Nella notte fra il 2 e il 3 maggio, sul palco del Teatro Nuovo Giovanni da Udine, la direttrice del Far East Film Festival 27 Sabrina Baracetti ha annunciato la conclusione della kermesse con l’attesa assegnazione dei “gelsi”, ovvero i premi attribuiti  alle varie categorie.
 
FEFF salone 2025

A trionfare quest'anno è stata la Cina, con il primo posto di Her Story della regista Yi-hui Shao, che si porta a casa l’ambito Gelso D’Oro come miglior film decretato dal pubblico; cinese è anche la pellicola Like a rolling stone di Li Chuan Yin classificatasi al terzo posto.
Al secondo posto, invece, l'intenso film hongkonghese The Last Dance di Anselm Chan, che riceve il Gelso D'Argento, nonché il Gelso Nero assegnato dalla categoria di accreditati Black Dragon.
  


Tutti i premi in ordine di assegnazione:


-Gelso Viola degli utenti di “Mymoviesone”: Silent City Driver, Janchivdorj SENGEDORJ, Mongolia 2024
 
-Gelso per la Migliore Sceneggiatura al film Welcome to the Village, JOJO Hideo, Giappone 2025
 
-Gelso Bianco per la Migliore Opera Prima:-Gelso Nero, premio Black Dragon: The Last Dance – Extended Version, Anselm CHAN, Hong Kong 2025

-Gelso di Cristallo Audience Awards terzo classificato al film Like a Rolling Stone, YIN Lichuan, Cina 2024 (punteggio di 4,36 su 5)
 
-Gelso d’Argento Audience Awards secondo classificato al film  The Last Dance – Extended Version, Anselm CHAN, Hong Kong 2025 (punteggio di 4,48 su 5)
 
-Gelso d’Oro Audience Awards primo classificato al film Her Story, SHAO Yihui, Cina 2024 (punteggio di 4,49 su 5), nella foto sottostante
 
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Riportiamo il comunicato stampa completo, per poi lasciarvi alle nostre recensioni e impressioni sui film vincitori.
Nei prossimi giorni sul nostro sito potrete trovare inoltre gli approfondimenti con le interviste a registi e autori premiati e non.
 
«Il tempo in cui viviamo è davvero folle, folle e caotico, ma per nostra fortuna esistono ancora i film e possiamo ancora decidere di andare a chiuderci dentro un cinema. Ridendo, piangendo, sognando. Per due ore, almeno per due ore, nessuno deve impedirci di pensare che il mondo sia ancora un posto bellissimo!».

Le parole della mitica superstar taiwanese Sylvia Chang, incoronata sul palco del Teatro Nuovo “Giovanni da Udine” con il Gelso d’Oro alla Carriera, descrivono perfettamente lo spirito del Far East Film Festival e l’energia dell’edizione appena conclusa. La numero 27. Un’edizione che ha puntato lo sguardo sulle urgenze narrative dell’Asia contemporanea, spaziando tra i generi e costruendo una line-up particolarmente attenta ai temi sociali.

Il FEFF 27 ha portato a Udine 77 film (12 anteprime mondiali, 22 internazionali, 23 europee e 19 italiane da 12 paesi), 220 ospiti d’onore (tra cui, appunto, Sylvia Chang e il leggendario Tsui Hark, premiati entrambi con il Gelso d’Oro alla Carriera) e 65 mila spettatori.
«Mai come quest’anno - sottolineano Sabrina Baracetti e Thomas Bertacche, fondatori del FEFF - abbiamo sentito l’affettuosa vicinanza degli udinesi e l’orgoglio della città per il festival. Sommando le presenze in sala, tra il Teatro Nuovo e il Visionario, possiamo calcolare matematicamente 65 mila spettatori, sì, ma contare tutte le persone effettivamente colpite dal “mood asiatico” è impossibile!». Proprio i voti degli spettatori, giudici supremi dei titoli in concorso fin dal 1999, hanno determinato anche l’attesissimo podio 2025.
 
Her Story Cell

Il pubblico ha incoronato con il Gelso d’Oro il campione d’incassi Her Story della regista Yihui Shao, autentico fenomeno di costume in patria, premiando con il Gelso d’Argento l’hongkonghese The Last Dance - Extended Version di Anselm Chan e con il Gelso di Cristallo Like a Rolling Stone della regista Yin Lichuan. Al primo e al secondo posto, dunque, due dei titoli più emblematici dell’intera selezione: provengono entrambi dalla Cina continentale, sviluppano entrambi il tema della gender equality e portano entrambi una firma femminile.

