Prosegue la rubrica in cui presentare le opere più apprezzate dai recensori di AnimeClick.it di un determinato periodo, filone o genere.
In questo appuntamento raccogliamo tutti gli anime compresi tra il 1980 e il 1989. A seguire, una raccolta di recensioni di alcuni dei titoli in classifica.

Siete d'accordo con la classifica? Oppure ci sono opere sopravvalutato o manca qualche titolone imperdibile?
 
 
1 Maison Ikkoku 9,208
2 Legend of Galactic Heroes 9,105
3 La tomba delle lucciole 9,042
4 Macross 8,950
5 Mobile Suit Gundam - The Movie Trilogy 8,857
6 Mobile Suit Gundam 0080 - War in the Pocket 8,769
7 Capricciosa Orange Road 8,768
8 Lamù 8,750
8 Ken il guerriero 8,750
10 Il mio vicino Totoro 8,731
11 Lovely Sarah 8,682
12 La regina dei mille anni 8,667
13 Akira 8,582
14 Rocky Joe - L'ultimo round 8,545
15 C'era una volta Pollon 8,529
16 I cavalieri dello zodiaco 8,468
17 Devilman OVA 8,467
18 Capitan Harlock - L'arcadia della mia giovinezza 8,462
19 Nausicaä della valle del vento 8,450
20 Georgie 8,423
21 Touch 8,368
22 Baldios 8,357
23 Transformers the Movie 8,333
24 Dragon Ball 8,309
25 Ranma 1/2 8,259
25 Lamù - Beatiful Dreamer 8,259
27 L'incantevole Creamy 8,250
28 Tenshi no tamago 8,214
28 Punta al Top! Gunbuster 8,214
30 Goshu il violoncellista 8,200
31 Carletto, il principe dei mostri 8,167
32 I predatori del tempo 8,154
33 Piccolo Lord 8,125
33 Siamo in 11! 8,125
35 Kiss me Licia! 8,111
36 Macross - Do You Remember Love? 8,100
36 Dr. Slump & Arale 8,100
38 Mila e Shiro 8,100
38 Hello Spank 8,100
40 Le avventure della dolce Katy 8,091
41 Glass no kamen - Il grande sogno di Maya 8,083
42 City Hunter 8,081
43 Tom Story 8,000
43 Lo strano mondo di Minù 8,000
43 Principessa dai capelli blu 8,000
43 Space Runaway Ideon 8,000
43 Lucy May 8,000
43 Cuore 8,000
49 Kiki consegne a domicilio 7,971
50 Laputa, il castello nel cielo 7,951
51 Ransie la strega 7,947
52 Flo, la piccola Robinson 7,929
53 Il fiuto di Sherlock Holmes 7,923
54 Una per tutte, tutte per una 7,909
55 Aura Battler Dunbine 7,900
56 Nanà Supergirl 7,889
57 The Ideon - Be Invoked 7,875
57 Lalabel 7,875
59 Dash Kappei - Gigì la trottola 7,867
60 Ruy, piccolo Cid 7,857
60 Don Dracula 7,857
60 Fang of the Sun Dougram 7,857


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Nella filosofia politica è ormai opinione più o meno condivisa, a destra come a sinistra, che un eccessivo clima di benessere, portato da governi democratici, presto o tardi indirizzi al tramonto la civiltà, così drogata di piacere da perdere di vista valori e morale, legittimando di fatto la debolezza dello stato e la conseguente corruzione del governi. D'altro canto, però, non sono pochi i governi autoritari nati con le migliori intenzioni e forti del quasi totale supporto popolare che, pur attuando riforme più significative di una democrazia corrotta, poi finiscono anch'essi nell'irrigidirsi nel proprio potere assoluto, perdendo di vista gli obiettivi primari e condannando i loro popoli a lunghi periodi di stagnazione e immobilità politica ed economica. Se nell'arco di meno di un secolo, oggi, nel mondo reale, la politica internazionale ha designato senza appello la democrazia come miglior governo possibile tra quelli imperfetti, a suo modo di vedere adattabile a qualsiasi situazione sociale a prescindere dalle culture e dalla Storia dei popoli, chissà se tra qualche millennio la si penserà ancora così. Si tratta di dibattiti e riflessioni che faranno discutere per sempre storici e politologi, come dimostra, in un lontano XXXVI secolo spaziale, il tenente Yang Wen-li dell'Alleanza dei Pianeti Liberi, protagonista di quella che, per chi scrive, è la più adulta e matura produzione animata di sempre.

Fedele, lunghissima serie OVA (la più lunga della Storia: 110 episodi) che traspone il ciclo di romanzi scritti tra l'82 e il 1987 da Yoshiki Tanaka, "Legend of the Galactic Heroes" è scontro materiale, psicologico e ideologico, tra due punti di vista: quello di un giovane ammiraglio imperiale, Reinhard von Müsel, deciso a far tornare alla gloria un impero secolare ormai sulla via del tramonto; e appunto quello di Yang Wen-li, appartenente a un'Alleanza delle Repubbliche Unite, quest'ultima ormai preda di corruzione e degrado. Il secondo, privo di ambizioni ma dal grande genio strategico, sceglie la vita militare solo perché è l'unico modo per mantenersi: avrebbe voluto in verità fare lo storico di professione, tanto che il suo hobby è contestualizzare nella sua epoca l'intera Storia dell'uomo. Quello di Yang è un punto di vista in perenne evoluzione, che vuole capire il mondo: si rende conto che democrazia e dittatura non sono altro che governi che nascono, vivono e muoiono alternandosi continuamente e adattandosi alle situazioni culturali, storiche e geografiche, e non sa capire se, con il grande potere militare di cui presto entrerà in possesso, è giusto assecondare l'uno o l'altro; se mantenere in vita la democrazia ormai agonizzante di una sua Patria ormai ridotta al marciume, pur di tramandarne i valori ai posteri, o consegnarla ai nemici imperiali ora che questi stanno concentrando il loro potere in un giovanissimo genio, Reinhard, attorniato dai più capaci soldati dell'Impero, che sta rivoluzionando il sistema e trovando, pur al costo della sua dittatura, un'unanime acclamazione popolare, uno di quei sovrani illuminati che nascono una volta ogni mille anni. Il punto di vista di Reinhard, il "Marmocchio Biondo", invece, è quello di un giovane nobile indignato dai soprusi e dall'ipocrisia dei suoi simili, che mirando al potere assoluto, alla corona del Kaiser, intende riformare da zero l'assetto dell'impero, renderlo più giusto ed egualitario verso i cittadini, improntandolo all'ordine, all'onestà e alla meritocrazia. Per i suoi scopi dovrà però essere pronto a versare sangue (e molto), eliminare i suoi avversari politici per edificare solide fondamenta al suo potere, vincere le battaglie con l'Alleanza per fortificare la sua autorità, fare i conti con la sua coscienza riguardo ai milioni di corpi che cadranno sotto di lui. "Legend of the Galactic Heroes" è la storia di due eroi, diversi tra loro ma dalla grande caratura morale, le cui vite e battaglie, protagoniste assolute nel turbolento flusso della Storia, si incrociano influenzando le sorti dell'intera galassia.

