Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Oggi appuntamento a tematica libera con gli anime La rivoluzione di Utena e Kino no tabi ed il manga Annarasumanara.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


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Tra gli anime considerati veri e propri cult degli Anni Novanta si annovera La rivoluzione di Utena, in originale Utena - La fillette révolutionnaire, serie in trentanove episodi facente parte di un progetto multimediale inaugurato nel 1996 da un manga in cinque volumi e proseguito nel 1999 con un film conclusivo e una one-shot a fumetti ad esso collegata. Autori di quest'opera esplorata su più livelli sono i membri del gruppo conosciuto come "Be-Papas", il cui elemento più rappresentativo è Kunihiko Ikuhara, regista ormai famoso di due serie e mezzo della trasposizione animata di Sailor Moon e del più recente e controverso Mawaru Penguin Drum. Credo che il termine "controverso" si adatti perfettamente allo stile di Ikuhara: le sue opere sono ricche di simbolismi e colte citazioni, e anche Utena non fa eccezione in proposito. Cerchiamo di fare un breve sunto della trama.

Tutto ruota attorno alla Sposa della Rosa Anthy Himemiya e ai duelli di un gruppo di studenti che se la contendono uno dopo l'altro: le cose cambiano nell'istante in cui anche Utena, una ragazza atipica dall'oscuro passato e che indossa una divisa scolastica maschile, decide di prendere parte ai duelli, ma, a differenza degli altri, lo scopo di Utena è quello di liberare Himemiya dalle prepotenze dei vincitori. Una volta ottenuta anche lei la Sposa della Rosa si troverà immersa in un turbine di scontri al fine di difendere la sua posizione e la sua amica. Non appena entra in scena il fratello di Himemiya, l'ambiguo e affascinante Akio, il passato di Utena torna a riecheggiare nella sua mente, e in particolare i ricordi legati al misterioso principe che l'ha tratta in salvo dalla disperazione quando era solo una bambina. Ma non è tutto oro ciò che brilla e anche dietro la figura quasi "sacra" di Himemiya si celano torbidi e inquietanti segreti...

Di per sé la trama è semplice, ma Ikuhara la infarcisce di riferimenti simbolici, riti reiterati (come quello che anticipa praticamente tutti i duelli, con la caratteristica canzone heavy metal corale Zettai unmei mokushiroku, o anche il costante alternarsi dei medesimi duellanti) e misteri criptici e di difficile risoluzione (ancora non riesco a capire cosa siano i "teatrini" con le ombre femminili che discorrono per mezzo di enigmatici giri di parole in merito a quanto succede nell'animo dei personaggi), rendendo l'intreccio narrativo alquanto complesso. Gli ultimi episodi forniscono la maggior parte delle risposte, ma personalmente, sebbene colpito da alcune sequenze drammatiche e ben girate, ho provato una certa insoddisfazione. Da un punto di vista tecnico, il character design non è dei miei preferiti, ma in fin dei conti è gradevole a modo suo; inoltre la colonna sonora è particolarmente curata e unica nel suo genere. Senza dubbio La rivoluzione di Utena è un anime maturo in cui vengono affrontate, quasi sempre in modo estremamente sottile, tematiche piuttosto scottanti: l'omosessualità di entrambi i sessi, l'incesto, la violenza sessuale. Ad ogni modo l'ho trovato un po' tedioso in certi punti e persino irritante in alcune puntate auto-conclusive (mi riferisco alle assurde disavventure di Nanami, il cui scopo è certamente quello di strappare un sorriso allo spettatore, ma a me non sono andate proprio giù), nonché eccessivamente ermetico in determinati risvolti della narrazione. Per tutti questi motivi non riesco a dare alla La rivoluzione di Utena un voto sufficiente.



