Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

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Spin-off della celebre serie "Hibike! Euphonium" della Kyoto Animation, ambientato temporalmente sempre durante le vicende del primo anno di Oumae Kumiko e Kosaka Reina, "Liz and the Blue Bird" inserisce un altro tassello importante per la risoluzione del rapporto tra le due studentesse dell'orchestra del liceo Kitaiju e coprotagoniste della seconda stagione, Yoroizuka Mizore e Kasaki Nozomi.

Pur azzardando una scelta singolare per quanto riguarda il charachter design dei personaggi, discostandosi dallo stile della serie televisiva e vincendo, tra l'atro, a mio parere, la scommessa, il comparto tecnico nel suo insieme e la fine sceneggiatura ne fanno uno dei prodotti meglio riusciti nel suo genere. Personalmente, non ho problemi a considerarlo un capolavoro.
Le musiche, a tratti evocative, creano (e supportano) una sinergia tematica con la regia, che costituisce la punta di diamante e colonna portante dell'opera, valorizzandola enormemente.
Oltre a una sufficiente componente dialogica, la maggiore espressività delle vicende risiede nel linguaggio visivo offerto dalle inequivocabili inquadrature, che sembrano quasi urlare allo spettatore tutto il sommerso del non detto e, soprattutto, integrato con le precedenti, il linguaggio del corpo, al quale viene prestata molta attenzione (soprattutto per quanto riguarda Nozomi).
Da non trascurare, inoltre, la buonissima qualità delle animazioni, le quali contornano il nucleo qualitativo dell'opera, nella loro piacevolissima fluidità, soprattutto per quanto riguarda le affascinanti e trasfiguranti scene iniziali e finali del film, che nella loro speculare dicotomia racchiudono tutto il significato del lungometraggio.

In virtù di queste considerazioni quanto più tecniche possibili, oltre a un inevitabile e personale coinvolgimento di cuore, il mio voto non può che rasentare il massimo consentito: 9,5.

4.5/10
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“Sekkou Boys” è un anime di dodici episodi, brevi (è un bene o un male?) del 2021 e racconta in chiave parodiata la vita e le vicende di una boy band poco convenzionale. I suoi membri hanno un’etica marmorea e i loro curriculum sono scultorei, non per nulla sono statue.

Abbiamo il focoso Mars, passionale e incline agli scandali leggeri; Medici, il cherubino del gruppo dai tratti angelici che adora le sue fan, che chiama “le sue gemme”; Hermes, scaltro, chiacchierone, ma signore degli imbrogli e dei sotterfugi; e infine (San) Giorgio, il band-leader, misurato, poco loquace, dalle battute orrende ma dall’immensa rettitudine morale. I quattro rappresentano, se vogliamo, il meglio e il peggio delle boy band.
La loro manager è la povera Ishimoto, che, fuggita dall’accademia d’arte per colpa delle sculture, si ritrova a lavorare con e per loro. Dopo un primo momento di scoramento, decide di fare del suo meglio. Il suo spirito di sacrificio e la sua determinazione, unita al bisogno di imparare come muoversi nel mondo dello spettacolo che sognava, ma che non conosce, la rendono dolcemente umana. Inoltre, la sua infinita pazienza verso i quattro ceffi che deve guidare al successo la fanno parere irreale.
C’è poi Mira, idol che canta, la quale ha una simpatia per la band e viene ricambiata, apparendo e riapparendo felice e colorata ad ogni puntata.

Nel mondo delle parodie l’impossibile diventa lecito, e allora ecco il mondo acclamare questi busti che cantano, che vanno al bar, hanno casa propria e avventure truffaldine o romantiche. Ci sono anche altri busti noti, che appaiono in un episodio ignobilmente noioso di chiacchiere e basta, o occhieggiano da un armadio (ma che ci faceva là Agrippa?). Negli spettacoli musicali appare pure una band di statue dorate che vuole fare il verso alle band composte da migliaia di membri, ognuno che canta il suo pezzo da solista.

Da una freschezza iniziale, data dal potere del paradosso che fa ridere davvero, la comicità comincia a scemare e le situazioni diventeranno imprendibili e così assurde, da scatenare prima fastidio, poi noia.
La struttura narrativa è ultra-snella, potendo contare solo su episodi di otto minuti. Il pregio è che non sono tutti autoconclusivi e tutto sommato una trama in crescendo c’è, infatti da una situazione di partenza, con i boys sconosciuti in attesa del grande lancio, alla fine abbiamo il gruppo ben noto e acclamato.
Ma c’è un ma: gli eventi scorrono rapidi senza un decente studio psicologico. È una gara di macchiette senza profondità. Ogni azione è poco più di un colpo di testa e gli intrecci si risolvono presto e in modo pilotato.

La grafica dei personaggi è gradevole ma non eccellente, mentre quella delle statue è favolosa. Mi ha colpito l’espediente di dare voci piene di passioni a statue immobili... è strano, ma funziona!

L’opening e l’ending, orecchiabili, riassumono con precisione l’anime: ci sono i quattro personaggi principali e Ishimoto in chiave piuttosto carina e simpatica.