Si parla di 110 episodi basati quasi interamente su dialoghi e battaglie spaziali tra gigantesche flotte di astronavi, con ogni puntata che mostra ora la fazione repubblicana, ora quella imperiale, discutere della situazione politica e militare in cui si trova, ipotizzare quali saranno le mosse nemiche, riflettere sui propri obiettivi, o anche solo combattere internamente, nella propria patria, contro intrighi di palazzo, colpi di stato o terrorismo da parte di terzi. Una lunga serie basata su interazioni tra personaggi e riflessioni sull'uomo, sull'etica dello Stato, sul come governare in nome del popolo (che non è sempre il frutto di libere elezioni, ma anche di un'autocrazia forte che elimina le fondamenta marce di un governo democratico impresentabile), ma spesso anche solo sulla vita personale dei due splendidi protagonisti, che vedono riflettere in essa le conseguenze delle proprie azioni. Chi scrive identifica l'opera per davvero, insieme al dimenticato Dougram, suo ideale precursore, come la più profonda mai partorita dall'animazione, dove la filosofia politica, quella vera, non è semplice apparenza per dare tono, ma è davvero il mezzo per far riflettere lo spettatore sul relativismo che governa le coscienze umane e i loro diversi punti di vista. Manca un qualsiasi tentativo di ricondurre le parti ai ruoli di buoni e cattivi: si raccontano le vite di due popoli estremamente diversi tra di loro, accumunati dall'orgoglio per la propria patria e il proprio governo, che lottano, uccidono, e all'occorrenza torturano o condannano a morte perché convinti dalla bontà della loro causa. I militari non sono solo sadici violenti, guerrafondai e approfittatori, ma anche e sopratutto persone del tutto normali, simpatiche, umanamente meritevoli, alle prese con la famiglia e le proprie amicizie: affettuosi padri di famiglia, onesti lavoratori, timidi soldati etc, che come chiunque altro possono avere scrupoli di coscienza in quello che fanno ma lo fanno lo stesso, perché loro per primi ci credono fermamente. Non c'è alcun artificioso e pretestuoso tentativo di fare la morale alle azioni di chicchesia, si viaggia nei territori di un ineccepibile realismo dei comportamenti.

Una tale, poderosa espressività che non può che soddisfare le sue ambizioni attraverso le caratterizzazioni e le interazioni dialogiche più memorabili: forte di un cast massiccio che non si vedrà più da nessun altra parte (la fine della serie regista al suo attivo più o meno 150 personaggi), "Legend of the Galactic Heroes" è pronto a consegnare all'altare della Storia individualità scolpite nella roccia, carismatiche al punto da imprimersi indelebilmente alla memoria, per mai più dimenticarsele. Se i due protagonisti principali, su cui si regge l'intera trama, sono indubbiamente Yang Wen-li e Reinhard, il macrocosmo di comprimari che gravita attorno loro raggiunge numeri e profondità impensabili, trovando individui capaci da soli, in virtù della loro fortissima personalità, di reggere ipoteticamente il peso di un'intera serie. Non si può non affezionarsi sinceramente a molti dei loro compagni in armi, all'allegro e riflessivo Rusty Attenborough, al timido Julian Minci, ma sopratutto ai sottoposti di Reinhard, tra un valoroso al contempo umile ammiraglio Wolfgang Mittermeyer, il suo ambizioso e ambiguo collega Oskar von Reuental o l'astuto calcolatore Paul von Oberstein (perfetta incarnazione del Principe machiavelliano nella sua assoluta mancanza di scrupoli nell'applicare la ragione di stato); ma sono solo le punte di diamante di un cast mastodontico e sempre caratterizzato in modo fantastico. Coerentemente con questo è perfetto il realismo nella costruzione dei rapporti interpersonali, così umani, privi di sensazionalismo o ricerca di facile spettacolarità, da bucare lo schermo creando un'empatia sempre sincera e devota. Shimao Kawanaka e, di riflesso, l'autore originale dei romanzi Yoshiki Tanaka, compiono un autentico miracolo di sceneggiatura nel tenere inchiodata l'attenzione dello spettatore in una lunga serie fittissima di dialoghi, il cui interesse risiede proprio in se stessi, nel conoscere le strategie che partoriranno le due parti, chi vincerà tra Reinhard e Yang nella loro battaglia generazionale, e sopratutto qual è, se è possibile stabilirlo, il punto di vista tra i due più condivisibile. Invece di inventare a casaccio un background politico/spaziale e far agire in esso gli attori, come se quest'ultimo non fosse poi così importante, "Legend of the Galactic Heroes" lo esplora minuziosamente, con lenti ritmi per permettere allo spettatore di non perdersi nella mole abnorme di date, luoghi e nomi: gli dà forma, poco per volta, con dialoghi e discussioni atti a caratterizzarlo, ma anche con veri e propri documentari storici, guardati dai personaggi per darsi una ripassata della Storia e della cultura dei luoghi. È quasi sconvolgente come la trasposizione di una lunga saga letteraria di 10 romanzi sbarchi in animazione senza perderci quasi in nulla, resa così bene, così approfondita, che presto si inizia a conoscere a tal punto le posizioni strategiche di città, stati e corridoi spaziali che è possibile capire o addirittura anticipare le strategie militari, ragionando, come farebbero i protagonisti, su quali saranno le conseguenze di ogni azione. Si raggiunge un livello di empatia e coinvolgimento raramente eguagliati. Medesima cura è rivolta alla caratterizzazione grafica delle due fazioni, ognuna ben rappresentata da abbigliamenti, rituali politici e addirittura inni nazionali, sopratutto l'Impero Galattico, plasmato sulle gerarchie sociali e il vestiario del regno prussiano del XIX secolo.

Esaurite le lodi che meritano i suoi contenuti, "Legend of the Galactic Heroes" non può esimersi dal venire giudicato per i semplici orpelli tecnici e grafici, pratica abbastanza inutile visto che, se anche fosse tecnicamente realizzato male, rimarrebbe comunque un capolavoro per profondità narrativa. Fortunatamente anche in questo è inattaccabile, trovando una confezione all'altezza: oltre a un ineccepibile lavoro di doppiaggio da parte dei seiyuu giapponesi, può vantare un buon lavoro in animazioni (seppur, per ovvie ragioni, nulla di trascendentale: del resto a cosa servono in una storia che fa dei dialoghi il suo punto di forza?) e di un chara design di pregevolissima fattura, realistico e particolareggiato, anche se, vista l'enorme lunghezza della serie, spesso rimaneggiato dalle diverse filiali dei due studi Artland e Magic Bus, e la cosa si nota spesso in cambiamenti abbastanza vistosi, dove di punto in bianco i volti diventano più "plasticosi" e patinati (ma rimangono giusto quisquilie che nulla tolgono alla gioia estetica generale). L'accompagnamento musicale, d'altro canto, è di livello altissimo, forte non solo delle tracce musicali di Shin Kawabe ma anche dell'uso, per la sua quasi totalità, di composizioni di Mozart, Beethoven, Mahler, Nielsen, Hellmesberger, Brahms, Tchaikovsky e altri compositori classici/romantici con risultati facilmente intuibili nel rendere maestose le scene più importanti della storia. Da notare anche la maturità del regista del non risparmiarsi in scene di sesso o di violenza brutale e disturbante visto il tenore "adulto" della storia, ma questo era scontato essendo una produzione riservata all'home video privo di paletti di censura.

Opera d'arte nel senso più nobile del termine, mai così tanto oggi dove è fin troppo facile leggere la parola "capolavoro" accostata a qualsiasi cosa, "Legend of the Galactic Heroes" è un affresco indimenticabile di personaggi, ma sopratutto un trattato ricco, ricchissimo, di chiavi di lettura e riflessioni sul significato della politica, dei meccanismi del potere, dell'uomo, della Storia e dei pregi e difetti dei due principali regimi politici; riflessioni che risaltano proprio in quest'epoca, quando è ancora radicato l'assunto teorico di un assetto politico mondiale democratizzato, adattabile a qualsiasi situazione. Chi ama la politica e la sua filosofia inevitabilmente non può non reputare l'opera come la più stimolante, bella e riuscita mai dedicata all'argomento, che non sfigurerebbe, a mio parere, neanche se accostata a certi classici della letteratura: visione semplicemente irrinunciabile, spettacolare nella sua totale mancanza di prevedibilità che rende la storia appassionante e incerta fino alla fine, nonostante, per ovvie ragioni, riservata unicamente a un pubblico ben preciso, che sa cosa vuole, che non ha problemi con un ritmo estremamente lento e divulgativo e che intende tratteggiare, con dovizia di particolari, background e personaggi (e nonostante questo mai, neanche una volta, lontanamente noioso, addirittura si finisce col rimpiangere che duri "solo" 110 puntate da quasi mezz'ora l'una). Da guardare dopo il lungometraggio introduttivo che esce pochi mesi prima, il pregevolissimo, "My Conquest is the Sea of Stars", mentre del tutto ininfluenti sono, per quanto piacevoli, l'ammasso di prequel animati usciti a posteriori, che raccontano l'infanzia dei protagonisti, e il lungometraggio "Ouverture to a New War", che espande la storia dei primi due episodi.