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Trattasi di un web-manhwa dai disegni abbastanza particolari. Ambientato in parte in una scuola e in parte in un luna park abbandonato, non manca di rappresentazioni anche abbastanza oniriche. Del resto, si esprime anche per mezzo di metafore piuttosto evidenti. C'è per esempio la raffigurazione di Na-Il-Deung e della sua famiglia; vengono disegnati con una testa lunghissima, senza collo, e ci si domanda per tre quarti dell'opera come il ragazzo possa essere definito bello… Ma egli e la sua famiglia sono il simbolo di un certo modo di essere e, cambiando tale modo di essere, cambierà anche il disegno.
Ho apprezzato molto i piccoli tocchi di colore piazzati strategicamente qua e là, a sottolineare qualche particolare di maggiore importanza, e le raffigurazioni distorte di alcune persone o ambienti, che descrivono, senza bisogno di molte parole, la quasi deviante estremizzazione di alcuni pensieri e comportamenti.

Essere adulti anagraficamente non significa esserlo automaticamente anche nei pensieri e nelle azioni. Ben lo sa Yonn-Ah-ee, una ragazzina lasciata nei pasticci da un padre che vede come infantile ed irresponsabile. Egli l'ha abbandonata assieme alla sorellina dopo aver contratto forti debiti nella gestione della sua piccola fabbrica di giocattoli, ed ora è costretta ad andare a scuola e a fare piccoli lavoretti per tentare almeno di sopravvivere.
La magia era una cosa creduta e meravigliosa, quando era bambina e andava con la madre al luna park, sognando di diventare una maga. Ora che è cresciuta, senza una madre ed obbligata ogni giorno alla solitaria lotta per la sopravvivenza, il suo pensiero fisso è diventato il denaro: quello che serve per comprare un paio di calze per rimpiazzare le sue bucate, il riso per sfamare se stessa e la sorellina, pagare l'affitto e i debiti lasciati dal padre.

C'è un mago che vive nel vecchio luna park ormai chiuso, un giovane bellissimo che si dice faccia veri incantesimi, e forse è vero, visto che continua a chiederle se crede nella magia e la difende, la aiuta e fa apparire denaro dal nulla. Yonn-Ah-ee non può, non vuole più credere alla magia, che per lei è l'incarnazione dell'infantilismo degli adulti che l'ha messa nei guai, ma se il mago, pronunciando la sua parola magica "Annarasumanara", riesce ogni volta ad aiutarla, forse allora la magia esiste davvero? Si potrebbe conviverci?

Ma non sempre la magia è reale, anzi, potrebbe essere davvero solo un'illusione, e allora la soluzione dei problemi di Yonn-Ah-ee potrebbe invece trovarsi nel migliore studente della scuola , suo compagno di banco, il ricco Na-Il-Deung, con cui lotta invano per avere i migliori voti e che pare interessarsi a lei.

Il sogno contro la realtà, potrebbe definirsi il tema di questo manhwa. Il povero che sogna sollievo dai propri problemi economici, il ricco che, per la prima volta nella sua vita, non riesce ad ottenere quello che vuole.
Per contro, si tratta anche e soprattutto di una storia di passaggio all'età adulta, che ci mostra i pensieri di chi, con fatica e dolore, cerca di passare dalle illusioni dell'età bambina alla dura realtà di quella adulta, che ci viene presentata come una lunghissima strada asfaltata, su cui si corre guardando sempre avanti, spinti alle spalle a velocità folle dalle aspettative e dalle pressioni della famiglia, della classe, della propria città, del mondo intero. L'età adulta, ci viene detto, non ha posto per sogni e illusioni, è l'estremizzazione della meritocrazia, incarnazione della realtà che si forgia col duro impegno, e l'unica degna di essere riconosciuta. La magia non esiste, così grida la realtà.

