Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

L'inverno sta arrivando, e con lui i lupi. Le opere di oggi sono Spice and Wolf, Jin-Roh e Wolf Children.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


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Qualche anno fa ho sentito molto parlare di Spice & Wolf, titolo internazionale di "Ōkami to Kōshinryō", anime in soli tredici episodi tratto da una serie di light novel di grande successo in Giappone scritta da Isuna Hasekura. "Spezie e il lupo", questa all'incirca la traduzione letterale, è decisamente un prodotto sui generis: non avevo mai visto un fantasy infarcito di nozioni di economia e commercio e ciò, a mio avviso, potrebbe essere una lama a doppio taglio: da un lato l'argomento viene trattato con competenza e può affascinare lo spettatore, dall'altro risulta a volte un po' prolisso e rischia al contrario di annoiare. È d'obbligo un cenno alla trama.

In una sorta di Europa post-medievale, fatta di foreste, pianure coltivate e cittadine dai tetti rossi e cinte di mura (una di queste addirittura omaggia la nostra splendida Firenze) seguiamo fin da subito i trascorsi commerciali di Craft Lawrence, un giovane mercante giunto in un paese che vive della raccolta del grano allo scopo di vendere delle pelli di visone. Per secoli, proprio il ciclo di crescita e raccolto del grano è stata favorito da uno spirito-lupo venerato in tutto il villaggio, ma ora i tempi stanno cambiando e gli uomini sono sempre più autonomi. In questo contesto, una notte Lawrence fa la conoscenza di Horo, una ragazza dai capelli rossi e dalle... orecchie e coda di lupo! Horo è infatti la reincarnazione in forma umana del dio lupo protettore dei raccolti. Scopo di Horo, ormai quasi inutile agli occhi degli esser umani, è quello di tornare al nord, la sua terra d'origine. I due decidono quindi di accordarsi per recarvisi insieme. Il loro viaggio sarà denso di situazioni economiche di ogni genere (soprattutto legate ai meccanismi monetari), dall'aspettativa per il futuro profitto alla paura per l'eventuale bancarotta. E i due intanto si avvicineranno l'un l'altro sempre di più...

Da un punto di vista tecnico, le animazioni sono nella norma, tuttavia la presenza di dettagli degli oggetti e dei fondali è piuttosto limitata. Il character design non mi ha colpito più di tanto, ma c'è di peggio in giro. Le musiche, a metà tra il Rinascimento e il Barocco, sono carine e perfettamente adatte al tipo di epoca che si vuole rappresentare, però non brillano per coinvolgimento emotivo e, anzi, a tratti risultano estremamente ripetitive. L'intreccio narrativo desta nello spettatore quel pizzico di curiosità sufficiente a non interrompere su due piedi la serie: diciamo però che manca la voglia irresistibile di continuare la visione puntata dopo puntata. Ad ogni modo, Spice & Wolf è certamente un anime che si fa guardare, tanto che forse visionerò la seconda serie. O forse no.



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L'esponente più illustre della fantapolitica animata è senz'altro "Jin Roh", lungometraggio diretto da Hiroyuki Okiura con la sceneggiatura di Mamoru Oshii. Ambientato in un universo alternativo in cui la Germania nazista ha vinto la seconda guerra mondiale, questo film presenta molteplici sfaccettature e rimandi alla storia del '900 giapponese. Sostanzialmente "Jin Roh" è la favola di "Cappuccetto Rosso" in un contesto moderno, ma possiamo anche notare nel plot dei riferimenti alle contestazioni studentesche degli anni sessanta, dovute principalmente al rifiuto di cooperazione con gli USA da parte dei giovani di sinistra. Queste rivolte generarono in Giappone un clima simile a quello degli anni di piombo, in cui non mancarono attentati terroristici e squadre della morte.

Kazuki Fuse è un membro dell'unità di polizia anti-terrorismo "Kerberos Panzer", corpo speciale dotato di equipaggiamento pesante, maschera antigas e interfaccia a visione notturna. Egli è addestrato a comportarsi come facesse parte di un branco di cani, da qui il nome "Kerberos". Durante una missione il protagonista si imbatte in una giovanissima terrorista che sta trasportando una bomba. Rimasto impressionato da questo fatto, egli esita a sparare e la ragazza si fa esplodere, ferendolo sia fisicamente che psicologicamente. Dopo un breve periodo di recupero, Fuse non è più lo stesso, e questo suo cambiamento sarà anche influenzato da una relazione con Kai, ragazza incontrata sulla tomba della giovane terrorista. I due si ritroveranno coinvolti in una spirale di eventi più grandi di loro, che ostacoleranno il loro rapporto e avranno dei risvolti imprevedibili.

A livello tecnico questo anime è messo molto bene, le animazioni sono fluide e il character design molto realistico. La sceneggiatura tuttavia è molto macchinosa, ed è facile confondersi tra i mille intrighi e sottointrighi fantapolitici in cui i due protagonisti saranno invischiati. Il ritmo del film è molto incalzante all'inizio e successivamente diventa molto più riflessivo, quindi non assisteremo a molte scene d'azione in questo frangente. Il realismo delle vicende trattate colpisce per la sua attualità, e il finale non farà alcuno sconto allo spettatore.
Siamo quindi di fronte ad un film vero e proprio, che sarebbe potuto essere benissimo un live-action di qualità. Tuttavia la sua durezza e, a tratti, la sua prolissità, fanno sì che "Jin Roh" non sia proprio un lungometraggio adatto a tutti. E' comunque un'opera molto pregevole, un "quasi capolavoro" la cui visione è altamente consigliata alle persone che hanno già apprezzato i lavori di Mamoru Oshii.



