Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Oggi appuntamento a tematica libera con Megazone 23, Yumeiro Patissiere SP Professional e Nazo no Kanojo X.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


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8.0/10
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In un Giappone degli anni '80 vive l'allegro motociclista Shogo, che da un giorno all'altro si ritrova a guidare una velocissima moto trafugata da un amico, la Garland, all'occorrenza trasformabile in un robot da guerra. È in verità un segreto militare e, presto, messo alle strette dall'esercito, il ragazzo apprende da un ufficiale, BD, una sconvolgente verità: lui e l'intera popolazione giapponese vivono inconsciamente in una gigantesca astronave, la Megazone 23, governata da una potentissima AI, Bahamut, che li culla in una realtà fittizia dove pensano di stare bene. Il sistema è stato programmato per motivi ignoti secoli prima, e ora i militari, pur di hackerare Bahamut per sfruttarne i poteri in vista di una guerra contro spaventosi extraterrestri, non esitano a usare la violenza brutale su Shogo e i suoi amici, in modo da far sparire scomodi testimoni. Disgustato da loro, il ragazzo decide di ribellarsi sfruttando la potenza di Garland e il suo gruppo di bikers...

Siamo all'inizio del 1985, il periodo in cui l'industria animata giapponese sta ancora scommettendo sulla rivoluzione estetica di Macross. Non ancora convinti della sua bontà, gli studios decidono di sondarne il terreno esiliandone gli adepti nel nascente mercato degli OVA. Nel tempo la Storia darà ragione a Studio Nue e la sua rivoluzionaria concezione sarà sdoganata, ma questo non deve farci dimenticare i grandi pionieri che proprio nell'home video hanno permesso, coi loro lavori, una simile trasformazione. La trilogia di Megazone 23 ne è uno degli esempi più prestigiosi, realizzato nel corso di cinque anni per un totale di 3 capitoli, ciascuno creato da uno staff produttivo diverso composto da quelli che erano, o sarebbero diventati, numi tutelari dell'animazione nipponica anni 80. Nato, come Dallos, nella veste di "recap" del materiale ideato per un'abortita serie televisiva, Megazone 23, fedele alla regola delle prime produzioni OVA, ha il merito di sfruttare il suo alto budget per creare una trama corposa capace di spaziare fra più generi, animata divinamente e con una cura maniacale in tutti gli aspetti estetici e musicali che, come Kawamori insegna, devono in ogni aspetto solleticare i sensi agli spettatori. Come intuibile leggendo la trama, pur riciclando idee da Macross (l'astronave gigantesca che trasporta l'umanità) e Mospeada (la moto trasformabile in un robottone), l'opera si presenta in verità come assolutamente originale per l'epoca, rappresentando un antenato dei Matrix cinematografici, il primo lavoro animato a ipotizzare una realtà fittizia dove vivono, inconsciamente prigioniere, le persone. Di interesse storico anche il suo essere il primo OVA robotico, e degno di nota come la sua storia, dipanandosi nei successivi due episodi, arriva a coprire un arco temporale immaginario di oltre 100 anni, un ideale precursore animato della saga cartacea di The Five Star Stories.

