Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

Per saperne di più continuate a leggere.

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Sembra che esista un imperativo nell'esistenza umana. Tutto deve.
Deve essere. Deve essere fatto. Deve essere ottenuto. Tutto sia.
Come se fosse proibito anche solo ipotizzare che esistano orizzonti inviolati.

Cos'è quindi la magia, se non un "sei's gewesen", un imperativo, un richiamo al controllo assoluto?

Questa domanda si presenta nella sua forma più pura ed essenziale nel film "Mary e il fiore della strega".

La storia parte dalle esperienze di Mary, una ragazzina che passa le vacanze presso la casa di una prozia. Annoiata a morte dalla placida vita di campagna, fatta di giardinaggio e sonnolenta routine, la giovane spera di trovare qualcosa che la distragga, per dimenticare il suo essere fuori luogo, l'insicurezza per il suo aspetto, la goffaggine che la porta a combinare guai e l'irritazione che le suscita Peter, un ragazzo conosciuto da poco. Un fiore dai misteriosi poteri e una scopa abbandonata nella foresta porteranno Mary a scoprire l'esistenza della magia, di un mondo alternativo, dove le arti occulte sono trattate come materie di studio nell'università di Endor gestita dalla rettrice Madama Mumblechook, e dove vivono e insegnano alchimisti come il dottor Dee. Tutto sembra allo stesso tempo luminoso ma ambiguo. Vero e falso si mescolano in una formula seducente ma pericolosa. E quando la ragazza commetterà un errore fatale, tutte le ombre di quel mondo riveleranno la loro vera natura.

Tratto dal romanzo per l'infanzia di Mary Stewart "La piccola scopa" del 1971, il film è il primo lavoro del neonato Studio Ponoc, composto da molti autori e animatori provenienti dallo Studio Ghibli. Il regista Hiromasa Yonebayashi ha già alle spalle lavori come "Arrietty" e "Quando c'era Marnie", e a suo tempo lo si era indicato come un possibile erede di Miyazaki.

I richiami alle tecniche, alle atmosfere e allo stile del maestro sono evidenti al punto che appare chiaro l'intento di non voler attuare un "divorzio" da quel modello. Sfondi, inquadrature, character design, colori, musiche... tutto parla un linguaggio troppo noto, per non presumere che l'idea è fondamentalmente quella di suggerire allo spettatore di non trovarsi di fronte a qualcosa di diverso da un film Ghibli.

I richiami e le suggestioni sono appositamente costruiti per far correre la mente ad altre produzioni, ma con l'espediente di condire il tutto grazie a una trama canonica, favorita dal ricorso a un canovaccio "classico", unito a un gusto che però non risulta un semplice aggiornamento fine a sé stesso, come spesso avviene per adattamenti di opere di pubblicazione non recente.
La realtà espressa dal film vive nel segno delle percezioni del mondo com'era al tempo del romanzo di riferimento. Nessun sito web informa più di un grimorio, nessun iphone connette meglio di uno specchio magico. Tutto ciò che è magico deve essere scoperto, non viene vissuto come un trend social. In questo è coerente la visione di un mondo parallelo (più che immanente) lontano dall'esperienza comune. Maghi, creature mitologiche, homuncoli ecc. si avvicinano più agli archetipi delle favole tradizionali dei Grimm che alle espressioni wicca o alle successive elaborazioni alla Rowling.
Se non si può non notare il ricorso ai perni più semplici delle narrazioni, come la queste, l'artefatto, il salvataggio, l'agnizione ecc. si percepisce anche la volontà di non farli reggere da soli, affiancandoli a scambi di ruolo e di prospettiva che rendono questi stilemi più vicini al sentire odierno.
Indicativi in tal senso i richiami ai temi e ai problemi d'attualità. Si pensi al rovesciamento dei ruoli di genere nel modello salvatore/salvato o al dislivello prometeico che confonde volutamente i piani fra magia, scienza e tecnica.
Questo è forse l'elemento più interessante fra quelli proposti dal film. La magia del mondo di Mary è una forza che chi la pratica tratta come un elemento alla sua portata, nell'illusione di dominarla.

