Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Oggi ci dedichiamo a titoli del 2005, con il manga Kobato., l'anime Mezane no hakobune e la serie d'animazione americana The Boondocks.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


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9.0/10
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Parlare dei propri mangaka preferiti non è mai semplice, e l'impresa è ancora più ardua quando ci si trova a parlare delle CLAMP. Senza dubbio tra le mie autrici preferite, ma allo stesso tempo, le mangaka che più spesso mi trovo a criticare; il quartetto riesce a passare con naturalezza dalla creazione di quelli che considero piccoli o grandi capolavori a storie insulse e banali, di cui nemmeno un fan accanito sembra sentire l'esigenza.
Mentre in Italia "Tsubasa Reservoir Chronicle" si avviava verso il gran finale, iniziò la pubblicazione di "Kobato.", manga che cominciai a leggere con timore e sospetto visto il senso generale di insoddisfazione e delusione provocatomi dalle avventure dei nuovi Sakura e Shaoran. All'inizio della sua pubblicazione "Kobato." era quindi vittima del pregiudizio che si stava a poco a poco insinuando nel mio cuore di CLAMP-fanatica, ormai quasi convinta che le quattro donzelle avessero smarrito sia la fantasia che la ragione.
Per fortuna la smentita è arrivata in modo evidente e veloce, confermando che le CLAMP sono ancora in grado di creare storie capaci di lasciare un segno nel cuore dei lettori.

Parlare di "Kobato." Significa parlare della sua protagonista, Hanato Kobato, una ragazzina caduta dal cielo e giunta in questo mondo per esaudire un suo desiderio: raggiungere un luogo per lei importante. Per far sì che il desiderio si avveri, Kobato dovrà curare le ferite del cuore delle persone, in modo da riempire una bottiglia con dei confettini, i Konpeito. A guidarla c'è l'iracondo Ioryogi, un pupazzo blu con le fattezze di un cane. Ma come si curano i cuori feriti? Come si fa ad aiutare qualcuno che non vuole aprirci il suo cuore per essere salvato? E soprattutto, può una ragazzina sprovveduta come Kobato riuscire ad affrontare questioni tanto gravose e dolorose?
Le avventure di Kobato e Ioryogi si dipanano per sei numeri, nel primo dei quali facciamo la conoscenza della ragazza e del suo strambo carattere, fino all'ottenimento della bottiglia utile a contenere i konpeito, da quel momento in poi, le vicende si concentrano su un unico arco narrativo che ci porterà fino alla fine della storia.