Il primo episodio, ideato e diretto da Noboru Ishiguro, scritto da Hiroyuki Hoshiyama e animato dalla co-produzione Artland/Artmic, è decisamente il migliore della trilogia. Fornisce la lunga introduzione alla storia portante, raccontandoci le avventure di Shogo alla scoperta delle potenzialità del Garland e del segreto di Bahamut. Un intrigante mix di azione robotica (i combattimenti tra il ragazzo e le unità robotiche dell'esercito) e romanticismo (la sua storia con la bella Yu), condito da numerosi, accattivanti pezzi j-pop cantati da Eve, la idol creata da Bahamut per addomesticare le masse, fil rouge che unisce tutti gli episodi (e le affinità con Macross, sia per il suo ruolo che per essere l'unico personaggio disegnato da Haruhiko Mikimoto, diventano palesi). Si nota già in questo primo capitolo il coraggio del regista di non risparmiarsi dialoghi adulti e scene di sesso e sangue, perfettamente integrate nel contesto e mai gratuite, così come una sceneggiatura esemplare che caratterizza notevolmente il pur piccolo cast: anche se al lavoro su un riassunto di una mai vista serie tv, lo sceneggiatore riesce adeguatamente a enfatizzare il carisma del militare BD, della sensuale Yu e delle sue amiche. Il grande interesse dell'OVA risiede però, sopratutto nella confezione. L'ora e venti di durata è focalizzata nell'esprimere al meglio lo stanziamento monetario di Artland e Artmic: animazioni fluide e incredibilmente vigorose (sopratutto nei fisicissimi scontri tra robottoni) accompagnano ogni sequenza con vette di totale spettacolarità, mentre i disegni, bellissimi, ammaliano grazie alle tinte calde e ai tratti dolcissimi di Toshiki Hirano, uno dei massimi esponenti della "dottrina Kawamori" e qui in una delle sue prime prove. Mechanical Design, a opera di Shinji Aramaki, anch'esso da applausi: non solo nella consueta sboronaggine dei robottoni, ma anche per la riproduzione perfetta delle moto da corsa usate da Shogo e amici, riproduzioni meticolose delle più famose Suzuki, Honda etc di quegli anni. Grande spazio trova, ovviamente, anche il lato musicale: se la OST di Shirgo Sagisu è trascinante come si conviene allo spirito della storia, rock 100% Eighties, le numerose insert song j-pop denotano bene come la lezione di Studio Nue sia pienamente recepita e, per questo motivo, intelligentemente riproposta.

Il secondo episodio, uscito nel 1986, a più di qualcuno non piace. Tra le varie rimostranze cadono lo spiazzante cambio di chara design, con l'aspetto fisico dei protagonisti stravolto, e sopratutto la caratterizzazione non pervenuta di buona parte del cast, in riferimento agli amici bikers di Shogo. Critiche che si possono condividere, ma fino a un certo punto. Innanzitutto il cambio di design, scioccante, per il recensore significa personalità: alla sua prima prova assoluta di disegno, Yasuomi Umetsu, futuro padre di A-Kite e Mezzo Forte, trova il segno caratteristico che lo contraddistingue, delineando personaggi dai look estremamente adulti e sexy che non per nulla gli spianeranno la strada nel futuro mondo delle produzioni erotiche. Il tratto ha poco in comune con quello "infantile" di Hirano, tanto che i due eroi fisicamente neanche si riconoscono (a Yui sono cambiati pure forma e colore dei capelli), ma i disegni rimangono d'autore e davvero non si può davvero negare l'originalità del progetto Megazone 23, di raccontare una storia filtrata graficamente dalla sensibilità di disegnatori diversi. L'anonimità di buona parte del cast è invece innegabile, ma non è un così grave: il secondo capitolo rappresenta l'anima "action" della storia, parlandoci della guerra tra i bikers e i militari condotta attraverso vertiginosi inseguimenti e sparatorie lungo le strade, ovvio che l'attenzione sia posta principalmente su Shogo, Yui, Eve e BD, protagonisti principali, rispetto ai comprimari. Una spettacolare guerra urbana che vale da sola il prezzo del biglietto, a cui danno voce come sempre fluidissime animazioni (si sente l'apporto del neo-entrato studio d'animazione AIC), l'OST martellante di Sagisu, brani j-pop e fanservice dato da mecha dettagliati ed esplosioni in ogni dove e quando. Senza un briciolo di CG, tutto fatto a mano come ai migliori tempi, da rimanere imbambolati ad ammirare e tramandare ai posteri. Anche in questo contesto non mancano intermezzi adulti, addirittura enfatizzati dal chara di Yasuomi Umetsu. Le esplicite scene di sesso e violenza sono presenti in dosi ancora più massicce e contribuiscono a immergersi nel senso di cattiveria della storia, tra militari eviscerati dagli alieni in impressionanti scene splatter e fatiscenti centri sociali nel quale bazzica il gruppo di biker di Shogo, dove sono di regola nuvoloni di fumo, fiumi di alcool e disinibizione sessuale. Non mancano neppure echi tominiani nella filosofia, un po' spicciola bisogna dirlo, del ragazzo che detesta il mondo egoista degli adulti e gli si ribella, e lo sceneggiatore Hoshiyama gioca così sul rapporto di ostilità tra Shogo, buono ma ingenuo, e BD, militare tutto d'un pezzo, macchiavellico, che però ha nostalgia delle pulsioni idealiste giovanili. Le rivelazioni finali di Eve e un evocativo "finale" provvisorio (si risolvono tutti i misteri di Bahamut e del programma ADAM), perfetto, chiudono nel migliore dei modi una storia intrigante e ottimamente realizzata degna di entrare nella Storia dell'animazione.

