Vi abbiamo parlato di Caterina Rocchi quando è diventata collega di Mochizuki (autore di Wild Seven) e vi abbiamo fatto vedere dove la sua bravura l’ha portata quando recentemente ha preso parte ad un’importante live painting alla fiera di Angouleme per cui non potevamo proprio farci mancare quello che attualmente è il suo più grande avvicinamento al mondo professionale giapponese: l’essere diventata per una settimana assistente del mangaka Setsuo Tanabe.

Da un mese infatti la fondatrice della Lucca Manga School è tornata in Giappone per motivi di lavoro e con grande sorpresa, ed immenso piacere, qualche settimana fa si è aperta di fronte ai suoi occhi l’insperata possibilità di diventare l’assistente di un mangaka. Ben conosciamo ovviamente i suoi trascorsi lavorativi con Mochizuki, ma questa nuova esperienza, più legata alla pubblicazione seriale ed al tipico lavoro frenetico di molti mangaka giapponesi, è certamente qualcosa di ben diverso da quello che aveva vissuto finora. Come sentirete direttamente dalle sue parole Caterina ha quindi vissuto 6 giorni nello studio del mangaka, insieme ad altri assistenti, vivendo l’esperienza della deadline incombente e condividendo con loro un piccolo spazio comune, pensando solo ed esclusivamente a lavorare e disegnare come ogni assistente che si rispetti, e noi di Animeclick.it siamo felici di potervi portare la sua testimonianza con un’intervista speciale che ci ha rilasciato per l’occasione.

Setsuo Tanabe è un vecchio assistente proprio di Mochizuki, col quale ha lavorato circa 2 anni e mezzo. Ha debuttato su Monthly Shonen Champion, rivista edita da Akita Shoten, con la graphic novel Mud Shoot nel 1971. È stato candidato inoltre al premio di miglior debuttante per Shonen Ganosha. Ha lavorato anche a: Earth 0 years, Bousatsu no Chess Game, Destruction of the whistle e ai manga Sengoku Jietai e a Zoku Sengoku Jietai.
Purtroppo, per quanto possa sembrarvi strano, la stessa Caterina non è a conoscenza dell’opera alla quale stesse lavorando, nè sapeva qualcosa della trama (oltre quello che potrebbe aver compreso da sola mentre lavorava) o sa per quale rivista o casa editrice fosse questo manga, semplicemente ha colto al volo l'occasione e l'ha sfruttata fino in fondo, per cui non stupitevi se questi dati mancheranno all'interno dell'intervista. Di certo Tanabe-sensei non è stato (come lecito aspettarsi in certi ambienti) un uomo propenso a chiacchierare della propria opera, ma quando sei di fronte a certe opportunità non dai peso a questi fatti: si parla di un altro sogno divenuto realtà, qualcosa che finora potreste solo aver immaginato vedendo un anime o leggendo un manga come Bakuman... Ma ora lasciamo che siano le parole di Caterina a dirci qualcosa di più:

Ciao Caterina! Sei tornata in Giappone da pochissimo tempo ma già ti sei messa subito a lavoro!

Ciao a tutti di nuovo, come sempre è un piacere essere ospite di AnimeClick!

Sei stata l'assistente di un mangaka giapponese 6 giorni! Com'è nata questa opportunità? Cosa hai provato appena lo hai scoperto?

Sono stata assistente per due giorni, poi un giorno libero perché avevo appuntamento con un editore, e sono tornata subito dopo per totalizzare 7 giorni! L’opportunità è nata, come tutte le belle sorprese, per un mix di posto giusto e momento giusto. Ero in classe di Matsuda quando è arrivata la chiamata di Tanabe-sensei, che chiedeva aiuto urgente per la deadline incombente: uno degli assistenti regolari non è potuto venire a lavoro e aveva bisogno di qualcuno che venisse il giorno seguente e restasse per tutta la settimana. Matsuda ha fatto un paio di telefonate ma tutti avevano da fare, chi per scuola e chi per lavoro, e il tempo stringeva… Per caso avevo menzionato il giorno prima che avrei voluto tentare di fare l’assistente, quindi mi ha offerto la possibilità di presentarmi al mangaka Tanabe. Ho mandato quel che avevo sottomano, ovvero le poche immagini tecniche che avevo postato a casaccio su Facebook, e dopo aver assicurato al Sensei che non ho problemi col giapponese è sembrato convinto abbastanza da incontrarmi di persona, anche grazie alla fiducia che prova nei suoi confronti.