10.0/10
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Le vicende di "Princess Sarah" avvengono nella tetra Londra vittoriana. Sarah Crewe è la figlia di una ricca famiglia Inglese residente in India, e da poco si è trasferita in Inghilterra, presso il rinomato collegio femminile di Miss Minchin. All'intelligente Sarah, orfana di madre, rimane sono più il padre, il quale, una volta portata la figlia al collegio, è costretto a tornare in India per lavoro. In seguito ad una disgrazia, avrà inizio la triste e drammatica avventura di Sarah, la quale diventerà poverissima; una vera e propria schiava, maltrattata e derisa dai suoi ipocriti, invidiosi e spietati aguzzini: Miss Minchin, Miss Lavinia e i loro rispettivi lacché. Le crudeltà che dovrà subire la piccola la porteranno addirittura ad un passo dalla morte...

"Princess Sarah" è l'adattamento animato operato dalla Nippon Animation del romanzo "La Piccola Principessa" di Frances Hodgson Burnett. Si tratta di un meisaku molto incisivo ed angoscioso, nel quale le disgrazie e la cattiveria umana raggiungono livelli decisamente più elevati rispetto agli standard delle altre opere dello stesso genere. Se queste ultime erano leggermente mitigate ed addolcite, nonostante l'asprezza e la drammaticità delle vicende trattate, "Princess Sarah" non conosce freni inibitori: è uno degli anime più crudeli che abbia mai visto; ma non crudele nel senso estetico e tragico del termine; crudele giacché quello che l'opera ci propone è realmente esistito: il tutto è realisticamente plausibile nelle modalità con le quali viene rappresentato. Nell'Inghilterra vittoriana la schiavitù e lo sfruttamento minorile erano all'ordine del giorno, così come la distinzione abissale tra ricchi e poveri (purtroppo in molti paesi del mondo queste cose esistono ancora); ed ecco che nell'anime, così come nel romanzo, emerge una forte denuncia del lavoro minorile, nonché una feroce critica all'ipocrisia, congiunta alla palese condanna dell'infelice equazione "essere uguale avere". Infatti, basta poco a far cambiare l'atteggiamento della spietata Miss Minchin nei confronti di Sarah: il sopraggiungere della povertà e dell'indigenza; il fatto che quest'ultima diventi, da potenziale "principessa dei diamanti", un indifeso essere caduto in disgrazia in un mondo di predatori e prede.

La piccola Sarah, nonostante la sua caratterizzazione cliché di bambina-archetipo incondizionatamente buona e gentile con tutti - anche con i suoi carnefici - è soltanto una bambina; è l'innocenza fatta a persona; e c'è qualcosa di estremamente adulto in quello sguardo così nobile e profondo. Contrariamente alla suddetta, gli altri personaggi sono invece sin troppo umani (questo è uno dei rari casi in cui durante la visione mi sembrava di aver di fronte persone vere, e non personaggi fittizi). In primis Lavinia, una bambina in grado di compiere cattiverie talmente pesanti - e allo stesso tempo sottili - da mettere a disagio lo spettatore più sensibile: ella è un personaggio chiave, in grado di motivare il suo odio viscerale verso Sarah con una lucida consapevolezza che la macchia di un estremo e genuino cinismo; cinismo abbastanza inquietante, poiché viene esternato da quella che dovrebbe essere una pura e semplice bambina. Lavinia sa di essere ciò che ha, e sa anche che nel suo mondo contano soltanto le apparenze. Lavinia sa che bisogna primeggiare in tutto, altrimenti si viene considerati dei "signor Nessuno". Lavinia sa che Sarah non è una persona debole come lei, giacché ella sopporta tutte le sue umiliazioni senza mai provare emozioni negative, senza mai ribellarsi, senza mai scegliere di percorrere le facili vie del rancore e della vendetta. Il seguente dialogo a mio avviso è uno dei momenti più significativi dell'opera:

Ascolta Lavinia, è da tanto tempo che voglio chiedertelo: perché sei così cattiva con Sarah? Che cosa ti ha fatto? Perché la odi così?
Davvero ti interessa tanto sapere perché odio Sarah?
Sì, Lavinia.
Ti sbagli: adesso non la odio affatto.
Eh?
A dire il vero, la prima volta che mi è comparsa davanti l'ho odiata immensamente. Vedi, io sono sincera e lo ammetto. E l'ho odiata innanzitutto perché era più ricca di me, perché parlava francese meglio di me, e anche perché era decisamente più bella di me. Ma adesso le cose sono nettamente cambiate. Sarah è diventata terribilmente povera, e non ha più nulla. Quanto al francese, che cosa se ne può fare una semplice sguattera? Inoltre i suoi bei vestiti si sono trasformati in miserabili stracci, e non può essere bella così.
Ma allora, perché, Lavinia?
Se vuoi proprio saperlo, Margherita, perché nonostante quello che ha passato e che passa ogni giorno è serena, e io al suo posto sarei disperata, capisci? E' ancora lei la più forte, ancora lei! (e se ne va via, rabbiosa).


Ma non è solo Lavinia che viene scrutata nella sua inflessibile coerenza. Anche Miss Minchin, uno degli esseri più ipocriti, odiosi, crudeli, ottusi e spietati dell'animazione giapponese verrà messa a nudo. Ella è reduce da un passato fatto di povertà e di stenti, ed è arrivata a dirigere un collegio d'elité solamente mediante i propri sforzi. Ora le sofferenze passate hanno ucciso la sua consapevolezza, la sua coscienza, la sua umanità - si pensi al dialogo tra Sarah e Amelia, la sottomissiva ed impacciata sorella della carnefice -. In un certo senso, Miss Minchin si rivelerà essere anch'essa una delle "vittime" di un determinato modo di pensare e, sopratutto, di discriminare le persone. La suddetta a mio avviso non ha la raccapricciante e disumana consapevolezza di Lavinia. E' una macchina che agisce applicando con celerità le universali leggi del profitto, dell'ipocrisia e dell'indifferenza. Una carnefice che a sua volta è stata una vittima.
E poi ci sono loro, quelle persone che ti amano per ciò che sei, indipendentemente dalla tua classe sociale e da tutte le altre etichette che tutt'oggi regolano un mondo palesemente fondato sull'apparenza. C'è la tenera sguattera maltrattata da tutti, Becky, sempre pronta a difendere Sarah e a piangere per lei, pur sapendo di andare incontro a disumane punizioni; c'è Peter, vero e proprio ragazzo di città abituato sin da piccolo a destreggiarsi nei quartieri più malfamati di Londra; c'è Lottie, una bambina piccolissima che considera Sarah come una madre; c'è la timida, impacciata e senza talento Ermengarde, la quale tuttavia riuscirà a salvare la vita della sua cara amica caduta in disgrazia, dimostrando una grande umanità. Questi personaggi sono resi benissimo, e allo stesso modo degli antagonisti, anch'essi paiono "vivi"; sono persone che sicuramente ognuno di noi ha incontrato nella sua vita, allo stesso modo di quegli aguzzini più o meno spietati che sfruttano, ingannano, invidiano, scambiano l'apparenza per la sostanza, rovinano la gente onesta.
Ci si affeziona ai personaggi di "Princess Sarah", e a visione conclusa si prova un forte senso di vuoto.