"Kobato." è stato serializzato su una rivista seinen ma, come spesso accade con i manga delle CLAMP, il target di riferimento è abbastanza trascurabile, difatti, che siano seinen, shojo o shonen, i temi clampici sono sempre uguali e sempre presenti in tutta la loro consapevole esagerazione. Anche in "Kobato." ritroviamo i classici temi dell'amore universale che nonostante la sofferenza supera il sesso, il genere, l'età e lo spazio-tempo, l'amore per il quale si è disposti a sovvertire l'equilibrio del mondo, un desiderio da esaudire a tutti i costi e l'incrollabile volontà dei protagonisti grazie alla quale è possibile realizzare ogni sogno. Kobato ricorda un po' la piccola Sakura di "Card Captor Sakura"; entrambe sono carine, dolci e ingenue e le uniche armi a loro disposizione sono la purezza del loro cuore e dei loro sentimenti, un sorriso capace di sciogliere i ghiacci dell'antartide e una volontà di ferro che non si spezza di fronte a nulla. Il motto che Kobato ripete continuamente a se stessa, "Ce la metterò tutta!", è la formula magica che le permette di affrontare anche i problemi più grandi di lei, imparando che a volte, bastano un sorriso e una parola di conforto per salvare un cuore ferito, che a volte la soluzione a qualcosa di insormontabile sta nelle piccole cose, nei gesti e nei sorrisi delle persone che amiamo. "Kobato." è un manga molto positivo, una storia buona e gentile che però non manca di mettere in risalto le difficoltà della vita, i problemi che inevitabilmente ci troviamo ad affrontare ogni qualvolta mettiamo il nostro cuore nelle mani di altre persone; subire delle ferite è inevitabile, l'amore e l'affetto possono essere quanto di più bello possiamo ricevere nella nostra vita, ma al contempo bastano delle piccole incomprensioni e dei cambiamenti nel nostro animo per distruggere tutto, portandoci dalla felicità assoluta alla più nera disperazione. Kobato non sa nulla del mondo, manca di esperienza e senso comune, ma gli incontri che la vita le pone davanti, la aiutano a comprendere questa dolceamara verità, anche e soprattutto quando è lei in prima persona a provare la sensazione di un amore che non può trovare realizzazione concreta.
Una menzione speciale va al piccolo Ioryogi, una mascotte piuttosto particolare; costretto nelle sembianze di un pupazzo, il piccolo Ioryogi non tenta minimamente di nascondere la sua indole collerica e "focosa". Dal passato tormentato e dalla lingua tagliente, il cane blu è compagno e maestro di Kobato, la segue passo passo nella raccolta dei Konpeito con fare burbero e severo, ma non manca di consolarla dolcemente nei momenti di crisi. Inoltre, la sua importanza all'interno della storia è molto più imponente di quanto si possa immaginare.
"Kobato." Non dispone di un cast vastissimo, difatti, a parte che nei primi capitoli, l'interazione coinvolge solo il luogo in cui Kobato vive e l'asilo in cui lavora, con sporadiche apparizioni di personaggi esterni, però, come da tradizione delle CLAMP, ogni personaggio è ben caratterizzato, e alcuni dei protagonisti si rivelano completamente diversi da ogni altro personaggio già creato dalle autrici; è il caso del già citato Ioryogi, ma anche del protagonista maschile, Fujimoto, e del "cattivo di turno, Okiura. Sembra inoltre che grazie a "Tsubasa Reservoir Chronicle" le autrici abbiano preso gusto per i crossover, difatti in "Kobato." vediamo apparire personaggi da altre opere quali "Chobits", "Wish", "Mi piaci perché mi piaci", "Angelic Layer" e "Card Captor Sakura", senza dimenticare una fugacissima apparizione di alcuni personaggi di "Lawful Drugstore".
"Kobato." si avvale di una narrazione scorrevole, che non risulta mai frustrante o noiosa pur disseminando ovunque indizi criptici e le tanto amate-odiate frasi sibilline tipiche delle CLAMP, che trovano riscontro e spiegazione solo sul finale. Questo manga appartiene alla categoria delle storie Clampiche "dolci e zuccherose" , al pari di "Card Captor Sakura", "Wish" e "Mi piaci perché mi piaci", ma riesce anche ad affrontare alcune tematiche mature con maggiore introspezione e consapevolezza.
La trama diventa sempre più appassionante con il proseguire delle vicende, infatti le CLAMP riescono a tessere un intreccio narrativo che coinvolge tutti i personaggi, anche i meno importanti, creando nel lettore curiosità e interesse in continua crescita.

Lo stile di disegno che le CLAMP adottano per "Kobato." è figlio delle loro ultime creazioni, infatti pur riprendendo certi elementi stilistici di opere più datate quali "Card Captor Sakura" e "Clover", predilige le forme allungate e più essenziali dei recenti "Tsubasa Reservoir Choronicle" e "xxxHolic". La poca cura degli sfondi è ampiamente compensata dalla minuzia dei dettagli riguardanti i personaggi, sia per quanto concerne le acconciature, sia per l'abbigliamento che per i visi. Kobato in particolare possiede, come da tradizione Clampica, un vasto assortimento di vestiti, borse e cappellini, tutti deliziosi e curati nei minimi dettagli. Il disegno risulta in generale leggero e gradevolissimo, dolce, delicato e allegro come la sua protagonista (soprattutto nei super deformed), stupendo nelle illustrazioni a tutta pagina. Bellissime anche le pin-up presenti ad inizio di ogni capitolo, l'unico rimpianto è invece che le copertine non abbiano illustrazioni originali ma siano appunto prese da queste stesse pin-up.