L’idea è buona, ma perde brillantezza strada facendo, diventando un ‘mappazzone’ snervante. Io l’ho terminato solo perché era breve, altrimenti non ne avrei avuta la forza. L’espediente narrativo può funzionare, ma la narrazione si perde in infinite gag e dialoghi fulminanti non molto divertenti e quasi fini a sé stessi. Visto con leggerezza, non è male, se piace il genere. Personalmente, non sono riuscita ad apprezzare quest’opera.

8.0/10
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Hiromu Akita degli Amazarashi, per quel che mi riguarda, non sbaglia un colpo.
Non è la prima volta che, ascoltando la sua voce calda e graffiante, il mio cuore vibra forte, e senza nemmeno il bisogno di conoscere il significato del testo.
Provate a guardare questo video musicale animato senza sottotitoli, e verificate da voi stessi le emozioni che vi suscita nonostante non ne comprendiate le parole.

Un uomo e una donna, una passione che li unisce: la pittura. O meglio, la passione ce l'ha lui. Lei dimostra di apprezzare, magari ama quest'uomo pure per questo suo aspetto, e lui, magari, ama questa donna perché dimostra che vuole far parte di quel suo mondo, fatto di colori e tele.
Ma poi qualcosa cambia. Quella passione che un tempo condividevano e li univa ora li separa. Quella passione esplosiva di lui, fatta di gioie, ma anche di tormenti, diventa un ostacolo, diventa motivo invalicabile di dissapori.

Quante volte le persone si avvicinano a noi apprezzando una nostra caratteristica che ci contraddistingue, andando così a toccare le nostre corde più profonde? Vien da chiedersi se lo fanno perché vogliono arrivare esclusivamente a noi, "per averci", o se lo fanno perché si sono sinceramente affezionate alla persona che siamo, e a tutto quello che ci riguarda.
Molte volte questo interessamento non è "disinteressato", ma diventa un espediente, un mezzo, per toccare l'altro. Ma i nodi vengono presto al pettine, se non c'è un'accettazione totale e sincera. L'altro, se lo ami, se gli vuoi bene, lo accetti e lo rispetti con tutte le sue glorie, con tutti i suoi demoni. E soprattutto, se le cose non vanno lisce come si pensa, non si distrugge la passione dell'altro. È quello che fa la nostra protagonista, che, presa dall'ira, accecata dal fantasma dell'incomprensione, fa a pezzi, letteralmente, le tele di lui, portando il loro rapporto in un abisso.
Tuttavia, sarà quella sua stessa arte, quella sua stessa passione dirompente, a salvare l'uomo. Messaggio, questo, che ci arriva chiaramente in una scena in cui lo si vede affogare e si salva solo aggrappandosi ad un pennello, la sua unica via di scampo.
Un messaggio la cui interpretazione sta nel prendere coscienza che, nella vita, l'unica persona che non ci abbandona mai siamo proprio noi stessi, e nei momenti in cui ci sentiamo perduti, per ritrovarsi, aggrapparsi alle proprie passioni diventa un'àncora di salvezza. "Noi" siamo le nostre passioni. Se dipingere, così come suonare uno strumento, o dedicarsi a uno sport ci dà gioia, sentiamo che sono attività dalle quali non ci potremmo separare mai, significa che fanno parte della nostra essenza, sono passioni che vanno coltivate, rispettate e soprattutto custodite come grandi tesori proprio nei momenti più bui. A privarsene non saremmo più gli stessi, ad onorarle celebriamo noi stessi.

Osservando il video da un punto di vista grafico, l'ho trovato piuttosto interessante, direi sperimentale. D'altronde il protagonista è un pittore e in qualche modo si è voluto trovare un timbro originale che richiamasse all'arte della pittura. I disegni, dai colori pastello, sono semplici e lineari, sembrano fatti ad acquerello. E le animazioni sono davvero fluide, stupende nei fotogrammi in cui i due protagonisti sono rappresentati come due fiori, i cui petali si uniscono e si intrecciano tra di loro, simulando un'unione di corpi e anime. Magnifica la scena in cui il protagonista diventa artefice lui stesso dei disegni/dipinti che noi vediamo scorrere sullo schermo, anzi, schiaffeggiati in pieno... Video!
Da un punto di vista musicale, sulla voce del cantante mi sono già espressa, e sebbene questo pezzo non sia tra i brani suoi che io prediligo, l'insieme che ne esce è comunque di rilievo. Vista la traduzione del testo, anche quello sa il fatto suo e ci dà spunti ulteriori su cui riflettere.

Tornando alla storia di questo video, la protagonista, se davvero conoscesse a fondo e accettasse completamente il suo uomo, capirebbe che la sua arte, con tutto quello che c'è di bello e di brutto, fa parte del suo essere, e non lo si può condannare per questo. Ergo... È amore il suo?

"L'amore finge di essere amore e ti lascia ingoiare tutto..."... Dice il cantante.
Se "l'amore" ti fa ingoiare tutto, prima o poi soffochi e sputi quello che sei. Teniamoci strette le nostre passioni. Dico io.