La sceneggiatura è molto impressiva, siccome alterna momenti che paiono soffici e pacati con delle impreviste scariche di violenza - sia fisica che psicologica - cariche di drammaticità. Le vicende iniziali dell'anime, ad esempio, sono abbastanza anonime e scontate, e non fanno affatto intuire il calvario che avrà luogo dopo l'undicesima puntata. Molte volte nel corso della serie i momenti carichi di speranza verranno improvvisamente soffocati nel pianto e nella disperazione.
La regia è di gran classe, sempre pronta a catturare l'epressione dispiaciuta, la lacrima trattenuta, gli sguardi che valgono più di ogni parola. Una regia che, allo stesso modo della sceneggiatura, sfrutta l'apparente calma per rendere ancora più tormentosa la successiva tempesta. Riguardo ai disegni e alle animazioni, l'opera è indietro di dieci anni: i fondali sono scarni, ma allo stesso tempo efficaci; il character design è anch'esso tipicamente anni settanta, e vanta di una grande espressività. Sono da notare alcuni riferimenti ad opere fiabesche come "La fiammiferaia" e "Cenerentola", che contribuiscono a fornire all'anime gradevoli risvolti atavaci ed archetipali.

Volendo ancora riflettere sull'essenza della dolce Sarah, ella indubbiamente è una principessa; lo è dentro, nel profondo, e preferisce subire tutte le angherie di cui è oggetto rimanendo sempre fedele al suo nobile, esagerato e talvolta caricaturale buonismo. Nel romanzo, ella la tentazione di ribellarsi ce l'aveva, ed ogni tanto rispondeva alle numerose provocazioni ed ingiustizie subite; tuttavia, gli autori dell'anime hanno preferito renderla più affine ad una remissiva bambina dai modi tipicamente giapponesi; una bambina indifesa e senza il potere necessario a ribellarsi, la quale è obbligata a rimanere nel collegio anche per motivi estremamente pratici (deve ricevere la lettera dalla polizia di Bombay per accertarsi dei fatti accaduti al padre). A mio avviso, oltre alle atmosfere plumbee e dense di un grigiore opprimente, è proprio il marcato contrasto tra l'innocenza di Sarah e la cattiveria dei suoi aguzzini che rende la visione oltremodo angosciosa. Detto ciò, con il suo illuminato gesto finale Sarah ha dimostratato di essere una vera principessa sino alla fine; e anche i suoi antagonisti sono rimasti fedeli a loro stessi sino alla fine: cambierà soltanto il loro atteggiamento, ma non avverrà alcuna redenzione.

In conclusione, questo è uno dei migliori meisaku che abbia mai visto, e concordo pienamente con l'ottima valutazione degli spettatori di TV Asahi, che lo piazzano tra i cento migliori anime di sempre. Certamente "Princess Sarah" è una di quelle serie molto coinvolgenti che sono in grado di far appassionare un'ampia fetta di pubblico: uomini, donne, bambini e anziani. E' difficile non rimanere col fiato sospeso mentre si seguono le tanto drammatiche quanto ordinarie vicende di Sarah e dei suoi cari amici.


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Siamo negli anni '80, precisamente nel 1982. Ebbene si, Matsumoto ci fa un grande regalo che ancora oggi è in grado di stupire persone che non lo hanno mai conosciuto. Il protagonista è riconoscibile fin da subito: si tratta del giovane Harlock, colui che in futuro diventerà il pirata perseguitato dal governo terrestre.
E' incredibile la perfezione di questo lungometraggio, incredibili sono i sentimenti e le azioni che vi trovano spazio nel giro di due ore circa, sì da tenere incollati allo schermo lo spettatore e lasciando alla fine un senso di vuoto e soddisfazione frammisto a malinconia. E' il senso delle opere matsumotiane, che qui trova una piena realizzazione.
Cronologicamente il film narra la nascita del pirata spaziale Harlock, le vicende della costruzione ed inaugurazione dell'Arcadia, la nascita della profonda amicizia tra Harlock e Tochiro, i segreti più profondi di Harlock, i suoi più profondi sentimenti.
La Terra del passato di Harlock è occupata dagli Umanoidi, scenari di distruzione e di guerra predominano in quest'opera, dove prevalgono i colori del grigio delle rovine in cemento, del rosso del sangue dei terrestri invasi e del nero dell'immenso e sconfinato universo.
I terrestri che vengono descritti qui sono ben lontani da quelli della prima serie di Capitan Harlock: un'umanità ancora intatta nei suoi valori morali e nelle sue virtù d'animo viene ancora protetta dall'Ombra di Morte, un'astronave di evacuazione al cui comando presiede l'abile pilota Harlock, viene ancora sostenuta dalla voce leggiadra e colma di speranza di un'emittente radiofonica abusiva. Spera nel domani, quando il sole sorgerà di nuovo, cerca di non perdere mai la speranza... l'accorato appello della giovane speaker incarna appieno quello che un giorno Harlock deciderà di incarnare: il difensore dei pochi valori buoni che val la pena di difendere.
Per buona parte del film si svolge l'evoluzione di Harlock da uomo privo di speranza seppur integro moralmente e pieno di onore a campione che combatte da ribelle contro migliaia di astronavi umanoidi alla ricerca di un pianeta ideale in cui vivere. La svolta sta nell'incontro con l'amico Tochiro: la scoperta di invisibili fili del passato che li accomuna, attraverso un misterioso libro che narra di affascinanti avventure di antenati che combatterono per la pace fin dalla seconda guerra mondiale a bordo dei loro caccia, la promessa di riuscire un giorno a metter piede insieme sulla Luna, bella ed irraggiungibile.
L'Arcadia, possente creazione di Tochiro, è destinata al mantenimento di una promessa, fatta tanto tempo fa, tra due uomini che combattevano con i loro mezzi per la pace, gettandosi in imprese impossibili, ma fattibili finchè ci si crede.
Da non trascurare inoltre il grande ruolo occupato in questo lungometraggio dalle figure femminili, Emeralda e Maya, donne coraggiose e caparbie che fronteggiano a testa alta qualunque situazione, anche a costo di sacrificare la loro vita. La prima, commerciante galattica, è donna abile e astuta, dotata di fascino e di grande spessore. La seconda è una figura quasi evanescente che simboleggia l'amore puro che la lega ad Harlock, l'autrice della bandiera pirata che l'Arcadia isserà per sempre sul suo albero.
Inoltre altri personaggi vengono caratterizzati in maniera impeccabile, pur nel ristretto spazio che può offrire un film: cosicchè troviamo il nobile Zoll, l'impavido generale umanoide Zeda, dotato di virtù insolite per essere il nemico principale.
Superbe animazioni e regia, ancora di più per la loro collocazione temporale, dimostrando la qualità del film nonostante la distanza dal tempo in cui è stato creato; bello e delicato il character design, rinnovato rispetto alla prima serie, ma ancora molto delicato soprattutto nella perfetta realizzazione dei volti femminili.
Regia impeccabile, bellissima la scelta dell'alternarsi delle scene tra passato e futuro a dimostrazione del profondo legame di amicizia che può attraversare anche l'incuria del tempo.
Ed infine impeccabili le colonne sonore, a cura di Toshiyuki Kimori, governate da pathos, tensione, maestose e classiche: si addicono perfettamente ai temi del film, così come la bellissima marcia funebre che apre lo scenario di distruzione dei primi minuti.
Il tutto si mescola in un prodotto perfetto e rinnovato, rinnovato persino nell'inedita immagine della nuova Arcadia, l'astronave di Harlock, molto più maestosa della prima, seppur molti fan preferiscono quest'ultima, più che altro per un forte legame affettivo.
<i>"Se tu continuerai a credere ai tuoi sogni,niente nella tua vita sarà stato fatto invano"</i>
Frase che è il simbolo di Harlock e di tutto quello per cui combatte: un ideale puro nascosto nello stemma di un teschio da pirata.