Il tema dell'apprendista stregone di goethiana memoria è un altro elemento non nuovo, ma attualizzato nel discorso del rapporto dell'Uomo con la techne. Interessanti le figure di Madama Mumblechook e del dottor Dee, emblemi del delirio di onnipotenza che strumentalizza ogni cosa e deforma in maniera fisica corpo e anima. Evidente il sottotesto che suggerisce un parallelismo fra scienza e magia nera, grazie alle combinazioni quasi osmotiche di Endor tra stregoneria e tecnologia.
La manipolazione genetica, l'energia nucleare, i danni ambientali, troppi i riferimenti a problemi quotidiani per non cogliere le citazioni.
Così, se la rettrice ci conferma che l'elettricità è anch'essa classificabile come magia (marcando una precisa relazione fra le materie oscure e la tecnologia), la stessa trasale nel momento in cui perde il controllo del suo esperimento, che provoca la percolante fuoriuscita di un potere devastante e incontenibile, secondo dinamiche che non possono non ricordare gli eventi di Fukushima.

L'invito è esplicito. Nulla di buono viene dal cedere alle lusinghe delle nostre eccedenze, che finiscono col dominarci. Diventa imperativo riportare la narrazione su noi stessi, l'Uomo nelle sue limitazioni. La protagonista trova così il suo percorso di formazione nello scoprire che non è sola nelle sue incertezze, nel suo condividere i difetti della mortalità. Riesce alla fine a trovare quella connessione con gli altri (perfino con Peter) che pensava di non possedere.

C'è una netta separazione tra il potente e il potere. Confondere quella separazione o tentare di annullarla coincide col passo fatale che, nel tentativo di abbattere gli orizzonti, abbatte la capacità di orizzontarsi. L'ansia reificante di ciò che "deve" essere diviene la condanna a non vedere ciò che "può" essere.

Assieme a Mary scopriamo che tutto nel mondo è magico. Tranne il mago.


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Più proseguivo con la lettura di "Watashi ni XX Shinasai" e più mi veniva naturale chiedermi: ma queste cose davvero piacciono? L'intera storia sembra scritta da un bambino di 10 anni, inesperto in tutto nella vita e in grado di realizzare solo scene ed epiloghi stupidi. Pieno di azioni e reazioni umane poco realistiche e ai limiti dell'assurdo. Personaggi più che discutibili, a partire dalla protagonista che rimane inerme, lasciandosi trascinare da chiunque come se fosse un giocattolo. Questa ragazzina (non sapendo cosa sia l'amore) ha la "geniale" idea di giocare a fare i fidanzatini e di fare esperienze con persone a cui non è interessata. In questo modo è convinta di poter scoprire cosa significa amare.
O ancora si convince che stando vicina alla persona per la quale aveva una cotta all'asilo potrà capire se quello che prova è davvero amore... Come se una bambina dell'asilo potesse davvero essere innamorata...

attenzione, da qui spoiler
Come ho già detto il problema dell'opera sono i personaggi. Non ne ho trovato uno che tenga un comportamento umano. Mami è una piagnucolona complessata, con un'innata paura per tutto ciò che la circonda e che non ha interesse per nulla se non per il suo adorato Shigure. Hisame è schizzofrenico: un attimo prima è calmo, amichevole e dolce (scopriremo che anche in passato è stato in grado di fare gesti molto premurosi nei confronti di Mami, la quale ovviamente non li noterà) e poco dopo passa alla violenza (verbale, psicologica e fisica). L'apice dell'assurdità, a mio avviso, viene raggiunto quando Hisame scopre che Yukina è in realtà Yupina (e anche qui, complimenti per la fantasia per il nickname) e la minaccerà di rivelare a Shigure la sua vera identità. Spaventata dall'idea che il suo amato Shigure possa scoprire che lei faceva esperienze per il suo libro e non perché provasse interesse per lui (*cosa che gia' sapeva*, visto che fin da subito mette in chiaro che stanno facendo una specie di "gioco"), Yukina decide di assecondare il suo aguzzino facendosi trattare come una bambolina. Ma Yukina cosa pensava? che fosse meglio tradire Shigure piuttosto che fargli scoprire che scrive romanzi per cellulari? Davvero?
La cosa che più ho detestato è il fatto che questa ragazzina si faccia usare, si lasci trascinare e sia succube di tutto quello che vogliono fare i ragazzi che la circondano. Ma davvero alle ragazze piace vedere loro coetanee venire trattate come oggetti?