"Kobato." è stato il manga che mi ha nuovamente resa fiera di essere una fan sfegatata delle CLAMP, il manga che è riuscito a ridarmi fiducia nelle sue autrici; non sarà originalissimo, ma questa storia è la dimostrazione che di certi argomenti si può parlare all'infinito senza che essi risultino scontati o banali. Quello che voglio premiare è la sua semplicità, la sua positività e la sua capacità di emozionare senza bisogno di creare trame complicate e incomprensibili.
Dovrebbe esserci un po' di Kobato in ognuno di noi, forse così riusciremmo a ricordare ogni giorno il valore delle piccole cose e delle persone che amiamo, l'importanza dell'impegno personale e soprattutto non dimenticheremmo che un sorriso o una parola possono salvare una vita.
"Kobato, gambarimasu!"



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"Mezame no hakobune", il cui titolo internazionale è “Open Your Mind”, consiste in un corto della durata di appena quarantadue minuti, realizzato in occasione della World Exposition 2005's dal celebre regista Mamoru Oshii, noto per film della levatura di "Ghost in the Shell", "Innocence" e "Patlabor". Questo cortometraggio è stato realizzato appositamente per essere proiettato contemporaneamente su diverse dimensioni spaziali utilizzando un elevato numero di pannelli, in modo tale da rendere un significativo effetto tridimensionale.

Mezame si presenta come un connubio ottimamente riuscito di computer grafica e riprese dal vivo, caratterizzato da uno sperimentalismo quasi paradossale e visionario. Risulta dunque arduo il tentativo di estrarre il senso di ciò che si percepisce con gli occhi: un flusso di immagini apparentemente privo di qualsivoglia significato, affiancato da una colonna sonora sublime, realizzata dal compositore Kenji Kawai. Difficilmente si potrebbe fare rientrare in un genere ben preciso questo tipo di musica, assomigliante a una commistione di musica corale tradizionale, quasi sacra, con elementi tipicamente techno, che ricorda molto quella di "Ghost in the Shell".
All'interno dell'intera opera innumerevoli sono le allusioni alla filosofia buddista, in particolare a quella <i>godai</i> o “dei cinque elementi”. Tali riferimenti sono rintracciabili per esempio nei titoli delle varie sezioni dell'opera: "Aqua" (Sho-ho), "Aria" (Hyakkin), "Terra" (Ku-nu). Oppure si possono trovare nella scena iniziale dove viene raffigurato il mandala buddista e persino nelle maschere indossate dalle bizzarre figure che compaiono nel corso della narrazione.

Molteplici sono le interpretazioni che si possono dare a questa laconica opera sperimentale: sembra essere una rappresentazione che si pone il fine di descrivere una sorta di filogenesi della vita sulla terra, il cui destinatario è forse l'uomo stesso.
In principio il germe della vita viene portato sul nostro pianeta da delle entità "aliene" (o divine), rappresentate da cinque figure ammantate di bianco e adornate di bislacche maschere raffiguranti volti di animali. Il soffio vitale dunque proviene dallo spazio. La scena successiva mostra uno sfondo buio, puntellato da strane ed eteree luci - in un primo momento si potrebbe pensare all'universo; la visuale lentamente si alza, forse per rendere l'idea dell'avanzare del tempo e, lentamente, ci si accorge che quello che si osserva sono invece gli abissi marini, dove la vita trova la sua genesi.
Da qui in poi si assiste a un susseguirsi di scene che seguono l'evolversi della vita, di come essa sia migrata dall'acqua all'aria, per poi giungere alla terra. Tutto viene mostrato dal punto di vista di un osservatore estraneo, superiore: trattasi probabilmente di quegli esseri alieni, intenti nel controllo di quello che si potrebbe definire un loro piccolo “esperimento”.

A un certo punto essi intervengono nella modifica e riscrittura di sezioni del DNA producendo in tal modo una biodiversità infinita, e tra queste nuove forme di vita fa la sua comparsa anche l'uomo. Quasi a volere dire, o anzi ricordare, che l'essere umano in realtà non è diverso dagli altri animali, al contrario di quanto lui stesso possa credere o pensare. Anch'egli è frutto di questo “fenomeno” chiamato natura, vita, e poco importa se i responsabili della sua esistenza siano delle entità aliene e superiori, Dio o chiunque altro. Si abolisce dunque una visione antropocentrica dell'universo, l'uomo non è un essere superiore alle altre forme di vita, ma semplicemente una di esse. Il finale assume una sfumatura piuttosto cinica, il mondo ritorna ad essere vuoto, privo di vita, come prima dell'avvento di queste "Divinità". Quasi a sottolineare il carattere accidentale della stessa, un breve momento di agitazione nell'infinita storia dell'universo.