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L’anno in questione è il 1938, e per la Finlandia sono tempi davvero duri. Il patto Ribbentrp-Molotov ha segnato le sorti di molti paesi ed anche se ancora non è chiaro l’Unione Sovietica di Stalin allunga già le sue aguzze mani colonialistiche verso il piccolo paese scandinavo. In questo clima cupo, di grande ansia sociale, dopo soli vent’anni dall’agognata indipendenza, il popolo finlandese si sente di nuovo col fiato degli zar sul collo. Il volto dello zar in questione è cambiato, le sue intenzioni no. Questo è lo scenario politico che spinge la scrittrice Auni Nuolivaara a scrivere "Paimen, piika ja emäntä" da cui, nel 1984 la Nippon Animation fila la trama per il suo “Makiba no Shojo Katori” importato in Italia col titolo “Le avventure della dolce Kati” e facente parte del filone World Masterpiece Teather.
Perché parlare di Stalin e Russia quando si dovrebbe parlare di anime? Perché il romanzo della Nuolivaara trasuda patriottismo e desiderio di riscatto del popolo finlandese. Benchè la piccola protagonista sia solo una bambina non si parla di letteratura per ragazzi.
Kati (o Katori) è una bambina finlandese che, dopo la morte improvvisa del padre, si vede separata anche dalla madre che decide di partire per la Germania in cerca di lavoro affidando la ragazzina alle cure dei nonni. L’arrivo della prima guerra mondiale vede le due nazioni su fronti opposti, interrompendo le comunicazioni e quindi tagliando di netto il sussidio economico che la donna mandava alla famiglia rimasta in Scandinavia. Kati decide di iniziare a lavorare come mandriana, impara a filare e tessere e si appassiona ai grandi racconti epici finlandesi. La trama, che vede l’evoluzione della protagonista da bambina a donna, da incosciente ed ignorante a giudiziosa ed acculturata, altro non è che una chiara metafora della crescita dell’identità nazionale finlandese. Grandi sforzi sono stati fatti dagli sceneggiatori nipponici per ricondurre questo meisaku allo standard del filone ed in questo è giusto ricordare alcuni nomi importanti che si sono legati a questa produzione. Partiamo dal regista, quell’Hiroshi Saito che con la Nippon Animation ha ormai un rapporto d’amore e che per lei ha già firmato tanti Meisaku storici, come Moomin e Rascal. Sulla stessa scia Akira Miyazaki che anch’egli lavoro alle serie già citate e che sarà poi scenografo di “Una per tutte, tutte per una”. Il casting c’è, la storia un po’ meno, perché per quanti sforzi abbiano fatto gli ormai navigati sceneggiatori della Nippon Animation nel cercare di adattare, addolcire e snellire il racconto, peraltro abbastanza breve e quindi già alquanto diluito nelle sue 49 puntate, l’impresa risulta un po’ vana. Lo spettatore assiste a una bella storia, con tratti tipici del romanticismo Meisaku che però furono mere aggiunte degli sceneggiatori. Ben poco del romanzo originale avrebbe di fatto appassionato lo spettatore che, in un clima sociale e politico molto distante dalla Finlandia di quegl’anni, avrebbe mal digerito la storia nelle sue originali fattezze.
Sostanzialmente si ha di fronte comunque un anime piacevole, con una trama scorrevole, che non smentisce gli appassionati del Meisaku ma che, a parer mio, non incarna il giusto stile con cui questo filone procedeva. Una piccola deviazione dalla retta via diciamo. Va comunque detto che la storia in se, a prescindere dal romanzo è molto godibile e ben strutturata. Il filo narrativo regge, la trama è solida, ed i gesti e le scelte dei personaggi non sono campati per aria ma dettati da motivazioni etiche e sociali ben individuabili. Cosa manca? Se si parlasse di un anime fine a se stesso nulla, in un Meisaku, per come la vedo io, manca quell’attinenza intrinseca ai valori che il romanzo originale trasmette. Impresa ardua però se si parla di irredentismo finlandese.
Disegno un po’ pallido, in calo rispetto ad opere passate. Bene gli sfondi, discreto il chara design, tratti ancora molto legati allo stile Miyazaki.
In sostanza un meisaku dai tratti un po’ atipici, con un’ottima storia e una bella scenografia, ma che non è riuscito a convincermi fino in fondo. Che gli autori della Nippon Animation, parlando velatamente di indipendenza finlandese dalla Russia abbiano cercato di richiamare l’attenzione sull’ormai storico contenzioso per le isole Kurili con la patria della vodka? Mia mera supposizione. Sette.


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E così Mamoru Oshii consegna definitivamente al mondo il suo "Urusei Yatsura", insoddisfatto del prevedibile filmetto celebrativo "Only You", a costo di mandare all'aria i suoi schemi, di fare infuriare i fan e la stessa Rumiko Takahashi con una storia visionaria e onirica. Al diavolo, "Beautiful Dreamer" non c'entra nulla con "Lamù", e per questo è bellissimo, ma ciò che oggi stupisce non è tanto l'immeritata fredda accoglienza del popolo purista giapponese - era già accaduto con il secondo film di Lupin III, "Il Castello di Cagliostro" - bensì il goffo tentativo della produzione di imitare "Beautiful Dreamer" con uno dei successivi film di Lamù, "The Forever", ormai privo di Oshii, con risultati tutt'altro che soddisfacenti.
In Italia, come il precedente "Only You", è edito da Yamato Video nel cofanetto comprendente i primi tre film, ma lo si può trovare anche singolarmente. L'edizione è budget con pochi extra e audio 1.0, ma il solo film vale il modesto prezzo; il doppiaggio italiano non è maestoso ma di buona qualità con l'eccezione di Paolo "Goku adulto" Torrisi, non proprio azzeccato nella parte di Ataru. Piccolezze.

I preparativi per il festival scolastico al liceo Tomobiki proseguono spediti, il lavoro è talmente tanto che pare quasi non volere finire con studenti e professori che passano giorni e notti a scuola da un tempo che nessuno riesce definire con precisione. L'unica persona perfettamente a suo agio in questa situazione è Lamù: felice di trascorrere 24 ore al giorno con Ataru e tutti i suoi amici, confessa a Shinobu che il suo sogno per il futuro è proprio questo. Le cose però si fanno sempre più strane fino a degenerare, i ragazzi non riescono più a tornare a casa, la scuola Tomobiki e tutti gli studenti si sentono isolati dal mondo con la sola casa Moroboshi disponibile, è stata davvero Lamù a volere tutto questo?

Con The Disapperarance of Haruhi Suzumiya come suo erede spirituale (molte le similitudini tra i due film nonostante sviluppo narrativo e messaggi siano differenti, ma in generale il tema dell' "Haruhi want this" sembra provenire direttamente da qui), "Beautiful Dreamer" scava nei sentimenti più profondi dei personaggi della serie con una Lamù inconsapevolmente padrona di un mondo regolato dai suoi desideri, espliciti e non.
La città muta in breve in un paradiso a prova di eterno adolescente mosso unicamente dal divertimento, privo dell'oppressione del mondo adulto che incombe, dove spazio e tempo perdono il loro significato.
Non è un caso infatti il comportamento della maggior parte dei personaggi, che fin da subito rinunciano a trovare una soluzione al problema cullati in questo eden dove i doveri non esistono e i supermercati sono sempre riforniti. Uniche eccezioni Mendo e Sakura, ovvero gli "adulti" della situazione, impegnati a indagare sull'accaduto, e le sorprese non mancheranno, con la fiaba di Urashima Taro come punto di riferimento arriveranno a scoprire chi realmente si cela dietro tutto questo.

