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Léon

Volumi letti: 1/1 --- Voto 9
Sarebbe bello poter fuggire dalla realtà quando la vita diventa insostenibile e opprimente, per magari approdare in un mondo in cui la magia e l’incanto allontanino, anche solo per poche ore, le frustrazioni che, volenti o nolenti, siamo costretti a sopportare. E se siamo appena adolescenti, e la scuola non è quel luogo accogliente che dovrebbe essere, tutto si amplifica fino a immobilizzarci, fino a relegarci in una dolorosa dimensione di solitudine e sconforto che è tanto più grave proprio per la giovane età che stiamo vivendo. Un’età in cui tutto dovrebbe essere scoperta e meraviglia, in qualsiasi condizione sociale e a qualsiasi latitudine, proprio come avviene ai protagonisti di ogni fiaba degna di questo nome. Ed è molto più che degna, la fiaba che ci racconta per oltre 450 pagine la scrittrice giapponese Mizuki Tsujimura, immaginando una storia di adolescenti vittime della dispersione scolastica e delle proprie insicurezze, dovute sovente a bullismo o problemi di integrazione, i quali si ritrovano simultaneamente in un mondo magico raggiungibile attraversando lo specchio della propria camera da letto.

Siamo a Tokyo. Kokoro ha tredici anni, e passa le giornate rintanata nella sua stanza da letto in compagnia esclusiva dei suoi programmi televisivi preferiti. Da quando a scuola le cose si sono fatte complicate, ha scelto di vivere così il suo disagio. Ma un giorno, d’improvviso, una luce accecante proveniente dallo specchio della camera la catapulta in un castello abitato da una strana bambina con la maschera da lupo e da sei ragazzi più o meno della sua età. Cos’è questo posto e chi sono gli altri sei ragazzi e perché – proprio loro – sono stai “chiamati” in quel luogo? E, soprattutto, chi è la bambina con la maschera di lupo? Ad alcune di queste domande darà una vaga risposta – perlopiù enigmi, più che vere risposte – proprio la Bambina Lupo, la quale lancerà loro una sfida a cui avranno un anno di tempo per rispondere in modo adeguato. Sfida che accetteranno, consci ognuno della propria singolare situazione, rispetto ai coetanei del mondo fuori dal castello. Il castello della Bambina Lupo sarà per loro accessibile ogni giorno dalle 12 alle 17, ora del Giappone; ma mai oltre, pena farsi divorare da un terribile lupo che comincerà ad emettere i suoi terrificanti ululati quindici minuti prima del tempo di rientro inderogabilmente stabilito. Sorpresi e incuriositi, i 6 ragazzi cominciano a incontrarsi tutti i giorni al castello, per esplorarlo in cerca della fantomatica chiave dei desideri che solo uno di loro avrebbe potuto utilizzare per esaudire il proprio. Ma più il tempo trascorre, più l’amicizia tra loro si cementa e il desiderio di trovare la chiave sembra progressivamente sfumare. E cominciano ad essere diverse le questioni che turbano il loro soggiorno, prima tra tutte quella se utilizzare o meno la chiave, una volta trovata, in quanto l’esaudirsi del desiderio – chiunque di loro l’avesse espresso – avrebbe cancellato di quel mondo, e del loro incontro, ogni ricordo.

Molto più complesso e originale di quel che può apparire da una (volutamente) essenziale introduzione, Il castello invisibile è un libro che omaggia apertamente le grandi fiabe europee (Hans Christian Andersen e i fratelli Grimm) e che si presta all’uso dei superlativi come pochissimi altri contemporanei del suo genere. È davvero un’opera potente e rigenerante da qualsiasi ottica la si voglia analizzare, sia per lo sviluppo delle tematiche che per un intreccio il quale, man mano che la storia si dipana, sorprende, avvince ed emoziona, fino a commuovere con infinita purezza e senza alcun inganno di sorta, se non quello di parlarci di un universo immaginario raggiungibile attraverso uno specchio. Ma che i i mondi immaginifici siano un inganno è poi tutto da dimostrare, come insegna Hayao Miyazaki, allo spirito delle opere del quale la narratrice nipponica sembra essersi interamente votata partorendo questa storia di adolescenti in difficoltà collegati tra loro dal destino e da un amore fraterno che infrange le barriere dello spazio e del tempo, per ritrovare la memoria di un vissuto improbabile solo per chi ha perduto l’innocenza dei sogni. C’è molto dei motivi profondi di un capolavoro d’animazione come La città incantata nei geni de Il castello invisibile, sia per alcuni concetti essenziali che connotano l’opera che per una consecutio che sceglie di disvelare gli arcani del racconto restituendo al lettore quell’intima e irrinunciabile emozione di sorprendersi, destabilizzarsi e ritrovarsi lungo tutto l’arco della progressione narrativa. Fino a immedesimarsi non tanto in un singolo personaggio, ma nello spirito della fiaba – cosa che, a modesto parere di chi vi parla, è tutto ciò che dovremmo cercare quando ci immergiamo nella lettura di un romanzo.

Partendo dall’analisi della condizione degli hikikomori (termine giapponese usato per definire coloro che si ritirano dalla vita sociale) Mizuki Tsujimura costruisce, attraverso la metafora del castello, un luogo immaginario ma al contempo credibile e realistico per i suoi protagonisti, nel quale ritrovare una dimensione sociale e soprattutto cementare un rapporto d’amicizia tra coetanei adolescenti che altrove – nel mondo reale – sembra difficile poter realizzare. Il confronto con l’altro da sé, in una relazione assolutamente paritaria in cui l’antagonismo e gli egoismi non hanno ragione di esistere, permette ai 6 ragazzi non solo di aprirsi all’alterità ma anche di conoscere meglio sé stessi. Conoscere e conoscersi consente loro di svelare gli enigmi della Bambina Lupo e di scoprire una verità che, per quanto improbabile, è l’unica veramente possibile. Nulla è casuale nel castello invisibile – c’è una circolarità, una geometria invidiabile nell’intera costruzione della Tsujimura – e ognuno dei 6 ragazzi ha un motivo fondamentale per essere stato invitato in quel luogo dall’enigmatica Bambina Lupo.

Alternando la narrazione tra vita nel mondo reale e ritorni al castello, Mizuki Tsujimura, nei panni ideali della Bambina Lupo, suo indubitabile alter ego, conduce pian piano i ragazzi – e con loro il lettore – a trovare il senso di quel percorso, confermando a suo modo, ad uno di essi, negli istanti precedenti al suo ritorno definitivo alla realtà, quello che il ragazzo stesso aveva sempre immaginato. Quando la vibrante scrittura dell’autrice nipponica vi accompagnerà lungo le intense ultime 50 pagine di quest’opera indimenticabile, non potrete far altro che trattenere il fiato e continuare a leggere sussultando ad ogni passo, perché allora vi sarà chiara l’origine della storia. Vi sarà chiaro come solo l’amore, quell’amore che possono provare due fratellini costretti a dirsi addio per sempre, può dar luogo alla fiaba che vi è stata raccontata. Vi sarà chiaro cosa significa, veramente, “immaginazione al potere”. Vi sarà chiaro infine come nulla, nella vita, sia più prezioso e irrinunciabile dei ricordi.