Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Oggi ci dedichiamo allo slice of life, con Tokyo Style, Rain Town e Tari Tari.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


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7.0/10
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Conoscete l' "hataraki man"? È la persona che dedica la propria esistenza unicamente al lavoro, che per lavoro è disposta a rinunciare ore di sonno e relax, una che non si preoccupa di fare straordinari o trascurare le relazioni sociali. È la persona che antepone il lavoro alla vita privata.
Hiroko Matsukata, ventotto anni, redattrice di un settimanale, indipendente nonché ambiziosa, è una hataraki man. E' soprannominata così dai colleghi in quanto gran lavoratrice, appassionata del proprio mestiere da perdere la concezione del tempo, concentrata e seria nei momenti cruciali, e talmente instancabile da essere paragonata a un uomo al lavoro.

L'anime, composto da undici episodi, offre interessanti spunti di riflessione, non esclusivamente legati al mondo del lavoro. Vengono bensì analizzati anche gli aspetti della vita quotidiana. I dubbi esistenziali della protagonista sono anche i nostri: quali sono le priorità nella vita, come comportarsi dinanzi alle avversità, se è giusto o sbagliato agire in quel modo piuttosto che in un altro.
La struttura della storia è episodica, tutto gira intono ai vicissitudini degli impiegati che lavorano per la rivista 'Jidai', fatta eccezione per le due puntate focalizzate su Shinji, il fidanzato di Hiroto, il cui punto di vista dà un'ottica nuova e interessante sul lavoro nipponico. La narrazione, per mancanza di colpi di scena, può sembrare noiosa e talvolta ripetitiva; ciò non toglie la piacevolezza nel seguire un titolo diverso dal solito, che non è ambientato sui banchi di scuola, a cui siamo sin troppo abituati. Scordatevi le storie d'amore adolescenziali, i fanciulli innamorati in crisi, le ragazze moe, il fanservice o le sequenze d'azione. In 'Hataraki man' la prospettiva è quella degli adulti, alle prese con i problemi quotidiani e sociali su uno sfondo concreto, quello degli uffici.
Il cast è numeroso. Seppure non sviluppato adeguatamente, i personaggi risultano simpatici, delineati quanto bastano, ma, soprattutto, appaiono realistici e credibili negli atteggiamenti, nonché coerenti nei ragionamenti. Ciascuno si approccia al lavoro e alla vita in maniera diversa.

Per quanto concerne il lato tecnico, la serie è discreta, risalta in particolar modo il character design vario, preciso e lineare. Il tratto di Mayoko Anno è inconfondibile anche nella versione animata, i suoi personaggi sono ben riconoscibili dalla fisionomia, dal modo di vestirsi, acconciarsi e porsi. Ognuno di loro è disegnato in maniera differente, perciò è impossibile confonderli, malgrado la valanga di comprimari presenti.
Le animazioni, come gran parte degli slice of life, sono semplici e nitide, con una particolare attenzione per i fondali, i quali sono ben curati e dettagliati.
Meno incisivo è il comparto tecnico, né l'opening né l'ending sono accattivanti, così come le musiche di sottofondo, queste praticamente inesistenti. Buono ma non significativo è il doppiaggio.

'Tokyo Style', questo il titolo internazionale di 'Hataraki Man', ha come target un pubblico adulto e ristretto, indirizzato fondamentalmente a chi ha avuto qualche esperienza lavorativa, perché difficilmente i più giovani, inesperti nell'ambito lavorativo, potranno comprendere la filosofia e i temi rincorrenti all'interno della suddetta serie, e tanto meno immedesimarsi nei personaggi.
Hiroko, la protagonista, è una donna in carriera, come poche in passato e come tante oggi, laddove cerca di dare il massimo in ciò che fa in una società riservata e frenetica, tentando però di conservare la propria femminilità, che lotta per raggiungere gli obiettivi prefissati sacrificando molti lussi. Ma è anche una donna insicura, paranoica e vulnerabile nelle relazioni interpersonali, la quale non riesce a gestire la vita lavorativa e sentimentale come vorrebbe. Eppure non si perde d'animo, anzi, s'impegna ulteriormente meditando sui propri errori, nel correggerli ove è fattibile, accettarli ove è infattibile, per essere una persona brillante e realizzata nel presente e in futuro.
E voi, amiche lettrici, siete delle "hataraki man"?