Abbiamo scelte registiche quanto mai azzeccate, una Lamù quasi "eterea" nelle sue poche apparizioni della seconda parte, eccezionali ambientazioni misteriose e personaggi visionari, con un occhio sempre attento ai comprimari e alle loro sfumature in 100 minuti mai noiosi, mai banali, dove mondo normale e onirico si mescolano lasciando però lo spettatore a suo agio, esattamente come i personaggi.
E sul finale del lungometraggio vi troviamo l'estro più alto mai raggiunto dall'Urusei Yatsura animato e cartaceo, con il rapporto tra Ataru e Lamù al centro di tutto in un sublime atto d'amore verso il desiderio che vuole eternizzare il momento, i luoghi e i comprimari della loro adolescenza.

"Beautiful Dreamer" è questo e altro, manifesto surreale del mondo e dell'adolescente, oltre che un segnale di speranza per un'umanità che ha smesso di sognare, per i registi di anime che hanno smesso di osare, e di sperare, oggi più di prima.


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Un titolo perso tra i meandri degli anni '80 e trascurato dalla scarsa sensibilità che il grande pubblico dimostra puntualmente verso le opere di grande valore che richiedono una certa delicatezza per essere colte.
Tale è “Tenshi no Tamago”, lungometraggio del 1985 che, secondo la mia opinione, posso affermare essere senza alcun dubbio la miglior opera d'animazione cinematografica mai realizzata.
Una dolce poesia surrealista, un'onirica allegoria che danza tra un criptico esistenzialismo ed una zelante religiosità, il tutto all'interno del più profondo simbolismo; sicuramente l'opera animata più ardita mai realizzata dalla produzione nipponica.
E proprio questo osare, fonte del suo stesso merito, fu (e sarà) anche la natural causa dell'impossibilità di sfondare sul mercato di questo raffinato gioiello.
Ci troviamo infatti a studiare un'opera non solo totalmente aperta e chiaramente priva di un'interpretazione univoca, ma anche tanto serrata da non lasciar cogliere alcunché all'osservatore disattento, eventualità altrimenti possibile per opere altrettanto profonde ma meno ermetiche (chiaramente inteso in un'accezione relativa del termine) quali possono considerarsi “Neon Genesis Evangelion” o “La Rivoluzione di Utena”. Se quest'ultimi due titoli si lasciano infatti sfuggire alle volte delle informazioni, “Tenshi no Tamago” non rileverà nulla a chi nulla cercherà.
E d'altronde ben si capisce donde ne venga tale opera ambiziosa, se non dal più grande regista (a mio avviso) dell'animazione orientale, Mamoru Oshii e dall'altrettanto brillante ed eccentrico Yoshitaka Amano, futuro illustratore della saga di “Final Fantasy” e altre splendide opere.
Nel 1985 il giovane Oshii, che aveva già dato prova di grandi capacità nella serie “Urusei Yatsura”, trasformando un'opera quanto mai divertente nata dalla notevole penna della mangaka Rumiko Takahashi (allora ancora originale) in qualcosa di superiore (trovando così il disappunto del pubblico) e osando persino porre in essere il secondo lungometraggio della sopra citata serie, “Lamù – The Beautiful Dreamer”, scavandosi così la fossa presso la suddetta mangaka e presso la totalità del pubblico più conservatore riguardo alla spensieratezza del tema, ebbene questo giovane innovatore si trova a poter gestire per la prima volta un progetto autonomamente, con i pieni poteri e senza alcun limite impostogli: abbiamo così quest'opera e ciò fa ben comprendere il perché di questo eccesso di gusto di nicchia, se mi concedete il termine.

L'opera. Delle mani, le mani di una bambina, anzi no, quelle scure di un uomo. Uno sfondo surrealista, un mondo onirico vuoto e silenzioso, dai colori bizzarri e dalle forme sconosciute, così si apre il lungometraggio. Un uomo dai capelli bianchi e dal volto apatico scruta lo sconfinato orizzonte, che però non dà l'idea di libertà.
Una bambina si sveglia, si alza e va ad osservare il tramonto dalla sua curiosa abitazione, in lontananza la città che, unica volta, appare calda in questi colori.
Tento di scrivere ciò che è stato reso magistralmente dalla regia, dalla fotografia, dai tagli delle inquadrature, dall'evocativa musica ma maggiormente dagli imperanti silenzi, dallo splendido disegno di un giovane Yoshitaka Amano, il più adatto per un titolo del genere e soprattutto dalla permeante poesia di ogni singola scena.
Siamo dinnanzi all'eccellenza tecnica manuale - soprattutto contestualizzata ai tempi - e scenica, con un lavoro superbo da parte della regia.
Vediamo così una bambina, candida e delicata, muoversi in quest'ambientazione cupa e opprimente, un mondo urbano grigio e silenzioso, decadente ed inquietante, popolato da poche figure e tanti misteri.
Ma i due silenziosi protagonisti, ad enfatizzare la già alienante atmosfera, parlano per domande, quasi fossero su un palco e si interrogassero singolarmente sui più profondi dubbi esistenziali (primo fra tutti quello esposto dalla splendida domanda iniziata dalla bambina ed infine, ultima riga dei dialoghi, posta dall'uomo a lei: “Chi sei tu?”) e, eccetto rari casi, non paiono comprendersi.

E l'uovo. Il prezioso gioiello della piccola, l'oggetto dell'ambizione del soldato, la chiave della conoscenza o forse il più effimero dei sogni, o ancora la condizione di spensieratezza dell'infanzia, alla quale la giovinetta resta salda senza porsi dilemma alcuno, ma che tuttavia rode l'uomo, che si risolverà così di romperlo per vedere cosa ci sia all'interno, o forse per liberare la bambina dai suoi vincoli fittizi e condurla così al crudele mondo reale.
Anch'esso, il soldato, appare così una figura dubbia, posto alternativamente tra il Redentore e l'Anticristo, il cui agire getta la bambina nella più profonda disperazione, sebbene a lui solo ella avesse donato la propria fiducia.
Ed è proprio la fiducia che viene tradita e, per tutta conseguenza, si ha la perdita dell'innocenza, quella dote che si corrompe inevitabilmente e, soprattutto, irrimediabilmente.
In conseguenza a ciò ella gli corre contro, nella fuga di lui, il quale ha assolto al suo compito o forse ha soddisfatto il proprio desiderio di conoscenza. Ma quale sarà lo scopo di questa fuga?
Un divario incolmabile separa ormai i due e la piccola cade, forse travolta dal peso della sua incapacità di raggiungerlo e addolorata dalla perdita dell'uovo, la perdita della condizione beata della fanciullezza e precipita in un nero abisso.
Ecco così la metamorfosi, il procedimento inverso a ciò che sarà di Motoko in “Ghost in the Shell”, il passaggio alla maturità, nonché la moltiplicazione delle uova, simbolo forse della moltiplicazione dei dubbi e delle incertezze, che ora però le sfuggono di dosso emergendo in superficie.

Tali sono solo alcune delle interpretazioni che si possono attribuire ad alcune delle sequenze, ma anche qui sta alla sensibilità di ognuno accettarle.
Non aprirò nemmeno una minima analisi sulla simbologia religiosa, dai pesci alle stigmate, dalla croce all'arca, nonché alle esplicite citazioni del Vecchio Testamento e del mito del diluvio universale. Tuttavia ancora altri temi meriterebbero di essere sviscerati ma non oserò cimentarmi nella loro trattazione.