Credo di aver accettato ormai che la mia vita è un frullatore di esperienze, ultimamente ci butto dentro tutto quel che posso e vedo quel che ne esce fuori. Anche parlare a Matsuda della mia intenzione di sperimentare la vita da assistente è parte di questa fame di storie da raccontare, ma non mi sarei mai aspettata che da un giorno all’altro sarebbe successo tutto così in fretta. Credevo ci sarebbero voluti mesi per beccare l’occasione giusta dove tutti gli astri si allineano, anzi proprio non ci speravo, e invece. Solo quando sono tornata a casa mi sono resa conto che… L’ho fatto davvero. Come al solito mi sveglio solo dopo aver fatto le cose, ad ogni intervista ripeto sempre che me ne rendo conto alla fine!


Sei entrata quindi nel suo appartamento/studio: quali sono le tue prime impressioni?

Il caos. IL CAOS. Nulla mi poteva preparare alla quantità di fogli impilati, volumi, materiali, in uno spazio di una trentina di metri quadri. Effettivamente è proprio pittoresco, esattamente come ci si immagina lo spazio abitato dai grandi artisti: caotico, fuori da ogni regola e ordine, molto in atmosfera Ghibli direi, perché c’è un fascino nelle case dove gli anni hanno accumulato più di quanto possono contenere, nello stesso modo in cui le rughe di una persona anziana mostrano le varie espressioni ed emozioni che ha provato nel corso di una vita lunga e piena di esperienze di cui non sappiamo… Ne sono rimasta affascinata, e ho compilato in segreto un album di foto nei pochi momenti in cui ero sola, per conservarne il sapore. Non saranno pubblicate per rispetto, in fondo voi non vorreste veder pubblicate alla mercé di una folla le foto della vostra stanza nel suo picco più caotico. Credo che fosse un momento particolarmente fuori controllo, perché erano sotto deadline, quindi penso di essere stata testimone di uno dei momenti di peggior entropia.
 

In quanti eravate, di cosa ti occupavi?

Il numero è variato da 2 a 5. Il primo giorno eravamo solo io e Tanabe sensei, la mattina. Più avanti si è presentato l’assistente fisso, che ha accompagnato il lavoro di Tanabe sensei per anni. Il secondo giorno è arrivato a dare manforte un mangaka, che ha prestato le proprie mani come favore verso il Sensei. Il terzo giorno non c’ero io, ma il quarto si è aggiunto un amico del Sensei, ex mangaka, e lì la situazione si è fatta stretta. Il giorno dopo però il mangaka doveva tornare alle sue scadenze, quindi l’abbiamo salutato, e abbiamo proceduto in quattro fino l’ultimo giorno, dove eravamo nuovamente in tre.

Inizialmente mi avevano assegnato i retini, perché avevo detto che era la mia area. In effetti, fra tutti ero quella con più diottrie. In ogni caso ho finito per fare un po’ di tutto, essendo l’ultima arrivata, quindi mi è capitato di squadrare tavole e mettere i neri, addirittura di disegnare oggetti, sfondi, e mani. Non me l’aspettavo, soprattutto delle mani, ma a quanto pare non è cosa rara che le mani dei personaggi secondari siano affidate agli assistenti occasionalmente. In ogni caso
, quando mi arrivava una pagina sono stata informata che dovevo portarla avanti fino alla fine e che avrei fatto tutto quel che c’era da fare. Quindi se mancavano i contorni delle vignette, il primo step era quello. Poi i balloon e l’outline delle campiture. Check del Sensei, campiture ed eventuali sfondi di cui mi passava i riferimenti. Check, bianchi, e retini. Questo era diventato il ritmo. Il ritmo veniva puntualmente spezzato da varie ed eventuali tra cui: “disegna quel che ti pare in questo sfondo, fai sì che sembri una classe. mettici un poster con la tua foto profilo di Facebook, è carina” Non l’ho preso sul serio, e gli ho riportato la tavola con sullo sfondo qualcosa di più serio… Ma in realtà non scherzava, mi ha fatto sul serio cancellare il poster precedente e mi ha fatto aggiungere la mia foto profilo!

