante tutto questo non posso dire di aver gradito questo spin-off.

L'idea di creare uno spin-off serio su Rock Lee poteva essere buona, perché è un personaggio che ha saputo conquistare il pubblico e, pur non comparendo quasi più nella serie originale, avrebbe potuto dire ancora molto. Utilizzarlo per una serie comica poteva ancora andare bene: si sprecavano tante possibilità interessanti (un'eventuale scontro serio con il rivale Neji per esempio), ma poteva comunque risultare gradita. Il problema più grave di questa serie è che l'autore invece ha scelto di puntare su un livello demenziale davvero esagerato, che spesso ha reso i personaggi talmente diversi dalla loro versione originale da renderli ridicoli, quasi irriconoscibili.
Mi spiego. Come già detto, nella storia originale Rock Lee ha sofferto per la sua incapacità di utilizzare le ninjutsu, ma ha rimediato concentrandosi sulle arti marziali, nelle quali, grazie al suo impegno e ai costanti allenamenti, ha ottenuto risultati eccellenti. In questo spin-off invece Rock Lee non solo si dimostra spesso scarso nelle arti marziali, ma sembra soffrire di un eccessivo complesso di inferiorità che lo spinge a imitare le ninjutsu degli altri personaggi: se Naruto usa l'oiroke no jutsu (tecnica seducente) Rock Lee indossa prontamente un bikini, se Naruto usa la moltiplicazione del corpo Rock Lee inizia a correre velocemente in cerchio dando l'illusione che si sia moltiplicato, se il suo maestro Gai sa evocare una tartaruga con la tecnica del richiamo Lee costringe Neji a indossare un costume da tartaruga e finge di averlo richiamato. Tutto questo svilisce il personaggio di Rock Lee e per un fan sarebbe già abbastanza deludente, ma il peggio arriva quando vediamo il giovane ninja diventare una palla (non si capisce come, visto che non c'è alcuna trasformazione) e rotolare nel tentativo di imitare la caratteristica tecnica di Choji.

E che dire delle nuove tecniche apprese dal maestro Gai? Quando l'ho visto indossare un tutù da ballerina con una testa di cigno che sporgeva tra le gambe e colpiva gli avversari non volevo crederci.
Infine non dobbiamo dimenticarci delle caratteristiche folte sopracciglia di Lee, che in questa serie possono allungarsi di diversi metri e intrappolare gli avversari. La spiegazione è l'apertura di una delle porte difensive del corpo, argomento trattato anche nella storia originale, ma è una spiegazione che non convince affatto.
Da quanto ho visto, l'autore conosce bene le caratteristiche dei personaggi originali, ma a mio avviso questo non aiuta molto: per chi ha seguito e amato la versione originale di questi personaggi questo genere di comicità non solo non è divertente, ma risulta irritante e imbarazzante. Rock Lee non brillerà per intelligenza, ma in quest'anime si va decisamente oltre dipingendolo continuamente come uno stupido. E la situazione peggiora quando questa stupidità coinvolge anche i suoi compagni, soprattutto quando si tratta di personaggi come Neji, che nella serie regolare è sempre serio e agisce in modo razionale.
L'unica cosa che ritengo sia davvero di buona qualità in quest'anime sono le sigle: ho ascoltato con piacere le melodie delle varie opening ed ending, che forse non saranno eccezionali, ma se paragonate al resto dell'opera si distinguono nettamente. Inoltre si nota la cura nell'animazione, che appare evidente sia nel combattimento tra Naruto e Rock Lee nella prima opening, sia nella danza e nel labiale dei personaggi, che si coordina bene alla canzone nella prima ending.
In conclusione non consiglio la visione di questa serie: chi non ha mai visto l'originale Naruto forse potrebbe apprezzarne la comicità, ma non avrebbe le conoscenze per seguire la storia. Chi invece ha apprezzato l'originale difficilmente potrebbe gradire di vedere ridicolizzati i personaggi che ha amato.



7.0/10
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La fenomenologia dei supereroi ha sempre seguito di pari passo le dinamiche della società di massa nelle sue più sottili evoluzioni. Questo perché il prototipo di avventura proposto dal genere è di semplicissima fruizione e si basa su personaggi inizialmente stereotipati, costruiti spesso su archetipi elementari: eroe buono e villain cattivo. Tale peculiarità ha fatto sì che il genere supereroistico abbia avuto un grande successo fin da subito e costituisca, a posteriori, una sorta di enciclopedia della cultura pop, di cui in seguito è entrato persino a fare parte.

