Il regista, attore, e comico, Takeshi Kitano (Battle Royale, Hana-bi, Outrage, Outrage Beyond) ha spesso dimostrato, parlando dello stato della società nipponica, di essere capace di una grande franchezza al limite dell'urticante. Ma forse nessuno poteva attendersi la durezza del suo intervento nella conferenza sul futuro del cinema nipponico svoltasi durante il 27° Tokyo International Film Festival poco dopo la premiazione dello stesso regista e di Tim Burton con il Samurai Award, un nuovo premio inaugurato proprio in questa edizione, che nelle intenzioni dovrebbe premiare i registi più innovativi e capaci di aprire nuove frontiere.
 
Takeshi Kitano Tokyo 2

Sorprendendo l'uditorio, Kitano non ha esitato a puntare l'indice direttamente sull'intreccio fra le major nipponiche e la proprietà dei circuiti cinematografici come una delle cause prime della debolezza del cinema giapponese che, dopo essere stato per decenni riferimento dell'intera Asia, vive un periodo di profonda decadenza, inerzia e assenza di idee originali facendo affidamento solo su adattamenti live di manga o di drama televisivi e sull'animazione. Per Kitano questo intreccio di interessi, mai denunciato dalla stampa, finisce per soffocare il cinema indipendente ed estende la sua influenza anche alle istituzioni che dovrebbero promuovere il cinema:
 
"... mi chiedo come vengano scelti i film che concorrono all'Academy Awards (per i film in lingua straniera) o come siano assegnati i Japan Academy Awards, non vorrei neppure dirlo ma nessuno dei miei film, neppure il migliore, ha mai ricevuto una nomination. Il vincitore è scelto sempre all'interno delle produzioni realizzate da Toho, Toei, Shochiku, e occasionalmente della Nikkatsu. Si suppone che i premi siano dati da un gruppo di specialisti, membri della (Japan) Academy, vorrei sapere chi sono, chi vota?. Perché hanno scelto quei film? "

Tutti gli intervenuti alla conferenza avevano lamentato lo stato disastroso della cinematografia giapponese ma nessuno era andato oltre una pura e semplice "lamentatio". Kitano invece ha affondato i colpi prendendosela anche con la stampa ed i media giapponesi e le "entusiastiche recensioni" proposte per qualunque film, anche il più scadente. Sarebbe prassi dei media nipponici, purtroppo non limitata al solo campo cinematografico, rinunciare ad un serio lavoro di critica, assumere un atteggiamento passivo di fronte agli Studios ed ai loro uffici stampa dei quali rischiano di diventare casse di risonanza pur di ottenere notizie in anteprima o peggio per evitare ritorsioni. L'intreccio fra il diretto controllo dell'industria del cinema sulle catene cinematografiche, l'assenza di una stampa critica e influente, l'inettitudine delle istituzioni rappresentano per Kitano, alcuni dei principali problemi della cinematografia giapponese.
 
Takeshi Kitano Tokyo


Le nuove generazioni di cineasti nipponici per riuscire a superare questo stato di cose devono reinventare il cinema, trovare nuove vie e nuovi modi d’espressione, non lasciarsi coinvolgere dalle major. Senza aver timore, Kitano ha fatto riferimento alla sua personale vicenda, agli anni di fatica e lavoro che hanno segnato i suoi inizi, alle sue personali delusioni:
 
"Quando ho iniziato a girare i miei film, le recensioni che avevo in Giappone sono state terribili. Tony [Rayns, presente alla conferenza] è stato il primo a dare del mio lavoro un giudizio positivo e per questo mi sento in debito ancora oggi. Quel che voglio dire [ai giovani registi] è che non potete mai sapere da chi o quando il vostro lavoro sarà riconosciuto e consiglio loro di seguire il loro cuore, girare quel che desiderano."
 
Takeshi KITANO: l'Imprevedibile



Uno dei temi della conferenza, e delle relative domande, è stato l'assenza nel cinema giapponese di storie originali, un problema molto sentito anche nella cinematografia americana, afflitta da valanghe di sequel e "saghe". In Giappone il problema è acutissimo né riguarda solo la cinematografia dal vivo, troppo spesso si cerca di esportare il successo di un progetto da un media all'altro, rinunciando a creare storie nuove, anche su questo Kitano ha una sua idea, forse troppo chiara:
 
"Perché succede questo? Soltanto perché si cerca l'audience, una facile audience. Le compagnie cinematografiche non hanno il coraggio di pagare qualche sceneggiatore poco conosciuto, perché è facile attrarre il pubblico con storie già esistenti. È per questo che non abbiamo storie originali"

Un certo scalpore ha suscitato anche "l'attacco", se così si può definire, al mondo dell'animazione, che quest'anno è il vero protagonista del Festival:
 
"Non mi piace l’animazione, non mi piace Hayao Miyazaki, ma è ovvio bisogna considerare le diverse opinioni, l’animazione fa un sacco di soldi ed è talvolta realizzata molto bene."


Durante la conferenza è stato anche chiesto al regista del suo nuovo film, a cui sta lavorando da un paio di anni, e Kitano ha clamorosamente risposto di aver terminato le riprese ma di non poter dire assolutamente nulla su di esso per un divieto esplicito della produzione.

Gli interventi degli ospiti stranieri unitisi alla discussione, Christian Jeune del Cannes Film Festival e Tony Rayns del Vancouver fest., ambedue membri della giuria internazionale, hanno puntato l'attenzione sulla necessità di dare spazio ai film indipendenti, ai giovani registi, gli unici in grado di sovvertire la decadenza del cinema nipponico e di ridargli quell'influenza che oggi ha perso a favore di cinematografie come quella coreana. Ambedue hanno raccomandato di rafforzare i canali di distribuzione attraverso i sistemi di streaming e download dei film. Tony Rayns ha risposto con grande franchezza all'uditorio:
 
"La Corea è uno stato che si trova in una fase di completa mutazione, politica, sociale ed economica. Il suo cinema riflette questi cambiamenti. In Giappone non vedo questo dinamismo. Vedo una stasi. Vedo dei vecchi politici di destra che negano la storia, e ripetono le stesse parole che si sono ascoltate negli ultimi 20, 30 e 40 anni. Credo che solo quando questo establishment verrà sfidato, solo allora potremo vedere un dinamismo simile a quello coreano."

L'intervento di Kitano non rappresenta un episodio isolato nel panorama nipponico: già diversi artisti giapponesi e registi, come l'attrice Kaori Momoi, intervenendo all'Okinawa International Movie Festival, ed il produttore Kazuyoshi Okuyama, hanno criticato lo stato del cinema giapponese. La Momoi, personaggio poliedrico e piuttosto noto che ha lavorato con i maggiori registi giapponesi, da Kurosawa a Takashi Miike e anche con Quentin Tarantino, ha parlato apertamente di declino del cinema nipponico e della necessità di impegnarsi per una sua forte rinascita e rigenerazione.

Fonti Consultate:
Screendaily
Variety
Tokyoreporter