“Sognare sogni non ancora sognati”, è questo che ci promette, anzi, ci permette, un film della densità di Paprika. Vera e propria 'irruzione controllata' della fantasia nel reale, Paprika, a quasi un decennio dalla sua uscita, resta il preziosissimo lascito di un genio.
Osservare i sogni di un altro dall'esterno, fino a potervi penetrare: desiderio proibito della psicoanalisi o futuro prossimo dell'ingegneria biomedica? Senz'altro un topos narrativo frequente nella letteratura nipponica del decennio scorso, declinato da Satoshi Kon secondo una personalissima cifra stilistica: si tratta di una sorta di realismo onirico in cui il parto fantasmagorico dell'immaginazione trova sempre un contrappeso adeguato nella rappresentazione razionale del mondo. Se si può parlare di visionarietà in Paprika, essa è dannatamente lucida.
Lontana è la genesi del capolavoro di Kon. Nel 1991, Yasutaka Tsutsui pubblica il romanzo omonimo; nel 1998, Kon pensa a una possibile trasposizione animata, ma getta la spugna di fronte alle difficoltà insite nell'adattamento; tuttavia, nel 2003, è lo stesso Tsutsui a chiedere a Kon di provarci. Il regista intravede nella proposta un segno del destino, e si lancia nell'avventura, sotto l'egida della 'Casa dei Matti'.

Satoshi Kon sceneggia la storia assieme a Seishi Minakami e contemporaneamente ne cura lo storyboard. Inserire un florilegio grafico nel tessuto connettivo di un impianto narrativo coerente è stata la sfida, combattuta e vinta, del regista. Quando il film, completato sul fil di lana dopo quasi tre anni di lavorazione, viene presentato in anteprima alla Biennale, pubblico e critica sono concordemente entusiasti. È il 2006, di lì a poco la pellicola sbarcherà in Giappone.

Futuro prossimo. La psicoterapeuta Atsuko Chiba è il fulcro di un'équipe di ricerca che lavora attorno alla geniale invenzione del dr. Tokita Kōsaku: si tratta delle DC Mini, sorta di interfacce neurali che, grazie all'interazione con delle macchine per la psicoterapia, permettono all'analista di introdursi nei sogni dei pazienti, oltrepassando così le resistenze offerte dai filtri di qualsiasi resoconto cosciente. Il sistema è in fase sperimentale, ed è proprio la dottoressa Chiba a vagliarne le caratteristiche e le criticità, intrufolandosi nei sogni degli analizzandi sotto le dissimulate vesti di Paprika, una diciottenne dall'irresistibile sensualità e dal carattere significativamente oppositivo rispetto alla gelida severità di Chiba. Il piglio fantascientifico della storia vira però rapidamente verso l'intrigo, quando tre DC Mini vengono trafugate dal laboratorio. I sospetti si concentrano dapprima su Himuro, assistente ed amico del dr. Tokita di cui si son perse le tracce, ma presto il caso rivela tutte le sue incognite, costrigendo Chiba/Paprika a incursioni oniriche sempre più pericolose ed estenuanti. Il collasso sembra vicino allorché il misterioso ladro sfrutta gli apparecchi terapeutici per condurre alla follia i membri del gruppo di ricerca.
Il rischio di non svegliarsi dal sogno fa il paio con quello di non saper più distinguerlo dalla realtà, come nel racconto di Zhuangzi e della farfalla.
 
paprika satoshi kon

Molteplici sono le suggestioni della pellicola, così intrisa dei capisaldi della poetica di Kon. In primis senz'altro il rapporto tra reale e immaginario, esplorato attraverso le sortite nel territorio di confine del sogno. L'ambiente onirico ricreato da Kon è una realtà al contempo sufficientemente strutturata e virtualmente fluida. Che tipo di inconscio ci restituisce Kon? È qualcosa di squisitamente privato, un luogo di comunicazione interpersonale più profonda e stratificata rispetto all'interazione quotidiana, o è il 'deposito' iconografico di un immaginario collettivo? Entrambe le cose. Un inconscio fatto di ambienti esplorabili come in un 'sogno a occhi aperti', ma sempre pronto a scivolare nel linguaggio caotico delle profondità, a dare il la ad una parata onirica. La processione fantastica ricorrente nei sogni di Paprika ospita oggetti a metà tra l'animato e l'inanimato, icone culturali attinte dal pop nipponico e occidentale così come dalle rispettive tradizioni storiche, religiose, artistiche. «Tutto il mondo sta sognando». Siamo consumatori di immagini. Le immagini ci stanno consumando. Intorno a noi, sul web, al cinema, il carnevale dei media più o meno nuovi e sociali è un'immensa sfilata di immaginari. La nostra posizione è sempre più quella degli spettatori. Ma è vero anche l'inverso. Di questa pellicola collettiva siamo i proiettori più o meno inconsapevoli.
È proprio il carattere immaginifico, proiettivo, regressivo del sogno che permette di metterlo in connessione col cinema, altro 'pallino' di Kon. Andare al cinema come sognare, il cinematografo come un ambiente amniotico: luci spente in sala, e lo straordinario si sostituisce al quotidiano. Il tempo di vedere un film è l'atto di sospendere il tempo. Ma Paprika è anche la storia di sogni totalmente privati, in cui l'altro è soltanto il doppio di se stessi. In Kon l'alter ego è l'altra faccia della medaglia dell'Io. Così il doppio della coscienza non può che essere il sogno. Un luogo dove non sono ammessi «gli abitanti del giorno».