10.0/10
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«I ricordi della gente sono ormai profondamente sommersi. Ma in questa città, dimenticata e piovosa, a volte vaga qualcuno», questa è una parte di ciò che recita l'introduzione, una scritta bianca su uno sfondo nero, prima che il grigio assorba ogni cosa dentro di sé.
"Rain Town" è un cortometraggio della durata di dieci minuti circa: incantevole, originale e assai affascinante, si presenta come una storia d'amicizia tra una bella bambina dai capelli biondi e un robot.
La bimba, che indossa una mantellina di un giallo acceso e luminoso, inizia a vagare per le strade grigie di questa città particolare dove la pioggia è sempre presente e ne caratterizza l'ambientazione. Incuriosita, la bambina procede e attraversa un lungo e buio corridoio che si trova tra due altissimi palazzi che dominano la scena, come mostri dalle dimensioni colossali. In seguito, la bambina troverà davanti a sé un robot seduto su una panchina che aspetta, forse invano, che accada qualcosa e che il passato ritorni pieno di colori com'era stato un tempo. C'è un tempo per ogni cosa, perciò passato, presente e futuro sono tre dimensioni distinte che non possono mescolarsi.
Infine mi sono chiesta chi stesse aspettando, in solitudine, sotto una pioggia perpetua che lo arrugginiva goccia dopo goccia.
La risposta ha un sapore dolce e amaro allo stesso tempo.

A Rain Town, una città bidimensionale, esistono infatti due mondi sovrapposti: quello reale e quello che si muove e sembra vivere all'interno dello specchio d'acqua, perché ogni cosa si riflette nelle pozzanghere creando come una sorta di secondo mondo. Questi due mondi sembrano confondersi a vicenda, mentre la pioggia cade ancora ininterrottamente, accompagnando le vicende della bambina e del robot che si svolgono in questa fredda e plumbea città, sprofondata nel grigiore assoluto e nell'acqua.
I colori sono freddi, taglienti, ma è presente quel giallo che spicca come un sole all'interno di quello che sembra apparentemente un quadro gelido: il giallo, vivido e intenso, è come una piccola luce che si può trovare nel freddo.

Il modo in cui l'autore, Hiroyasu Ishida, assieme al suo compagno di scuola Shogo Yoshida, sia riuscito a creare un cortometraggio dotato di un fascino impressionante, di un significato profondo e di grande impatto per via dei suoni, delle musiche e delle immagini, è meraviglioso e stupefacente.
Questi tre elementi sono stati combinati alla perfezione: le immagini sono efficaci, le musiche sono dolcissime e la pioggia come suono di sottofondo è perfetta.
Un robot che rimane sotto la pioggia scrosciante arrugginirà, ma forse non accadrà lo stesso alle memorie. Nonostante il tempo sia passato, è come se si fosse fermato agli attimi felici che ha vissuto nel corso della sua vita: il tempo è trascorso ininterrottamente e impietoso, ma i ricordi sono rimasti indelebili e pieni di colori vivaci. Il robot, se socchiude gli occhi, può ricordare anche a distanza di molti anni.
Perché l'importante è non dimenticare mai e conservare la capacità di amare quei ricordi, anche se il tuo corpo si sta arrugginendo o è ormai vecchio e senti che la fine è vicina.



7.5/10
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Non è semplice rendere in italiano il significato del titolo dell'ultima fatica targata P.A. Works: nel giapponese parlato, infatti, il suffisso tari non serve solo a mettere in relazione due forme verbali, ma ne amplia al contempo il campo semantico, grazie a una sfumatura di indeterminatezza che le arricchisce di significato. "Tari Tari" si potrebbe quindi tradurre con un generico fare questo e quello, una locuzione elusiva e un po' vaga che tuttavia ben sintetizza alcuni dei temi trattati, dalla confusione dei sogni adolescenziali a quel miscuglio di ambizioni e timori che caratterizza il periodo più tumultuoso dell'intera giovinezza.