Nel 1989, tre anni dopo la Parte II, giunge la conclusione. Il regista Noboru Ishiguro non è più coinvolto nel progetto ed è rimpiazzato al soggetto da Shinji Aramaki, che scrive, con la sceneggiatrice Emu Arii, un thriller cyberpunk che ha ben pochi punti in comune col passato, pur reggendosi su idee ugualmente notevoli. Cento anni dopo gli avvenimenti precedenti, la razza umana ricostruisce la sua civiltà nell'avveniristica megalopoli di Eden, dove ogni singolo abitante è schedato e tenuto d'occhio da un immenso network chiamato System. Eiji Takanaka, abile hacker, si ritrova al centro di una violenta guerra urbana tra le due potenti compagnie che si contendono la supremazia tecnologica della città, e durante gli scontri finisce col risvegliare Eve, la idol utilizzata il secolo prima da Bahamut. Un atto conclusivo, diviso in due episodi, che pur vantando un buon soggetto di fondo è mal scritto, trovando un risultato abbastanza scialbo dovuto sia alla mancanza di presentazione adeguata del nuovo scenario sci-fi che, e questo è il suo problema peggiore, nei protagonisti approssimativi, eroe incluso. Lento ed estremamente verboso, Parte III ci parla essenzialmente di Eiji che si sposta di luogo in luogo, ora a divertirsi con amici, ora giocare in sala giochi, ora ad hackerare il System; parlando al contempo del mondo che gli sta attorno (con numerose, irritanti e indecifrabili terminologie tecniche) e provandoci con la bella cameriera Ryo di cui è invaghito. Un capitolo abbastanza tedioso, ulteriormente appesantito da regia e montaggio rivedibili, zeppi di stacchi che troncano intere sequenze funzionali alla comprensione. Il risultato è una noia generale, per niente supportata dal comparto tecnico. Orfano del contributo dello studio d'animazione Artland e di Noboru Ishiguro, Megazone 23 assiste sconsolato al suo declino tecnico: non che le animazioni siano mediocri, tutt'altro, ma sono più da media serie tv dell'epoca che da OVA, non reggendo il confronto con l'orgia tecnica delle puntate precedenti. Dal superlativo si passa così al buono, e decade anche la qualità delle movenze di mecha e personaggi. L'abbandono Artland comporta anche il rimpiazzo del musicista Shiro Sagisu con Keishi Urata, minimamente in grado di reggerne l'eredità (OST, quindi, del tutto anonima), e infine colpiscono in negativo i disegni con l'arrivo, dopo Hirano e Umetsu, di Hiryuki Kitazume, che negli anni precedenti si è costruito la fama con Gundam ZZ e Il contrattacco di Char. Una nuova presenza che sembra comportare solo ulteriori nei, in quanto passare dai carnosi disegni precedenti al suo tratto geometrico ed estremamente semplicistico, per quanto stiloso, porta l'aspetto visivo a sembrare ancora più freddo, addirittura superficiale: se anche è vero che l'originalità del progetto Megazone 23 risiede anche nella sperimentazione grafica di ogni episodio, lo stile di Kitazume, altresì spettacolare in altri contesti, è piacevole ma incompatibile con le cupe atmosfere che vuole evocare la storia. Da salvare giusto i primi piani delle splendide ragazze, ma negli uomini (sopratutto il protagonista Eiji) le sue linee così perfettine e i colori patinati sono terribili. Per concludere, anche le coraggiose scene di sesso e violenza, che costellano i primi due episodi, sono decisamente ridotte in esplicità, adagiate alla confezione sobria dell'opera con buona pace del coraggio dimostrato precedentemente.

A dispetto della delusione, comunque, Parte III raggiunge la sufficienza. Pur confuso, noioso e con personaggi-macchietta, in più riprese ci ricorda di far parte di progetto ambizioso quale Megazone 23, e sotto questa luce rimane ugualmente intrigante il suo soggetto, che prosegue la storia precedente con diversi rimandi e sopratutto con la scoperta, nel finale, di che ne è stato di un certo personaggio chiave. Tutto meglio realizzabile, ma pienamente degno dell'imprevedibile epopea cyberpunk di Noboru Ishiguro e giustamente assurto anch'esso al rango di cult.