9.0/10
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Hana in giapponese significa "fiore". Hana è anche il nome di una giovane studentessa di Tokyo che si innamora di uno uomo lupo. Hanno due figli insieme: Yuki, la maggiore, è scatenata, vivace e il suo nome significa "neve"; poi c'è Ame, il minore, che è introverso e pauroso e il cui nome significa "pioggia". All'improvviso avviene la tragedia e la famiglia è costretta a trasferirsi in montagna, dove occhi indiscreti non possono scoprire il segreto dei due bambini: quando si agitano, si arrabbiano o emozionano, si trasformano in lupacchiotti. Come si crescono quindi due piccoli bambini-lupo? È difficile, certo, ma forse non più difficile di crescere due bambini qualunque. Tutto qui? Tutto qui. Ah, no, c'è anche un'altra cosa: "Wolf Children" è un capolavoro.

Un passo alla volta, però. "Wolf Children" è, innanzitutto, una metafora o lo è almeno nella misura in cui tenta di spiegare la realtà in termini irreali. Ecco che la storia di una madre e di due figli-lupo diventa la storia di ogni madre e di ogni figlio. Hosoda, il regista, si serve dei tratti bestiali dei bambini per rendere evidente la rappresentazione dei loro istinti e della loro impulsività. La natura dicotomica dei bambini-lupo è invece il riflesso della conflittualità intrinseca nell'adolescenza, della ricerca di identità e della paura di scoprire parti di sé stessi selvagge e incontrollabili. Forse l'uomo è la parte razionale e il lupo quella istintiva (l'uno l'apollinea l'altra la dionisiaca, come vorrebbe Nietzsche). Forse, ma non è ancora abbastanza. In realtà ogni tentativo di spiegare la metafora finisce per sminuirla, non diversamente da come una parafrasi svilisce inevitabilmente una poesia. Chi riuscirebbe infatti a esaurire tutti i significati contenuti nella scena in cui Hana chiede ai figli se vogliono essere uomini o lupi? Chi potrebbe elencare tutte le sfaccettature psicologiche del momento in cui i figli decidono quale identità rendere predominante?

La componente sovrannaturale non è poi mai usata come escamotage narrativo: "Wolf Children" non è un film sui licantropi, ma un film sulla famiglia. Ci si chiede allora le ragioni dietro una scelta così azzardata, il perché raccontare la natura umana attraverso degli uomini-lupo. Lo si capisce perfettamente nella sequenza dello scontro tra i due piccoli protagonisti: un effetto lo dà vedere due ragazzini che litigano, uno completamente diverso osservare due lupi che lottano all'ultimo sangue. Il regista si serve del sovrannaturale come di una potentissima cassa di risonanza, in modo tale che il significato delle immagini che pone su schermo ne risulti amplificato, arricchito e più emotivamente intenso.

È infatti proprio l'emotività l'aspetto più memorabile dell'opera, la capacità di insinuarsi in profondità nell'occhio e nell'animo dello spettatore attraverso scene struggenti dipinte con poche pennellate e con poche parole. Questo perché "Wolf Children" è innanzitutto un film essenziale, a partire dal tratto, dalla scelta di non abusare mai degli effetti speciali o di dettagli inutili, fino ad arrivare alla sceneggiatura: mai una parola di troppo.

Accanto allo straordinario dei piccoli 'wolf children', non resta mai in secondo piano l'apparente normalità di Hana, la giovane madre, la quale, pur priva di qualsiasi dote particolare, ma armata solo di umiltà, determinazione e affetto, riesce comunque a crescere due creature così complesse e impegnative. Ecco il segreto: rendere straordinario l'ordinario. Il film fa però ancora di più, cioè mostrare che lo straordinario c'è sempre stato nell'ordinario. Hosoda cosparge di luce la poesia della vita, perché tutti possano osservarla: i percorsi montuosi, una collina innevata, il romanticismo di camminare vicino senza neppure sfiorarsi, un piatto caldo preparato con cura, i piccoli istanti irripetibili che si vivono nel crescere delle nuove vite, l'impresa di non insegnare loro semplicemente a sopravvivere, ma di renderli in grado di decidere autonomamente come vivere.

L'immedesimazione con i cuccioli non serve infatti a far comprendere i figli, bensì la madre. Non è importante che Yuki e Ame siano bambini-lupo, quanto che Hana sia la madre dei bambini-lupo. Non è importante che loro siano straordinari, ma che la madre sia ordinaria. "Wolf Children" ci chiede quanto ci sia davvero di ordinario nell'ordinario. Cosa c'è di ordinario in una donna qualunque che, senza poteri sovrannaturali o capacità speciali, mossa solo dall'amore materno (che già di per sé ordinario non è), sfida una montagna per riavere suo figlio? Il regista ci mostra dei lupi per farci ricordare degli uomini.

Si potrebbe infine rimproverare a Hosoda un primo atto troppo lento, una parte centrale troppo prolissa e i personaggi di contorno assai poco caratterizzati, ma la verità è che tutto questo non importa. È grazie al regista che questo film esiste. È grazie alla madre ordinaria che i figli possono essere straordinari. La loro. La nostra.