Se non si può proprio parlare di specchio dei tempi, quantomeno è innegabile che i supereroi abbiano sempre seguito le mode ed espresso le caratteristiche peculiari del periodo in cui sono stati prodotti, dal forzato ottimismo della Golden Age all'eccesso kitsch degli anni sessanta, al nuovo Ultimate Spiderman afro-latino-americano, passando dalla destrutturazione degli anni ottanta. È seguendo questo processo di contestualizzazione che andiamo ad analizzare le ragioni di 'Tiger & Bunny'.

Seppur il mezzo più rappresentativo dei nostri tempi sia quasi indiscutibilmente internet, l'anime, prodotto nel 2011, si concentra piuttosto sul ruolo della televisione, il che non va scambiato per una disattenzione, ma è dovuto ai tempi fisiologici di realizzazione di una serie: le idee vanno di pari passo con il presente; la loro concretizzazione richiede anni. Ciò che salta immediatamente all'occhio, fin dal primo episodio, è infatti l'ostentata invadenza dei media nella vita dei supereroi protagonisti. La serie è ambientata in un futuro prossimo in cui alcuni umani dotati di superpoteri, chiamati Next, rivestono il ruolo di eroi a Sternbild City. In tutte le loro imprese sono poi seguiti da telecamere che trasmettono le gesta su un canale tematico dall'audience altissima. A ogni atto di eroismo corrisponde poi un punteggio e il supereroe che nel corso di un anno ha totalizzato in numero maggiore di punti viene nominato Re degli Eroi. Il protagonista Kotetsu "Wild Tiger" Kaburagi è purtroppo ultimo in classifica e non per mancanza di energie e determinazione, ma per una sorta di goffaggine cronica che lo contraddistingue. Il suo sponsor (sic), per risollevarne le sorti, decide di affiancarlo a un nuovo eroe, Barnaby "Bunny" Brooks Jr., perché costituiscano un duo, Tiger and Bunny, appunto. Le ragioni del collega vanno però ben oltre la fama e la gloria; egli infatti desidera vendicare la morte dei genitori avvenuta, quando era ancora bambino, per mano di un killer della misteriosa organizzazione criminale chiamata Ouroboros.

Se si ignorano alcuni topoi del genere (primo fra tutti l'orfano vendicatore), l'anime presenta una certa dose di originalità nel presentare i personaggi all'interno di una sorta di reality show, inseriti in un sistema a punteggi, costretti a portare sulla tuta i marchi degli sponsor, come le macchine di Formula 1. La cura per la costruzione dell'apparato mediatico lascerebbe pensare che esso rivestirà nel corso della storia un ruolo più incisivo rispetto a quello di semplice pretesto. Bastano pochi episodi per ricredersi e, giunti al termine, è impossibile ignorare che non c'è quasi la minima riflessione sull'ingerenza della televisione nella vita pubblica o sul rapporto tra reality e realtà.

Al di là della superficialità nello sfruttamento delle tematiche, l'anime rischia di scontentare pure chi cerca una serie di evasione. Il problema più grave di 'Tiger & Bunny' è che non si riesce a identificare il target a cui è rivolto: è troppo semplice per un pubblico che cerca profondità e troppo fiacco e ripetitivo per chi vuole semplicemente divertirsi; non sembra neppure adatto ai più giovani per la presenza di scene talvolta violente e di un protagonista adulto, per di più con una figlia - un aspetto che rende impossibile l'immedesimazione. Mescolando gli elementi, si è forse cercato di fare un prodotto per tutti, finendo per farne uno per nessuno.

Si tratta di una serie di venticinque puntate pressoché autoconclusive a struttura ripetuta tranne che per due cicli alla fine delle due metà dell'anime, le sezioni di certo più riuscite. Nonostante la lunghezza dell'opera, tutti gli altri episodi sembrano banali riempitivi durante i quali non si realizza mai un'adeguata caratterizzazione né dei comprimari (sei supereroi su otto totali, decisamente troppi), né del protagonista, in un anime in cui i personaggi dovrebbero essere la colonna portante - risultano riusciti e fanno invece eccezione il personaggio di Blu Rose, una giovane idol dal potere di creare il ghiaccio, Lunatic, il villain, e Bunny. Trattare superficialmente la psicologia di un supereroe perché è "solo" un supereroe non è una scusa valida almeno da Watchmen in poi.

Graficamente curato, elegante e coloratissimo, con una CG molto efficace, quando l'anime schiaccia sull'acceleratore a sufficienza diventa peraltro godibile, specialmente nella fase pre-finale. Il sospetto rimane però che ciò accada soprattutto perché l'azione finisce per distrarre dal resto. La ripetitività del sonoro, con opening e ending non memorabili, non aiuta.
In sintesi, se si ha del tempo libero 'Tiger & Bunny' può essere un mediocre diversivo, ma nulla di più.