Edizione italiana in dvd a cura di Yamato Video, che pubblica tutti e tre i capitoli in tre dvd una volta tanto ben realizzati, con un buon video e sopratutto un buon doppiaggio che non fa rimpiangere il loro prezzo.



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Ad appena un mese di distanza dalla conclusione della prima serie, la pasticciera del colore dei sogni torna sul piccolo schermo con una nuova stagione: "Yumeiro Pâtissière SP Professional". Avevamo lasciato Ichigo & co. in Francia, al termine dei loro due anni di studio alla sede principale dell'Accademia St. Marie, e in questa nuova serie i protagonisti tornano quindi cresciuti, più belli e più abili che mai.
Contrariamente alla serie precedente, questa seconda stagione si compone di soli tredici episodi, incentrati stavolta non sulla creazione dei dolci e sulle sfide culinarie, ma sulla gestione di un negozio affidato ai ragazzi dal professor Henri. Al ritorno dalla Francia, il glorioso gruppo Ichigo si sfalda, poiché Hanabusa e Andou lasciano la scuola per dedicarsi al lavoro, mentre Kashino, grazie ai suoi eccellenti voti, passa direttamente al secondo anno delle superiori. Ichigo forma quindi un nuovo gruppo composto dalla sua compagna di stanza Rumi, Lemon (già apparsa nella serie precedente) e un nuovo acquisto, un ragazzo americano di nome Johnny. Quando il professor Henri inaugura la cittadella dolciaria chiamata Marie's Garden, affida a Ichigo, Kashino, Lemon e Johnny la gestione di un negozio, ma l'impresa si riserva più ardua del previsto, poiché i due ragazzi non vanno per niente d'accordo, la Miss Miya Koshiro continua a interferire e ci sono da risolvere anche i problemi della Principessa Mari in quel di New York. Nuove sfide attendono quindi la nostra fragolina, ne uscirà vittoriosa anche stavolta?

Partiamo dal presupposto che, come già detto per la prima serie, anche la seconda stagione di "YumePati" richiede un approccio particolare da parte dello spettatore, al quale viene chiesto ancora una volta di godersi l'anime con occhi e animo del target di riferimento, ossia i bambini, altrimenti troppe situazioni, troppi personaggi e troppi comportamenti potrebbero apparire banali, illogici e surreali. Anche stavolta, quindi, "YumePati" va assaporato con il dolce gusto dell'ingenuità e l'amore per le favole.
Pur mantenendo queste premesse, però, "Yumeiro Pâtissière SP Professional" si presenta come una serie mediocre, lontana dagli standard più che buoni della prima stagione, a causa soprattutto di una sceneggiatura traballante che, volendo condensare diverse situazioni in soli tredici episodi, ha finito per creare un minestrone di elementi diversi in cui nessuno degli ingredienti riesce davvero a risaltare. L'idea di non concentrarsi nuovamente sulle semplici sfide culinarie e di far passare i protagonisti al livello successivo, ossia la gestione di un proprio negozio, era encomiabile, interessante e originale, così come l'aggiunta di nuovi personaggi e il ripescaggio di alcuni già visti poteva essere una scelta più che azzeccata, ma entrambe le idee sono state sfruttate male, superficialmente e frettolosamente. Le vicende del negozio di Ichigo s'intrecciano con quelle di Mari, di Andou e del regno dei dolci, interrompendo di continuo il filo degli eventi e rubando spazio a quella che era la questione più importante di tutte, cioè il rapporto tra Ichigo e Kashino.