Quindi stavate sempre e comunque lì... e dove dormivi?

Sì, non ci siamo mossi da lì per tutto il tempo. La sistemazione per la notte era piuttosto interessante: aveva allestito una “tenda” di coperte appese ad un filo che passava da muro a muro, in fondo allo studio. La prima sera, verso le undici, ha dichiarato che era l’ora di dormire e mi ha scortato fino alla tenda, scostandola e rivelando un letto di fortuna, composto da un mobile piatto e orizzontale che conteneva altre pile di pagine e fumetti al suo interno, una manciata di coperte a simulare un futon, cuscino e piumone, senza federa. Devo ammettere che mi ha stupito. Lui ha preso i suoi tre cani, che ci tenevano compagnia durante il lavoro, e mi ha dato la buona notte lasciandomi in casa col gatto. Non c’era altro da fare che dormire, visto che la sveglia era puntata alle quattro di mattina. Più avanti, visto che la deadline si avvicinava ho avuto occasione di sentirmi in colpa per aver pensato male del “letto”, visto che il sensei e l’assistente si sono buttati sul pavimento su dei tappetini ed erano coperti da un pile ciascuno. Ho cercato di offrire una delle mie coperte, ma il rifiuto è stato tassativo.

Quindi, disegnavamo, mangiavamo, dormivamo e respira
vamo negli stessi trenta metri quadri ogni giorno. Mi hanno subito istruito di mettere la mascherina mentre lavoro, perché non è un ambiente salutare. In effetti ancora mi pizzicano i polmoni, per fortuna me le ero portate dietro perché non fa bene lavorare ai retini senza, specie quando ci sono lavori di grattatura dove essenzialmente si pelano via sottilissimi veli di plastica ed inchiostro, inalarli ovviamente non fa bene.

Eri quindi l'unica donna, noi abbiamo un'immagine abbastanza "particolare" dei giapponesi... non hanno avuto problemi a condividere questo spazio e la notte con un'altra ragazza

Inizialmente avevano chiesto un maschio, ma non c’era nessuno disponibile o che Matsuda volesse presentargli. Si sono accontentati, ma la norma sarebbero studi solo maschili o femminili. Ho sentito diverse teorie, che variano tra “siamo tutti più liberi nel nostro stesso sesso” a “così non ci sono problemi romantici” a “i mangaka non sanno parlare con l’altro sesso” (due terzi dei mangaka che conosco sono sposati, ma va bene). In effetti c’è stato un episodio particolare. L’assistente fisso, che stava in tuta, prima di andarsene ha fatto apparire dei jeans da non so dove e ha cominciato a infilarseli sopra i pantaloni della tuta. Il Sensei non ha gradito, riprendendolo a mezza voce con “era proprio necessario? Di fronte a una signorina…” Io ho fatto finta di nulla, per me non è stato affatto imbarazzante, anzi ne sono stata divertita. Pantaloni a parte, sono stata trattata ugualmente agli altri, anzi temevo peggio perché in fondo sono straniera, al mio primo lavoro da assistente, e femmina, una trinità infelice vista la situazione. Invece non solo mi ha chiesto quel cameo del poster, ma ha pure ascoltato e assecondato le mie opinioni su come risolvere certe vignette. E quanto c’era da fare lavate di capo, ce n’era una per ognuno.

Ah… c’era anche un’altra cosa curiosa: il Sensei credo abbia deciso di non chiamarmi mai nella stessa maniera. Aveva problemi a ricordarsi il mio nome, almeno i primi giorni, quindi mi chiamava "quella" "lei" "la signorina" "la principessa" "la sorellona"... era divertente, ma non sono abituata a rispondere a "sorellona", quindi l'assistente fisso a volte mi faceva cenno ridendo che parlava di me. Poi ha imparato il mio nome, quindi siamo passati a "caterina" "cate-oneesan"(sorellona) "rocchi-san" "rocchi-chan" "cate-chan" "cate-san"... Senza un ordine particolare. Una roulette dei nomi.

 
 
Puoi dirci com'era una giornata tipo di lavoro?

