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Prosegue la collaborazione tra AnimeClick.it e Una Stanza Piena di Manga, blog dedicato al fumetto giapponese che, seppur dando un'indubbia importanza ai vecchi classici, presenta anche approfondimenti dedicati a titoli più contemporanei.
In questa rubrica aperiodica andremo a riportare le analisi di questi manga, per la maggior parte inediti in Italia, così da far conoscere ai nostri lettori alcuni titoli di indubbio interesse forse poco noti e, perché no, magari convincere qualche editore italiano a pubblicarlo anche da noi.
Alcune di queste analisi potrebbero contenere spoiler più o meno pesanti sulla trama dell'opera analizzata (finale compreso), per cui all'inizio di ogni recensione segnaleremo il "grado" di spoiler presente.

P. S. Gli interessati possono seguire Una Stanza Piena di Manga anche su facebook.

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L'appuntamento di oggi è dedicato a Mesh e contiene spoiler sulla trama; nelle ultime righe viene anche rivelato il finale dell'opera.


Mesh CoverAutore: Hagio Moto

Anno di pubblicazione: 1980

Numero di volumi: 3

Edizione consultata: Hakusensha bunko

Editore: Hakusensha


Il rapporto genitori-figli è un tema centrale nei lavori di Hagio Moto (n.1949), un’autrice che sin dagli esordi ha tratteggiato questo delicato legame affettivo in tutte le sue sfumature, da quelle idilliache, quasi da sogno (e forse per questo più rare), a quelle più cupe che nascondono ansia, sofferenza e solitudine: figli che crescono senza le figure genitoriali o perché abbandonati (Rōma e no michi, 1990) o perché orfani (Kawaisōna mama, 1971), bambine che danzano in un bosco per sfuggire all’inquietudine scaturita dal divorzio dei genitori (Bianca, 1970), figlie rifiutate dalle madri (Iguana no musume, 1991) o madri troppo prese dalla propria felicità per pensare al disagio del figlio vittima di abusi da parte del patrigno (Zankokuna kami ga shihai suru, 1993-2001). Insomma, ciò che emerge da questi pochi esempi è la distanza - il più delle volte incolmabile - che separa genitori e figli in questi loro fragili rapporti, minacciati da incomprensioni e incomunicabilità. Dopotutto, anche la Hagio non ha mai fatto mistero del rapporto che la lega ai propri genitori, da sempre contrari alla sua scelta di diventare una mangaka e restii ad accettare ancora oggi questa realtà nonostante i premi e i riconoscimenti. I figli devono diventare ciò che i genitori desiderano o sono i figli a scegliere il proprio futuro? Il tema di Meshu (Mesh, 1980-1984) è proprio questo.
Alla nascita del protagonista, la madre, che desiderava mettere al mondo una bambina, lo chiama con un nome femminile, Françoise Marie, e si illude di poterlo crescere come tale. Il padre, convinto che il bambino sia il frutto di una relazione extraconiugale della moglie fedifraga, non fa mistero del suo odio. Françoise Marie si ritrova così ad avere una madre che non lo accetta e un padre che non lo considera come proprio figlio. Ecco perché dall’età di due anni viene rinchiuso in un convitto in Svizzera: il bambino, isolato dagli affetti, si interroga sulla propria natura e sulla repulsione che suscita nei confronti dei propri genitori. Al compimento dei dodici anni, i suoi capelli biondi si tingono di alcune ciocche argentee e il padre, individuando in quelle meches una prova della sua paternità, lo riconosce come proprio figlio. Mesh (ribattezzato così proprio per via delle meches) vuole fuggire dal proprio passato assicurandosi la libertà, convinto di ottenerla uccidendo il padre. Sogna di spiccare il volo con un paio d’ali e abbandonare quel passato di ombre, ma puntualmente i suoi piedi vengono trascinati a terra da forze misteriose. E il sogno si trasforma in incubo. Uscito dal convitto e trasferitosi a Parigi, Mesh inizia a lavorare per conto del padre sotto la custodia di Dreux: il ragazzo spaccia droga e all’occorrenza si intrattiene con i clienti di un locale di Montmartre. Dopo una violenta rissa che lo vede coinvolto in prima persona, Mesh viene accolto in casa di Miron, un pittore specializzato in falsi d’autore, che lo accudisce come fosse un cane randagio trovato per strada.
Il manga della Hagio si articola in diciotto racconti che non si sviluppano in ordine cronologico, ma si incastrano grazie a una serie di flashback che portano a galla il triste passato di Mesh. Accanto alla quotidianità di Mesh e Miron - alla convivenza tra un ragazzo eterosessuale e un altro in bilico tra un’identità maschile e una femminile - si inseriscono le vicende di molti comprimari a cui i due ragazzi assistono o vi prendono parte. L’inserimento di queste sottotrame allontana il focus della narrazione da Mesh e dal suo proposito di vendetta, ma serve alla Hagio per dar vita a nuovi scenari di solitudine, per plasmare ritratti di uomini alla continua ricerca di una felicità che sembra irraggiungibile. Il tutto condito, poi, da qualche nota melodrammatica di troppo. Certo, il manga avrebbe tratto vantaggio se avesse sfruttato appieno la potenzialità dell’intreccio di base, ma non si può nascondere un sottile fascino per gli accorgimenti della Hagio, sempre attenta a calibrare emozioni e sviluppo narrativo. Il tratto, poi, è al massimo della sua eleganza, lontano dagli stereotipi dello shōjo manga anni Settanta, ma carico di quei dettagli oggi assenti nei manga dell’autrice, molto più lineari nello stile e più poveri nell’impostazione della tavola. Nonostante certe volte si abbia come l’impressione che il discorso principale venga messo da parte, la Hagio mostra innata bravura nel tirarne le fila, nel condurre i suoi lettori verso un finale magistrale che cala il sipario sul tormento interiore di Mesh. Il tutto grazie a una sequenza di quattro tavole: il ragazzo si trova in una stazione ferroviaria in compagnia di Miron e intravede il padre. Mesh non sa se partire con Miron o seguire il padre di cui ha scoperto essere l’unico figlio naturale, quindi erede della famiglia e della sua fortuna. I suoi occhi vagano, sono smarriti. Mesh rimane immobile e osserva: mentre i due treni partono alla sua destra e alla sua sinistra, lui cammina da solo per la sua strada, conscio di aver ottenuto la sua tanto agognata libertà.