«La scienza è spazzatura, una cosa inutile di fronte all'immensità di un sogno». C'è in Paprika un reverente stupore verso i sogni. Ma la presenza sulla scena di dispositivi tecnici e terapeutici sgombra il campo da ogni interpretazione 'fiabesca' dell'onirico. È interessante, a mio avviso, tornare sulla figura della Atsuko psicoterapeuta e sulla sua doppiezza.
Le DC Mini sembrano manna dal cielo per la psicoterapia, ma non lo sono. Un uso accorto di esse presuppone un'enorme capacità di controllo. Proprio perché intrufolarsi nei sogni degli altri espone al rischio del 'contagio mentale'. Dall'empatia all'identificazione, fino all'intromissione consensuale nei recessi più nascosti della mente del paziente, il rischio è costante: entrare senza filtri nel sogno di un paziente psicotico espone a un'insidiosa minaccia.
Poiché “lo sforzo di rendere l'altro folle” è l'estremo strumento di salvezza nelle mani dello psicotico. Chiba, Tokita, Himuro, il dr. Shima rischiano di finire risucchiati in un'insalata di parole in libertà e di fotogrammi impazziti. Non è solo il sogno a confondersi con la realtà, ma è il cinema a confondersi con la sua messinscena. C'è bisogno di filtri, per osservare se stessi? Di un asse di ripresa che mantenga la distanza tra osservatore e osservato?
O c'è bisogno, piuttosto, dell'umanità di una guida?
La guida ideale nei meandri dell'inconscio è la stessa Paprika, senza dubbio. Ma di che cosa è nome 'Paprika'? Della pulsione erotica, dell'Es, dell'inconscio? Certo. Ma non si può parlare di Paprika senza parlare al contempo di Chiba.
Il film di Kon è anche la storia personale di una psicoterapeuta attraversata da un'inevitabile ambivalenza.
Paprika è Chiba che si immerge nei sogni per vincere le resistenze altrui, ma, soprattutto, per oltrepassare le proprie. Niente interpretazione del materiale onirico, ma immersione e ricerca di complicità. Ricerca della propria natura di donna. Fondamentale è per la dottoressa la maturazione del rapporto con Tokita. Atsuko cerca l'uomo dentro il bambino, e At-chan cerca il bambino dentro l'uomo.
 
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Kon e Madhouse offrono con Paprika uno spettacolo eccellente anche dal punto di vista tecnico. Se il character design è inevitabilmente variegato, spaziando dal realistico al caricaturale, in versione al di qua e al di là dello specchio, colpisce la cura degli ambienti e dei dettagli, e le animazioni sono al passo con lo stato dell'arte, alternando dinamicità e morbidità. L'accompagnamento sonoro, a cura di Susumu Hirasawa, è pregevole e sempre aderente alle scene.
 
Paprika racconta un sogno attraverso un sogno.
Riuscire a vedere il sogno di un altro, tuffarcisi dentro, è un po' come giocare in uno spazio piccolo quanto un interstizio e, come l'universo, immenso. La coscienza è poca cosa di fronte alla vastità dell'inconscio.
Ma non è tutto.
“L'inconscio è femminile”, qualcuno ha detto. Per questo Paprika/Atsuko ne è la personificazione.
Al mondo non va rivelata la dimensione smisurata del sogno, perché ne potrebbe impazzire. Il sogno, il femminile, l'inconscio sono ciò che non può essere assimilato, ciò che non obbedisce alla follia del controllo. Questo sembra suggerire il filosofico finale.
Infine, quello di Kon è inevitabilmente un 'inconscio pop', tanto che il regista sembra indicare che la forma postmoderna del desiderio sia un caleidoscopico consumo d'immagini.
Ancora, Paprika assume spesso la stessa struttura del sogno: ricorsiva, ossessiva. Gioca col tempo, gioca col movimento.
Il sogno si fa tanto cinema quanto cyberspazio. Se il sogno di Kon è permeato dal virtuale, si tratta di una virtualità generatrice di effetti sul reale. La compenentrazione di sogno e realtà mostra dunque tutto il peso del realismo visionario di Kon. In fondo, la realtà è una cicala fuoriuscita dal guscio di un sogno.