Quella che sto per raccontarvi è una storia millenaria che però parte da una base semplicissima: riso, acqua e koji. Quella che sto per raccontarvi è la storia del sake.
 

La prima cosa su cui fare chiarezza è il nome: il saké non si chiama così! Si pronuncia sake (senza l'accento sulla "e") e in realtà questo termine in Giappone significa semplicemente bevanda alcolica e a seconda della regione può assumere vari significati specifici. Quello che di solito è servito nei nostri ristoranti è detto nihonshu ma potreste sentirlo chiamare anche seishu.
Un po' di confusione è giustificabile anche dal fatto che esistono 8 categorie in cui suddividere i vari tipi, in base a diversi fattori, tutti accomunati però dal fatto di usare come minimo il 15% di riso per ottenere il malto. Per semplificare, si possono anche catalogare in due grandi filoni: il futsuu-shu ovvero il "sake normale" e il tokutei meishoshu, cioè il "sake per occasioni speciali". Il primo è l'equivalente del nostro vino da tavola e rappresenta oltre il 75% di tutto il sake prodotto. Il secondo è contraddistinto dalla certificazione di raffinamento del riso ossia dalla sua purezza.
 

La seconda cosa è che il sake (continuerò a chiamarlo così per semplicità) è un infuso fermentato e non un distillato. Non è una grappa nè un vino, anche se spesso è chiamato vino di riso; studiando come viene prodotto in realtà è più simile alla birra e al suo processo di fermentazione.
Se invece si vuole prendere in considerazione il ruolo che il sake ha nella cultura culinaria nipponica, allora il paragone con il vino è calzante. Insomma il sake costituisce egli stesso una categoria. Ma da dove arriva? Quando è nato?
 

La storia del sake dura da più di 12.000 anni, ma la sua nascita è avvolta dal mistero e molte sono le teorie su come possa essere stato inventato. Fra le prime testimonianze ci sono quelle che si trovano nel Gishiwajiden, un antico documento risalente al 300 a.C.; per altri la pratica della fermentazione del riso avrebbe avuto origine in Cina, lungo il Chang Jiang, attorno al quinto secolo a.C.
Un'altra ipotesi farebbe risalire la fermentazione del sake al Giappone del terzo secolo, con l'avvento della coltivazione del riso in umido: l'acqua avrebbe fatto sviluppare le muffe che avrebbero portato alla fermentazione.
 

Di sicuro c'è che il primo sake si chiamava kuchikami no sake che tradotto vuol dire "sake masticato in bocca": questo perché si masticava un intruglio fatto di riso, castagne, miglio e ghiande che era poi sputato all'interno di un tino. Gli enzimi della saliva convertivano gli amidi del riso in zucchero (la cosidetta saccarificazione) e aggiungendo grano appena cotto si innescava la fermentazione. Se tutto questo era fatto da giovani ragazze vergini, si otteneva un sake più pregiato, da offrire agli dei.
La masticatura finì in soffitta con la scoperta del koji-kin (Aspergillus oryzae), una muffa i cui enzimi convertono l'amido del riso in zucchero; il riso innestato con il koji-kin è detto kome-koji o riso di malto. Per convertire poi gli zuccheri in alcol serve lo shubo, una miscela di lieviti che fa alzare di molto la gradazione alcolica del sake. Col tempo le tecniche si affinarono sempre più e il sake divenne così popolare che al palazzo imperiale di Kyoto fu istituito un organismo per la sua preparazione.
 

Nacquero case di produzione, chiamate sakagura, a tempo pieno e questi artigiani aprirono la via per molti sviluppi nella tecnica: ad esempio furono aggiunte nuove fasi al processo di fermentazione, in modo da aumentare ancora il livello di alcol e ridurre le possibilità di inasprimento del sapore.
Durante il periodo Meiji fu permesso a chiunque avesse capacità economica e conoscenze pratiche di mettere su e dirigere una fabbrica di sake: in questo modo, in un solo anno sorsero circa 30.000 fabbriche in tutto il Paese. A causa poi di più tasse, delle varie guerre e dell'avvento di altri liquori provenienti dall'Occidente, il loro numero calò drasticamente e anche al giorno d'oggi, benché la qualità sia molto elevata, il consumo di sake cala progressivamente di anno in anno.
 

Al momento ci sono circa 1300 produttori di sake attivi in Giappone, ognuno dei quali produce 10 varietà di sake regolarmente, più alcuni tipi fabbricati solo in alcune stagioni e periodi dell'anno specifici. Quindi ogni sakagura produce una ventina di sake unici nel loro genere: moltiplicate 20 per 1300 e avrete un'idea dell'incredibile diversità di sake.
Moltissimi sono i fattori che possono influire sul risultato: dal tempo di maturazione alla pastorizzazione, dalla varietà del riso a quella del lievito, dalla macinazione e raffinazione del riso alla filtrazione più o meno accurata del sake. Per non parlare dei contenitori in cui avviene la fermentazione (di cedro tradizionale o di acciaio), delle condizioni in cui il sake matura (se in bottiglia o in cisterna e a che temperatura), delle diversità territoriali come clima, acqua, suolo, riso...
 

L'acqua soprattutto è molto importante: una grande percentuale del prodotto finale è costituita da acqua e vi sono molte sorgenti diverse di acqua in Giappone, da qui l'incredibile scelta di sake che è offerta al consumatore. Senza contare che ogni regione dell'arcipelago ha la sua corporazione (detta Toji) con metodi e tecniche propri, trasmessi di maestro in maestro.
Potrete assaggiare sake molto dolci ed altri estremamente secchi, così come potrete degustarlo freddo oppure caldo, tutto dipende dallo scopo per cui sono stati creati. Storicamente, nei ristoranti di lusso, esisteva una figura, simile al sommelier, che aveva lo specifico compito di osservare gli ospiti durante il pasto e scegliere così il sake più adatto e alla temperatura più consona in base alle esigenze dei vari commensali. Per darvi un'idea, molto più semplicemente, occorre ricordare che per quelli da servire caldi, l'ideale è una temperatura fra 35 e 40 gradi, simile a quella del corpo umano.
 

Per offrire il sake, si possono usare molti contenitori: i tre più conosciuti sono il tokkuri, il choko e il sakazuki.
Il Tokkuri è a forma di brocca ed è l'equivalente della bottiglia per il vino.
Il Choko è una piccola tazza, usata per bere il sake, quindi potremmo dire l'equivalente del bicchiere.
Il Sakazuki è una coppa poco profonda di varie dimensioni (dai 15 cm in su) ed è usata per sorseggiare il sake nelle occasioni ufficiali, come ai matrimoni o durante le celebrazioni del Capodanno.

E ora la consueta domanda: avete mai bevuto il sake? Vi è piaciuto? Oppure siete fra i fortunati che viaggiando con Animeclick hanno visitato una fabbrica di sake?

Fonti consultate:
DRepubblica
TsunaguJapan
Wikipedia


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