Abbiamo con “Tenshi no Tamago” l'opera aperta definitiva, lo sperimentalismo portato agli estremi limiti, in un gioco di surrealismo e religiosità, criptici messaggi e oniriche atmosfere, il tutto in un'ambientazione massimamente alienante.
Il fine ultimo di quest'opera è per me, ribadisco, che ognuno colga ciò che la sua sensibilità gli permette. Sicuramente sia il regista che il direttore artistico scrivendone il soggetto hanno posto molte delle proprie convinzioni in questo lavoro (considerando anche la conversione di Oshii al cristianesimo e il successivo abbandono della fede precedentemente alla realizzazione del film), tuttavia comprendere interamente ciò che loro hanno visto in questo progetto è, oltre che impossibile, infruttuoso e lontano da ciò che, ritengo, avessero inteso i due come fine ultimo del film.

Come appare chiaro da quanto finora affermato, si tratta di un'opera complessa, probabilmente la più complicata tra i titoli di Oshii e, conseguentemente, tra tutti i titoli nipponici mai realizzati.
La sua visione è quindi consigliata soltanto ad un pubblico ristretto e raffinato (badate bene che non è mia intenzione insultare chi non ha apprezzato tale titolo), che possa cogliere coscienziosamente quelli che possono essere i pregi e i difetti reali dell'opera in questione, senza farsi scoraggiare da banalità quali la lentezza tipica dello stile del regista (qualità per altro gestita alla perfezione nel film, senza mai rendere le scene più lunghe del necessario ma, contemporaneamente, senza mai far distendere la tensione, come d'altronde Oshii fa sempre nelle sue opere), l'eccessivo ermetismo o l'assenza di una trama e, conseguentemente, di un intreccio.

Possa dunque ad ognuno questo capolavoro lasciare qualcosa e, auguro a tutti, possa rendervi partecipi della stessa beltà che mi ha totalmente rapito.


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Come molti registi di genere italiani degli anni '60-'70 che sfruttavano generi considerati di "serie B" dalla critica - ad esempio l'horror, il western o il thriller - per portare allo scoperto le ombre della società, così fa nel 1982 Yoshiyuki Tomino, geniale regista che ha innovato il genere robotico per trasformarlo in opera d'arte, e facendone così, in questo caso, un veicolo della sua personale e originale poetica: la comprensione come unica via da percorrere per giungere alla pace, l'anti-militarismo e il divario generazionale. Purtroppo l'innovazione non viene capita subito e così la serie TV "Space Runaway Ideon" seguì il triste destino di "Mobile Suit Gundam", un cocente flop di ascolti e di vendite di giocattoli che la portarono a una prematura cancellazione lasciandone sospeso il finale.
Non è difficile immaginare le ragioni del flop: il robot protagonista anti-estetico al massimo (per mettere in primo piano i contenuti), scarsa varietà del set di mosse dell'Ideon (per gran parte della serie abbatte i suoi avversari solo con calci e pugni) e, infine, un'intellettualità molto ricercata per l'epoca, la quale s'addentrò in temi impegnati come razzismo e xenofobia - già affrontati in alcuni robotici precedenti - traendone conclusioni filosofiche di ampio respiro cariche di un inaudito pessimismo. In sostanza, il genere del super-robot, nato come mero intrattenimento per bambini, non poteva reggere a tale contraddizione e quindi il flop non poteva essere che inevitabile.
Fortunatamente, grazie alla rivalutazione a livello commerciale di "Gundam" coi tre film cinematografici, Tomino riesce a farsi produrre da Sunrise il film "Ideon: Be Invoked", concludendo magnificamente la serie TV e portando così il robotico a vette sino ad oggi mai più toccate.

Il film riprende nella prima mezz'ora le ultime puntate della serie riassumendole velocemente, per poi entrare finalmente nel vivo con le parti inedite. "Space Runaway Ideon" soffriva, come molte serie robotiche dell'epoca, di una storia principale molto labile (fatta di incessanti quanto ripetitivi scontri), un ritmo eccessivamente lento (nonostante i molti combattimenti) e non controbilanciato da una trattazione di contenuti molto dialogata, poiché l'azione era sin troppo preponderante su tutto il resto (pur con una riuscita caratterizzazione dei personaggi), e una continuity quasi inesistente, così che sommando il tutto si finisce con l'ottenere una serie TV ostica da visionare per uno spettatore odierno, ma alla fine il suo sforzo sarà ripagato dalla magnificenza di tale pellicola.

Grazie al fatto che i tempi cinematografici devono per forza di cose essere necessariamente più veloci rispetto a quelli di una serie TV, Tomino finalmente riesce a conferire un ritmo adeguato alla storia, trasformando così uno dei difetti di "Ideon" in un punto di forza. Libero da qualsiasi costrizione, l'autore può trattare a briglie sciolte il tema del razzismo e l'odio che scaturisce da esso. Umani e Buff Clan, ad eccezione degli occhi, hanno il medesimo aspetto fisico (molte volte nel corso delle puntate è capitato che, nelle missioni di spionaggio, l'infiltrato non venisse scoperto proprio perché identico ai Terrestri), stile di vita e sentimenti. Ha senso quindi di parlare di "essere diverso" in questo caso? Forse semplicemente Tomino ci sta dicendo che noi esseri umani preferiamo dare "dell'alieno" a chiunque ci stia antipatico o percepiamo come diverso, perché non integrato nei meccanismi socio-culturali imperanti nella nostra comunità.
Il concetto di "alieno" non esiste, essendo una mera invenzione delle nostre infondate paure, le quali sia nel passato quanto nel futuro più remoto sono rimaste sempre identiche, visto che tuttora non riusciamo a "comprendere" l'altro - tanto che nel recente periodo storico stanno ritornando in auge episodi intolleranza contro il diverso. Se poi vogliamo fare sciocche classificazioni basate sulla razza, c'è da dire che neanche tra noi "simili" riusciamo a far rispettare un principio di uguaglianza sociale, vista la creazione di continue barriere socio-economiche, tanto che, alla fine, non ci comportiamo in modo diverso dai Terrestri popolanti le varie colonie dell'universo di "Ideon" e che, in teoria, facendo parte della stessa specie, dovrebbero fare gioco comune. Invece ogni pianeta pensa ai fatti propri negando all'equipaggio dei Bes un rifugio sicuro, arrivando alcune volte ad allearsi con il Buff Clan per annientarli, pur di ambire al potere dell'Ide (consistente in un'energia infinita, in grado di distruggere l'intero universo, contribuendo già in passato a spazzar via la "Sesta Civiltà").
L'essere umano si dimostra incapace di comprendere l'altro e superare il suo profondo odio di stampo razziale verso l'altra fazione, preferendo a tutti i costi annientarla. Buff Clan e umani in questo modo non fanno altro che incrementare maggiormente il sempre più incontrollabile e distruttivo potere dell'Ide; ogni tentativo di mediazione tra le due fazioni da parte degli individui più idealisti come Karala è destinato a fallire, destinato a infrangersi innanzi all'incessante forza dell'odio e della guerra che spazza via ogni velleità di pacifica convivenza, poiché nessuna comprensione è possibile se nessuna parte è disposta a mettere in gioco le proprie idee. La mattanza finale operata da Tomino all'apice del suo nichilismo più profondo e cupo non guarderà in faccia a nessuno: né gli adulti, preda del loro odio, né i giovani ragazzi, anch'essi indotti a essere spietati verso il nemico.
Nessuna teatralità o sadismo gratuito nelle tante morti, ma solo la constatazione del fallimento della specie umana. Il potere dell'Ide, che non è una mera divinità ma un qualcosa di ancora più profondo a livello concettuale (essendo formato da un'energia frutto dell'auto-coscienza delle volontà degli esseri viventi dimoranti nell'Ideon), emetterà la sua spietata sanzione. Premuto il pulsante di "reset", gli umani e Buff Clan troveranno una pace tra loro solo post-mortem, ma una piccola luce di speranza è data nel visionario finale da "Messia", il figlio frutto dell'unione di Karala e Bes, che potrà guidare una nuova generazione rinata dalle ceneri della precedente all'apprendimento dell'universale messaggio di pace e uguaglianza. Nel nichilismo più estremo si intravede una piccola luce nell'oscurità... ma è un bene? Non era forse meglio per gli esseri umani una totale distruzione, perché sono portatori solo di meschini interessi, divisioni, odio e morte? Tomino non vuole compiere questo spaventoso salto concettuale che lo avrebbe portato nell'abisso della disperazione dal quale non sarebbe più uscito.