Alla fine della prima serie, grazie a un flash forward di pochi secondi, vediamo che i due si scambiano una sorta di promessa d'amore, ma al rientro in Giappone sembra che la loro relazione non abbia avuto nessuno sviluppo: Ichigo prova a prenderlo per mano ma non lo fa, Kashino viene continuamente trascinato via da Koshiro senza che lei batta ciglio, in generale i due continuano a comportarsi come semplici amici, salvo i momenti di gelosia di lui o i rarissimi attimi in cui restano soli. In quei pochi frangenti Ichigo e Kashino sembrano molto intimi, paiono avere un rapporto molto "fisico", giacché si abbracciano senza problemi, ma la domanda che tutti si pongono è: quando è iniziato il loro rapporto? Era ovvio sin dalla prima serie che il bel biondino provasse qualcosa per la nostra fragolina, mentre lei non sembrava avere interesse per nulla al di fuori dei dolci, quindi, da brava romanticona, avrei voluto sapere cos'è successo tra loro nei due anni a Parigi. Come, quando e perché Kashino ha dichiarato i suoi sentimenti? Come, quando e perché Ichigo ha accettato? Niente di tutto questo viene svelato e ci viene presentata una coppia già bella e fatta, ma neanche troppo pubblicamente dichiarata. Bisognerà aspettare l'ultimo episodio per vedere un po' di esplicito romanticismo tra i due, cosa che ho trovato parecchio fastidiosa.
Un'altra cosa che non ho molto gradito è stata la presenza di nuovi personaggi che, non avendo lo spazio per risaltare, risultano poco caratterizzati, e l'abbandono di altri personaggi storici. Riguardo al primo punto mi riferisco in particolare a Lemon, personaggio che aveva fatto la sua comparsa in diversi episodi della prima serie, qui promossa a coprotagonista. Purtroppo la piccola Lemon resta sempre nell'ombra e non emerge particolarmente in mezzo a un gruppo composto da forti personalità, risultando quasi superflua. Allo stesso tempo, Hanabusa e il suo Sweet spirit Cafè vengono messi da parte, ottenendo solo qualche sporadica apparizione. Meno indegno il destino di Andou e Caramel, che comunque appaiono come personaggi secondari rispetto al ruolo da protagonisti della prima stagione. Tra i nuovi personaggi quello che spicca di più è forse Johnny, sia perché assume il ruolo di rivale in amore di Kashino, sia per la sua alleanza con Koshiro, ma in sostanza non è un personaggio memorabile o a cui è possibile affezionarsi.
"Yumeiro Pâtissière SP Professional" non è comunque una serie priva di pregi: è scorrevole, dolce e divertente, e diversi miglioramenti sono stati fatti riguardo la caratterizzazione della protagonista. Ichigo adesso ha sedici anni, è cresciuta fisicamente, ha sciolto i codini, veste in modo più trendy, ma soprattutto sembra più assennata e accorta verso i compagni, pur restando una tonta di natura. Se nella prima stagione erano il suo egocentrismo e l'amore cieco per il professor Henri a farla da padrone, adesso Ichigo è più matura e riflessiva, più altruista e attenta ai sentimenti degli altri, meno incentrata su sé stessa e notevolmente più professionale nel suo lavoro. Un bel salto di qualità, quindi, sarebbe stato bello vedere questa nuova Ichigo in azione per più episodi e in vari contesti, così com'era accaduto precedentemente: con i compagni, con la famiglia, con i clienti, con i rivali e via dicendo.

Tecnicamente, "Yumeiro Pâtissière SP Professional" resta sui livelli della prima serie, con qualche miglioria a livello di chara. Molto carina l'opening "Sweet romance", colpevole però di averci illuso, tra testo e immagini, di una svolta della storia in direzione romantica.

"Yumeiro Pâtissière SP Professional" non raggiunge quindi i buoni livelli della serie precedente, erano necessari più episodi che mostrassero per bene la maturazione dei personaggi già conosciuti, la caratterizzazione dei nuovi, lo sviluppo dei loro sentimenti e delle relazioni. Credo che già dalla serie precedente l'anime abbia preso una strada diversa da quella del manga, senza riuscire a mantenere del tutto le premesse iniziali. Allo stesso tempo la serie rimane gradevole e divertente, dolce e zuccherosa, appassionante al punto giusto. Si poteva fare sicuramente di meglio, poteva venir fuori una serie superiore alla precedente, ma, purtroppo, la voglia di mostrare troppo in troppo poco tempo ha portato a un risultato discreto e non memorabile, che pecca di superficialità e che soprattutto delude le aspettative di quella parte di pubblico che da "YumePati" si aspettava davvero tanto. Piccola delusione con un pizzico di rimpianto.



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C'è poco da fare: la forza di certe metafore va oltre le capacità narrative di chi le crea, rendendo così difficile a coloro a cui è destinato un determinato prodotto o messaggio godere della loro reale profondità. È il caso di "Nazo no Kanojo X", che pur potendo contare su una valida idea di fondo e su un'irresistibile deuteragonista non riesce ad esimersi dal mitigarne l'effetto sullo spettatore per mezzo di altri opinabili e triti artifici tipici del genere del quale si potrebbe considerare, se non proprio una parodia, quantomeno una curiosa rivisitazione, vale a dire la commedia sentimentale scolastica.