La giornata tipo da assistente si svolgeva più o meno così per me: sveglia alle quattro, quando il Sensei arrivava nello studio. Mi facevo un caffè, mi veniva data una colazione, sandwich o melon-pan o dorayaki e simili, e mi rimettevo a lavorare alla tavola del giorno precedente. Alle 8 arrivava l’assistente fisso, veniva accesa la televisione, e si lavorava. Pranzo alle 12, con bento casuali di solito composti da metà riso metà cose fritte, e di nuovo a lavoro. Avanti così fino alle 7 dove si cenava anche lì bento, metà riso metà pesce, e di nuovo a lavoro. L’assistente tornava a casa intorno alle 9.10 e io e Tanabe sensei lavoravamo fino alle 10.30 o le 11, e poi a dormire e il giorno dopo sveglia alle 4. Talvolta mi faceva dormire, se il giorno prima avevo completato le tavole, quando tentavo di alzarmi mi diceva di tornare a dormire e ho capito presto che significava che non aveva finito le tavole alle quali avrei dovuto lavorare quel giorno, quindi dormivo fino alle 5.30 o le 6. Erano tutti di poche parole, non parlavano molto durante il lavoro, e visto che tutto quel che facevamo era lavorare per me andava più che bene. Parlare tutto il giorno in un’altra lingua è mentalmente stancante, e avevo bisogno di tutta l’energia a cui potevo dar fondo.

C'è qualcosa che ti ha colpito particolarmente vedendoli lavorare?

In un certo senso è stato piacevole, perché il mio lavoro di insegnante, direttrice, e disegnatrice mi chiede di prendere tantissime decisioni ogni giorno, e invece in questo ritmo io dovevo solo disegnare, non c'era nessuna decisione da prendere. Ovviamente è stato un lavoro duro, e ne sono uscita in pezzi, ma finché ero lì continuavo a pensare che sì, lo farei davvero volentieri come lavoro fisso nonostante gli orari disumani. Per me è stato un onore potermi rendere utile ad un autore con una carriera più che trentennale alle spalle.

Mi ha impressionato l'idea che lo facciano e basta. Credo che tanti disegnatori si blocchino di fronte al perfezionismo e i problemi e gli ostacoli, e loro semplicemente facevano il loro lavoro. Tiravano avanti. Tutti quelli che andranno nei commenti a scrivere "sì ma non è mica Eiichiro Oda" "ma tanto gli stranieri non hanno futuro in Giappone" appartengono alla categoria di chi non fa. I maestri appartengono alla categoria di chi fa. Ed è la categoria a cui voglio disperatamente appartenere. Mi ha messo addosso un sacco di voglia di fare.

 

Pensi che possa ricapitare questa esperienza?

Il Sensei mi ha già anticipato che potrebbe richiamarmi, chiaramente nonostante tutti i miei dubbi, perché ovviamente ero divorata dai dubbi sulla qualità del mio lavoro, della mia velocità, del mio giapponese, del mio comportamento... Chiaramente ecco ho fatto qualcosa di buono. Quando alla fine la deadline è stata estesa di un giorno mi hanno chiesto di rimanere ad aiutare, non credo l'avrebbero fatto se mi avessero considerato un peso. Quel giorno in più ho lavorato col sorriso sulle labbra.

Cosa ti ha lasciato questa esperienza così unica? È stata come l'hai sempre immaginata?

Mi ha aiutato a chiarire che disegnare mi piace davvero, in un momento dove mi stavo trovando un po’ persa. Mi ha riconfermato che l’umiltà è sempre, sempre l’atteggiamento migliore. Mi ha fatto vedere una fetta del mondo dei manga che non avevo mai visto. Non so cosa mi immaginassi, cosa mi aspettassi… Non mi aspettavo di disegnare davvero alla mia prima esperienza da assistente. Non mi aspettavo di essere trattata come gli altri, e non mi aspettavo che gli altri mi prendessero sul serio, ecco. E invece. Torno alla mia scrivania con un sospiro di sollievo e la convinzione che sto facendo qualcosa di bello e che queste esperienze sono tutte frutto del mio impegno in prima persona. Il pensiero che dei professionisti in Giappone non hanno avuto alcun problema ad accettarmi nel gruppo mi fa sentire come se fossi cresciuta, in un certo senso.

Grazie Caterina per l'intervista ed in bocca al lupo per la tua permanenza in Giappone!

Grazie a voi!