A mettere in moto gli ingranaggi della storia è l'ostinazione di Konatsu, talentuosa appassionata di canto che, per colpa di una congenita incapacità a esibirsi in pubblico, viene esclusa forse troppo severamente dal coro della scuola: per nulla intenzionata a farsi da parte, caparbiamente decisa a mettere in mostra le proprie doti musicali, diventerà polo d'attrazione per un eterogeneo gruppo di amici, uniti dalla comune passione per gorgheggi e vocalizzi. Tra i membri di questo manipolo di artisti in erba, a esercitare il fascino maggiore sono indubbiamente Wakana e Sawa, due ragazze dal carattere agli antipodi, l'una introversa e riservata, l'altra esuberante e solare, splendide interpreti di una spensierata immaturità, tra chimere da inseguire, drammi familiari da affrontare e sferzate di un destino che non guarda in faccia a nessuno. Ai rimanenti componenti del quintetto canoro, i due coprotagonisti maschili Taichi e 'Wien', viene invece riservato uno spazio nettamente più esiguo, e le loro vicende personali, non sempre coinvolgenti, scorrono un po' sbiadite in secondo piano. Una carenza narrativa che, unita ad alcune scelte francamente non entusiasmanti - su tutte, l'irritante codardia del preside della scuola e l'inutile inserimento nel cast del classico, stereotipato burocrate senza scrupoli - rovina, per fortuna solo marginalmente, una sceneggiatura emozionante e ben orchestrata, pur nella sua lineare semplicità.

Ma, al di là dell'intreccio piuttosto prevedibile, ciò che rimane indelebilmente impresso di "Tari Tari" è la sua atmosfera carica d'incertezza, eco non così lontano del disorientamento di un'epoca, la nostra, segnata dalla crisi economica e dall'insicurezza per il futuro, e che, surrettiziamente, porta in dote paure, perplessità e una certa propensione al fatalismo. Il lieto fine dell'anime sembra tuttavia suggerire nella rassicurante coesione sociale, puntualmente pontificata dal popolo giapponese - e che da sempre, nella memoria collettiva del Paese, è sinonimo di rinascita - una via d'uscita a questa situazione; eppure, terminata la visione di quest'opera, un pizzico di delusione, un non so che di amaro, nascosto tra le pieghe di ciò che è impermeabile al nostro controllo, fatica a dissolversi, come a dirci che nulla è in grado di stemperare quest'angoscia latente.

Sotto il profilo tecnico, da P.A. Works ci si aspettava molto, e lo studio di Kenji Horikawa non delude le aspettative, dimostrandosi, se ancora ce ne fosse bisogno, all'altezza del compito: la cura maniacale dei dettagli - stupendi in particolare i fondali -, l'utilizzo calibrato di un'ottima CG, impeccabili giochi di luce, un'OST suggestiva e toccante, sono alcune delle referenze che può vantare questa produzione, meritevole di essere vista solo in virtù della sua eccelsa realizzazione. Di notevole fattura pure il character design, nonostante assomigli fin troppo a quello di "Hanasaku Iroha", creazione anch'esso del medesimo studio, tanto che risulta difficile distinguere a prima vista alcuni personaggi presenti nei due anime (Sawa, ad esempio, è la copia sputata di Nako).
Infine, sulla scia di quanto era stato fatto per l'albergo di Ohana e compagne, collocato nella zona termale di Kanazawa, appare decisamente azzeccata la scelta di ambientare la serie in una località realmente esistente: stavolta, a fungere da scenario - e a godere di un rilancio turistico -, sono la città di Fujisawa e l'adiacente isola Enoshima, centri balneari piuttosto famosi, divenuti ora improvvisamente, grazie alla certosina rappresentazione di quegli scorci rurali tanto cari ai Giapponesi, mete ambite di pellegrinaggi otaku.

Rivelazione della stagione estiva 2012, "Tari Tari" è un'opera probabilmente destinata a non entrare nell'olimpo dell'animazione, ma che, seppur priva di particolari raffinatezze concettuali, riesce a intrattenere con classe, grazie alla freschezza dei personaggi e all'estrema godibilità della trama.