Nella classe di Akira Tsubaki si trasferisce la misteriosa Mikoto Urabe, che a causa delle sue stramberie viene immediatamente emarginata dal resto della classe - non che la diretta interessata ne soffra, giacché trascorre ogni attimo di pausa tra una lezione e l'altra e non solo a dormire della grossa. Sarà proprio a causa di questa sua abitudine che il ragazzo, dopo aver ceduto all'impulso di intingere un dito nella pozza della sua saliva, scoprirà di non poter più fare a meno della sua dolcezza: ha così inizio una bizzarra relazione amorosa che, pur andando soggetta alle consuete dinamiche di coppia, ruota tutta attorno a questo scambio di fluidi dalle proprietà non convenzionali.

Nonostante ad Akira siano negate molte delle piccole gioie di avere una fidanzatina, come ad esempio il mero contatto fisico, è ragionevole affermare che condivide con Urabe molto più di quanto sembra. Questo perché l'unicità della sua reazione alla saliva di lei, attraverso la quale possono venire convogliati pensieri, emozioni e in generale qualsiasi alterazione fisica, è la riprova che il loro è un legame arcano. Semplice suggestione o qualcosa di più? Impossibile stabilirlo con certezza, dato che nessuna spiegazione ci viene fornita circa il perché di queste proprietà o su come Urabe, che non si capisce bene quanto ne sia effettivamente consapevole e quanto, invece, creda di esserlo, ne sia venuta a conoscenza. Stesso discorso per la sua abilità con le forbici, per giunta a punta arrotondata, che è solita portare sotto l'elastico delle mutandine. Se da una parte questa mancanza di informazioni ci sottrae al supplizio di frequenti e interminabili sequenze espositive, dall'altra fa rabbia vedere quanto tempo si è costretti a perdere dietro a fatti o persone di scarsa, per non dir nulla, rilevanza, come il classico episodio sulla spiaggia che c'entra come il cavolo a merenda, l'assurdo spirito di emulazione provato dall'unica amica di Urabe nei suoi confronti o l'inopportuna ricomparsa di una ragazza di cui un tempo il protagonista era innamorato: un dedalo semisenziente di clichés di cui non c'era il minimo bisogno.

Fedele al suo ruolo di protagonista ridicolmente nella norma, Akira non presenta un carattere particolarmente sfaccettato, anche se va fatto notare che, man mano che la sua relazione "sale di livello", il suo intuito si sviluppa di conseguenza: Urabe sarà sempre un mistero per lui, ma ogni giorno un po' meno insondabile del precedente. Quest'ultima, invece, è semplicemente adorabile nella sua schiettezza e acutezza. Sa di condurre il gioco, ma non se ne approfitta, anche se senza rendersene conto tende a "delgare" la sua saliva invece di prendere le questioni di petto - o di forbice. Per quanto riguarda gli altri personaggi, beh, mettiamola così: per quanto necessari, nessuno di loro è veramente indispensabile, e non solo perché Urabe li eclissa senza sforzo.

Un'altra cosa che non mi ha entusiasmato e nella quale non ho visto il benché minimo guizzo, eccezion fatta per la buona prova di Ayako Yoshitani nei panni di Urabe, è il comparto tecnico in tutta la sua interezza. C'è una differenza tra essere retró ed essere stantio, e il character design di questa serie, almeno secondo il mio modo di vedere, rientra in questa seconda categoria: lasciamo riposare in pace gli Anni Novanta. La regia si fa ispirata soltanto quando c'è da vedere Urabe in azione con le forbici (e questo è bene) oppure da decantare, in maniera del tutto gratuita, le grazie di questo o quel personaggio femminile (e questo è male); la fotografia è certamente gradevole, ma ho trovato un po' forzato il suo voler fare atmosfera a tutti i costi; le animazioni sono appena nella norma; e la colonna sonora si fa ascoltare soltanto con educato interesse. Anche qui vale quanto detto per quanto riguarda l'opera in generale: era certamente il caso di osare di più.

Con questo non voglio dire che "Nazo no Kanojo X" sia un anime da buttare; al contrario, lo ritengo sottovalutato. Non conosco il manga da cui è tratto, ma una cosa è certa: da una parte o dall'altra è rimasto vittima di un ingiusto depotenziamento.