Mezame è dunque un corto che sembrerebbe proporre una riflessione sull'insignificante condizione dell'uomo nel mondo, che viene visto come piccola parte di un tutto.
Questa è, ovviamente, una mia interpretazione che può convincere o meno chi ha avuto la pazienza di leggere queste poche righe, non vi rimane che guardarlo.



10.0/10
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In tutta sincerità non pensavo proprio che un'opera come "The Boondocks" potesse essere considerata come un anime a tutti gli effetti, e il trovare la scheda su questo sito è stata proprio una bella sorpresa. Avevo considerato questa serie come uno dei "migliori cartoni non giapponesi", peccato che invece appartenga agli anime.
"The Boondocks" è una serie della stagione invernale 2005 attualmente composta da quarantacinque episodi, trasmessa qualche anno fa su MTV. La serie deriva dall'omonima striscia umoristica scritta da Aaron McGruder. La massiccia dose di humor nero e humor razzista è la caratteristica predominante dell'opera.

Trama: la trama è estremamente minimalista e semplificata. Robert Freeman, dopo essere divenuto tutore legale dei nipoti Riley e Huey, si trasferisce dalla caotica metropoli di Chicago al tranquillo sobborgo di Woodcrest. Huey e Riley Freeman sono due fratelli afroamericani trasferitisi nella tranquilla città di Woodcrest, che, insieme al nonno, formano una famiglia anomala. Tutta la serie sarà focalizzata sulla satira e su come la società americana si pone nei confronti degli afroamericani. Può accadere che vi siano alcune saghe, sebbene la maggior parte degli episodi siano a sé stanti.

Grafica: per essere un "non anime" "The Boondocks" supera di gran lunga gli standard delle produzioni americane, proponendosi come prodotto di alta qualità. Le ambientazioni sono piuttosto curate e gradevoli. Non sempre le animazioni sono all'altezza, ma quando serve sanno essere fluide. Il character design è aggressivo e divertente.

Sonoro: il comparto sonoro rasenta l'eccellenza, con un'opening magistrale cantata da Asheru & Blue Black e un'ending piuttosto frivola e tranquilla. Effetti sonori abbastanza gradevoli e OST a dir poco epica contraddistinguono questa serie. Da segnalare l'eccelso adattamento italiano, incredibilmente performante (saper contestualizzare lo slang americano non è facile). Un encomio alla compianta Laura Latini, eccelsa doppiatrice di Huey e Riley.

Personaggi: razzisti, dissacranti, parodistici, assurdi, e per questo semplicemente irresistibili. Questi sono i personaggi di "The Boondocks". Una caratterizzazione a dir poco magistrale contraddistingue tutti i personaggi (qualcuno mi trovi altre serie con personaggi come Thugnificent, Zio Ruckus o Gangstalicious!) e ottima è la loro interazione. Sebbene non sia presente un minimo accenno d'evoluzione, è possibile ritrovare un ottimo spessore caratteriale, e talvolta anche delle scene introspettive piuttosto interessanti.

Sceneggiatura: non ci si aspetti chissà quale prodezza o acrobazia narrativa in un'opera sviluppata principalmente per divertire, tuttavia l'intero comparto è apprezzabile nel suo complesso. La gestione temporale è piuttosto fluida e lineare, il ritmo s'attesta su medi livelli; talvolta sono presenti flashback che narrano di vicende passate o fanno luce sull'origine dei personaggi. È presente una massiccia dose di violenza e talvolta anche del fanservice. I dialoghi sono una perla d'umorismo (non c'è episodio in cui non si senta la parola "negro").

Finale: al momento non se ne vede uno, si narra di un'ipotetica quarta serie; tuttavia, data la natura prettamente comica della serie, un finale non è imperativo.

In sintesi, "The Boondocks" è un'eccelsa collaborazione nippoamericana, capace di far sbellicare dal ridere lo spettatore con uno humor dissacrante ed esageratamente razzista. Questa serie conquista letteralmente lo spettatore con la sua semplicità di trama e le situazioni assurde che si vengono a creare. Consigliato a tutti.