Chi devia dalla strada asfaltata camminerà sì in un prato fiorito, ma dovrà pagarne il prezzo: sospetto, pettegolezzo, riprovazione, esclusione. Sostanzialmente, diventerà non-esistente. Eppure, potrebbe essere la stessa pressione a farci impazzire, spingerci fuori dal sentiero tracciato.
Ma sarà proprio vero che diventare adulti significhi rinunciare ai propri sogni? Non è possibile coltivarne almeno qualcuno, senza per questo diventare un fallimento agli occhi di se stessi e del mondo?

E voi, credete alla magia?



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Mi sono avvicinato a "Kino no tabi" in quanto avevo aprezzato molto lo stile registico di Nakamura nel classico cyberpunk degli anni '90 "Serial experiments Lain", e per poter vedere una delle sue ultime opere essendo venuto a conoscenza della sua prematura morte. Devo ammettere che a visione conclusa ero abbastanza soddisfatto, ma non troppo, in quanto questo anime presenta dei difetti abbastanza marcati, come ad esempio la mancanza di una vera e propria trama (e quindi di un vero e proprio finale), di una colonna sonora incisiva e del "sense of wonder" tipico delle fiabe. Quest'ultima cosa è la più grave, in quanto "Kino no tabi" si atteggia da fiaba non avendo (o non avendo abbastanza) quel tocco di "magia" tipico del genere, la cui assenza lo rende eccessivamente freddo e a tratti prolisso.

Per ammissione stessa del regista, "Kino no tabi" è ispirato al "Galaxy express 999" Matsumotiano, con cui condivide gli episodi autoconclusivi, il tema del viaggio, il concetto dell'uomo-macchina, la critica alla guerra e all'alienazione dell'uomo moderno. Tuttavia sono presenti marcate differenze tra le due opere che fanno sì che "Kino no tabi" possa assumere una identità propria.

"Kino no tabi" non è un viaggio di formazione, in quanto il/la protagonista, Kino, volutamente androgino/a, rimarrà sempre neutrale e non giudicherà mai le stramberie umane a cui assisterà, contrariamente al suo collega Tetsuro di "Galaxy Express 999". L'unica cosa che sembrerà in qualche modo scuoterne la coscienza è la sua cinica moto parlante, Hermes, forse la vera e propria protagonista della storia in quanto veicolo del viaggio in sé. Quest'ultimo tema, unito a quello della mancanza di radici e del "distacco assoluto" è l'anima dell'opera, che strizza l'occhio alla filosofia Zen e alla mistica medievale di Meister Eckhart.

Le prime puntate dell'anime sono molto incisive e dai molteplici significati, seppure regnino una freddezza ed un silenzio molto marcati. In particolare ho aprezzato molto quella del poeta, quella della fuga dal mondo degli adulti e quella degli schiavisti, che consiglio a tutti quelli che cercano cose filosofeggianti e simboliche. Il problema è che dopo una partenza a bomba la serie subisce un calo progressivo di contenuti e originalità, il cui apice sono le puntate del colosseo, piene di combattimenti tra la nostra pucciosa (ma armata fino ai denti!) protagonista e il nemico di turno, che fanno sembrare molto "Kino no tabi" uno shonen di bassa fattura. Verso la fine, la serie si riprende un po' e ci propone il tema del volo come libertà dai vincoli materiali e altre tematiche abbastanza interessanti, molte volte mutuate da "Galaxy Express 999" (uomini meccanici, suicidio, guerra come intrattenimento di un'umanità malata, sadica e senza speranza di redenzione). La mancanza di un vero e proprio finale si fa sentire parecchio, per quanto l'ultimo episodio sia cinico e (in un certo senso) aprezzabile.

In conclusione, consiglio questo anime a tutti quelli che amano filosofeggiare e accendere il cervello, anche mentre sono spaparanzati sul divano. Questo prodotto è di nicchia e quindi non adatto a tutti, e la sua prolissità e staticità potrebbero scoraggiarne la visione. Dovete essere nello stato d'animo giusto per vedere "Kino no tabi", altrimenti lasciate stare. Voto: 7,5.