10.0/10
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Ho iniziato questa serie più per curiosità che per aspettative, pensavo sarebbe stata una serie abbastanza divertente e forse anche un po' trash, invece mi sono dovuto ricredere, "Samurai Gourmet" è sì una serie molto divertente, ma è anche una serie molto dolce e emozionante, tant'è che l'ho terminata guardandola per cinque ore di fila senza fermarmi una volta, cosa che mi succede molto raramente;
"Samurai Gourmet" è una serie di 12 episodi con durata di 20 minuti l'uno, tratto dal omonimo Manga Seinen di Masayuki Kusumi, completo in 2 volumi. Serie attualmente disponibile su Netflix.
La serie narra le vicende di Takashi Kusumi, che ormai sessantenne si ritrova in pensione senza nulla da fare, un giorno la moglie gli consiglia di trovarsi un Hobby.
L'uomo girovagando per la città decide di andare a mangiare fuori da solo.
Una volta fermatosi a una tavola calda decide di ordinare una birra, ma essendo solo le 10 del mattino, l'uomo ci pensa più volte prima di ordinare e proprio in quel momento, appare per la prima volta come una visione, il Samurai, che con fare rude e minaccioso si accinge ad ordinare del saké, il nostro protagonista vedendolo sicuro di sé, decide di prenderlo come esempio da seguire, e dopo vari ripensamenti riesce ad acquisire sicurezza e ad ordinare la birra.

Ammetto che durante la visione mi è spesso capitato di pensare che andando avanti con la visione, la serie potesse rivelarsi in qualche modo ripetitiva, invece devo dire che la serie seppur mantenendo la stessa struttura narrativa del primo episodio, risulta veramente originale e godibile, con storie sempre diverse e mai simili tra loro.
In ogni episodio Takashi, mangia qualcosa di diverso, provando qualsiasi tipo di cucina.
Nella serie oltre ai piatti preparati e poi mangiati dal protagonista, ci viene mostrato anche come l'ambiente circostante (Atmosfera e Clientela) cambino e come gli usi e i costumi di un determinato paese siano differenti, col variare dei locali, un esempio può essere l'episodio ambientato nel ristorante italiano...
Durante la serie, il protagonista verrà spesso preso da ricordi del suo passato, inerenti al luogo dove mangia in quel momento, facendo spesso partire flashback molto nostalgici e dolci, riuscendo addirittura a commuovere lo spettatore con una tenerezza disarmante.
Gli episodi in generale sono molto lenti, la serie non va mai di fretta, e nonostante la lentezza dello svolgimento degli episodi, l'opera riesce ad essere molto fluida e uno slice of life molto rilassante ed emozionante.

I personaggi sono relativamente pochi, sono soltanto tre, Takashi, sua moglie e il samurai che è frutto della mente del protagonista, altri personaggi fanno solamente da comparse, ma nonostante ciò sono comunque protagonisti insieme a Takashi di gag e sottotrame esilaranti.
Gli attori li ho trovati impeccabili, hanno saputo interpretare il loro ruolo in modo eccezionale, ho amato tantissimo il protagonista che cercava in tutti i modi di imitare il samurai, fallendo miseramente, ho adorato tantissimo il suo modo di esporsi con gli altri personaggi, che ho trovato simpatici con le loro espressioni facciali, molto spesso soddisfatti di qualcosa o semplicemente perché erano allegri.
Naoto Takenaka, nei panni di Takashi, è riuscito a farmi emozionare più di una volta con la sua tenerezza sconfinata e con la sua spensieratezza da pensionato, che vuole godersi finalmente la propria vita.

Per creare un'ottima atmosfera attorno ai personaggi e le ambientazioni, c'è bisogno anche di una buona regia, che nella sua semplicità fa bene il suo lavoro, soprattutto nell'episodio finale, riuscendo a far emozionare lo spettatore con riprese che con l'aiuto delle OST, riescono a farti immergere totalmente nella vicenda narrata.
A tratti la regia mi ha addirittura ricordato dei documentari, non sembrava più una serie tv qualsiasi su Netflix, sembrava un vero e proprio documentario sul cibo e sulla cultura nipponica, facendo vedere ad ogni episodio in che modo le pietanze venissero preparate dai veri chef!
Oltre alla regia, ho apprezzato molto i cambiamenti di tonalità della luce, che con lo svolgimento dell'episodio cambiano da chiare e dolci a cupe con filtro di colore giallo, questo variare di luci avviene solamente durante l'apparizione del samurai e tutto ciò a mio parere da' quel tocco di storico all'opera.
Tutto questo viene rafforzato da delle OST magnifiche, che ho trovato molto azzeccate col susseguirsi delle vicende. Da ricordare la bellissima ending a ogni episodio;
Infine, consiglio a tutti gli amanti della cucina e non, questa bellissima serie, che oltre a farvi emozionare con momenti nostalgici e divertire con gag molto originali, riesce anche a farvi riflettere su come il lavoro per i giapponesi sia così importante, addirittura più della loro stessa vita. Come voto assegno un bel 10.