Ad eccezione dei primi minuti di film, presentanti scene riciclate dalla serie TV, il resto della pellicola possiede animazioni create ex-novo.
Grazie a un budget molto elevato, Tomino ha finalmente largo spazio per costruire battaglie più articolate e complesse, anche se a livello registico siamo un po' lontani dallo stile usato in "Gundam", decidendo di optare per dei normali campi e controcampi, realizzando scene d'azione chiare e pulite, le quali risultano ben lontane dal caos registico di "Z Gundam", dove la telecamera viene mossa all'impazzata creando una sensazione di confusione nello spettatore.
Solitamente Tomino viene ricordato sempre per i contenuti e quasi mai per l'aspetto registico, che spesso nelle sue opere risulta essere secondario; invece in tale film il regista riesce a dare una forte impronta personale alla sua regia grazie a una visionarietà senza freni nell'ultimo atto della pellicola, con virtuosi quanto arditi piani sequenza rappresentanti onde di energia colorate e spiriti di defunti che si manifestano lasciando dietro di sé scie luminose, costruendo quindi una messa in scena originale che non ha precedenti in nessun film d'animazione - potendo essere comparata solo alla scia luminosa multicolore di "2001 Odissea Nello Spazio", dove ogni parola risulta inutile e conta solo l'immagine.

In conclusione, ci si ritrova innanzi a una delle più importanti opere d'animazione degli anni '80 e al miglior film robotico di sempre, ex-aequo con l'immenso "Patlabor 2: The Movie" di Mamoru Oshii. Con l'ultima mezz'ora di tale film, il cinema di Tomino da narrativo si fa contemplativo, uno stadio di magnificenza artistica che solamente i migliori riescono a raggiungere.
Un'opera che, nonostante abbia sulle sue spalle svariati decenni e sia mascherata da film di genere, si dimostra tuttora sempre più attuale, lanciando un duro attacco contro la piega che sta prendendo l'intera umanità, che è ancora in tempo per cambiare.
Ci si ritrova con "Ideon: Be Invoked" innanzi all'apice mai più raggiunto dell'intera carriera del regista in questione, una visione imprescindibile per ogni amante del genere robotico e che dovrebbe essere riscoperta dai cultori del cinema, per darle finalmente il giusto risalto dall'oblio in cui essa sembra rilegata.


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Gli anime si possono dividere in tre categorie: quelli ottimisti, in cui i buoni vincono e i cattivi perdono; quelli pessimisti, in cui muoiono tutti; e poi c'è Dougram.

Dougram, classe 1981, primo real robot dopo 'Gundam', detiene un primato: è probabilmente l'anime più realistico mai realizzato. Non realistico in senso tecnico, trattandosi di una serie di fantascienza ambientata su un pianeta alieno con due soli, in cui i combattimenti avvengono con dei robot giganti; ma realistico dove conta, nella descrizione di una società molto, troppo, vicina alla nostra. 'Dougram' è infatti una di quelle poche serie in cui il vero protagonista è la Storia, quella con la "S" maiuscola. I personaggi sono solo attori, che giocano il loro ruolo, vivono, combattono, muoiono e infine vengono messi in disparte. È raro, anzi rarissimo trovare anime con una simile visione; certamente si può pensare a 'Gundam', ma in 'Gundam' il ruolo dei personaggi è troppo forte, troppo romantico - penso a figure come quella di Char, la Cometa Rossa, penso ai New Type. la Storia in 'Gundam' è ancora venata di Leggenda. Non così in 'Dougram'.

In 'Dougram' non ci sono personaggi dominanti: anche il pilota del robot, Crinn Cashim, svolge il suo ruolo di giovane ribelle e idealista e nulla di più. A ogni personaggio in 'Dougram' è assegnato soltanto lo spazio minimo e indispensabile per svolgere il suo ruolo. In questa maniera si riesce a mantenere un equilibrio mirabile, e ci si affeziona nello stesso tempo a tutti i personaggi in generale e a nessuno in particolare. Al messaggio di 'Dougram', che i personaggi non sono importanti, che non ci sono Eroi o Eroine, solo persone, e che quello che conta è la Storia, contribuisce fortemente il chara design, uno dei più "brutti" che si conoscano. La maggior parte dei personaggi maschili sono omaccioni robusti con la mascella quadrata e una fronte alla Frankenstein. I personaggi femminili non sono da meno e la fidanzata di Crinn, Daisy, è una delle ragazze più brutte e meno sessualmente appetibili che si sia mai vista in un anime. Anche il mecha design è uno dei meno eleganti, ma tutto ciò è un bene, perché 'Dougram' non è una serie di intrattenimento: il suo scopo non è quello di divertire e di entusiasmare lo spettatore, ma di farlo riflettere.

La sensazione fortissima è che gli autori abbiano studiato in dettaglio la storia delle rivoluzioni e delle guerre di indipendenza del ventesimo secolo, di paesi quali l'America Latina, l'Africa, l'Indocina, e che abbiamo basato l'anime su fatti realmente accaduti. Sicuramente non è un caso che in un episodio della serie Nanashi legga una biografia di Che Guevara. Non mancano nella storia recente gli esempi di false rivoluzioni, di false indipendenze, in cui si permuta una classe dirigente con un'altra e nulla cambia per quanto riguarda la situazione della povera gente e gli interessi delle potenti multinazionali, che è esattamente quello che viene descritto in 'Dougram'. Descritto non con intento di condanna - lo spettatore può e forse deve leggerlo in tal modo, naturalmente - ma in tono neutro, tramite una una voce narrante che descrive gli eventi e cita le date storicamente rilevanti, quasi leggesse un libro di testo scritto decenni o secoli dopo gli avvenimenti descritti nella serie. Asimov aveva fatto qualcosa di simile ricorrendo all'idea dell'Enciclopedia Galattica: ma la Trilogia Galattica è un'opera di fantascienza ottimista e ricca di sense of wonder. Non così 'Dougram'.

'Dougram' è completamente realistico e non lascia nessuno spiraglio al romanticismo. Si diverte invece a infrangere ogni idealismo e speranza dello spettatore. È così realistico che non si rifugia neppure nella facile scappatoia del pessimismo e della tragedia e così, caso più unico che raro, costituisce un esempio di anime allo stesso tempo non ottimista e non pessimista. Alla fine della serie, dopo 75 lentissimi episodi (ma non ci si annoia neppure in uno) si resta con molte più domande che risposte: chi ha veramente vinto? chi ha veramente perso? cosa riserverà il futuro? chi riscatterà chi è stato calpestato dalla storia? Ma soprattutto, la domanda che mi imbarazza più di tutte: com'è possibile che questa serie abbia avuto successo? Al giorno d'oggi la corrente di anime realistici, filosofici, sociologici, politici e privi di facili risposte di cui 'Dougram' è un fulgido esempio si è pressoché estinta. Ed è un vero peccato.