Se anche gli accreditati Black Dragon hanno scelto The Last Dance – Extended Version di Anselm Chan, i tre giurati della sezione opere prime (Kim Yutani, Sakoda Shinji e la celebrity giapponese Megumi) hanno destinato il Gelso Bianco a Diamonds in the Sand della regista filippina Janus Victoria.
Il Gelso per la Miglior Sceneggiatura lo ha invece conquistato il thriller psicologico giapponese Welcome to the Village di Jojo Hideo; i tre giurati Massimo Gaudioso, Silvia D’Amico e Francesco Munzi, in forza al Premio internazionale “Sergio Amidei” di Gorizia, hanno anche assegnato una menzione speciale alla love story animata sudcoreana The Square di Kim Bo-sol.

Più di 3000 sono stati gli ospiti che il FEFF 27 ha dislocato nelle varie strutture ricettive della città, mentre il numero degli accrediti ha raggiunto la quota record di 1993. Appassionati, giornalisti, esperti, addetti ai lavori, semplici “curiosi” e 130 studenti universitari di cinema (Italia, Regno Unito, Austria, Slovacchia, Ungheria, Singapore), a dimostrazione di quanto sia alta la soglia di attenzione da parte dei fareastiani più giovani. Oltre 200, poi, i professionisti arrivati da tutta Europa per le sessioni industry di Focus Asia (il progetto Filippino What’s Left of Us ha vinto il TAICCA/Focus Asia Co-Production Award) e circa 20 mila le persone che hanno invece preso parte ai Far East Film Events, disseminati nel centro di Udine, includendo i visitatori della grande mostra Mondo Mizuki, Mondo Yokai.
 
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Il FEFF online, in streaming su MYmovies ONE con 23 titoli, ha infine superato le 10 mila ore complessive di visione.
Tra i titoli più amati dagli spettatori, oltre al durissimo noir mongolo Silent City Driver di Janchivdorj Sengedorj (la community di MYmovies, ricordiamo, gli ha attribuito il Gelso Viola), va segnalato il thriller giapponese A Bad Summer di Hideo Jojo con 1426 ore.

Adesso non resta che segnare sul calendario le date della 28ª edizione, ricordando le parole con cui Tsui Hark si è congedato dal pubblico del Teatro Nuovo:
 
«Auguro a tutta la comunità del Far East Film Festival di godere sempre, come in questi giorni, delle meravigliose scoperte che il cinema porta con sé».

Appuntamento a Udine dal 24 aprile al 2 maggio 2026!  
 

HER STORY: recensione breve

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Un vero spettacolo, in tutti i sensi.
Spigliato, divertente, sardonico e irriverente; ma anche brillante, spiazzante e persino delirante, spregiudicato e scoppiettante. Impossibile declamare in pochi epiteti il freschissimo brio che Her Story è capace di sprigionare, imbrigliando agilmente l'attenzione dello spettatore senza permettergli più di lasciarla, per tutti i 123 minuti della durata del film.
La "storia di lei" è quella di Tiemei, donna in carriera che dopo il divorzio lascia l'insipido marito, traslocando presso un nuovo complesso di appartamenti con la figlioletta Molly. Lasciate andare le pretese di un lavoro giornalistico che per troppo tempo l'ha sottratta a ciò che più conta, Tiemei intende riappropriarsi del tempo e del rapporto con la figlia, la quale dietro espressioni e mimiche di costante imperturbabilità rivela una maturità e un'arguzia decisamente precoci; le due stringono amicizia con la vicina di casa Ye, una giovane e romantica musicista di talento che diviene ben presto, quand'anche inaspettatamente, la migliore amica di entrambe.
Il "lei" è pertanto declinato su tre figure diverse per personalità, età e obiettivi, ma piacevolmente complementari: il dipanarsi delle vicende di ciascuna va a concatenarsi un pezzo dopo l'altro, componendo un puzzle familiare (e non) sfaccettato e decisamente ben sceneggiato.
Al di sopra di ogni altra cosa, la forza del film risiede dunque in primo luogo nei dialoghi fitti e graffianti: filtrati da un'affilata autoironia in chiave femminista, essi toccano sagaci e pungenti i temi dell'amicizia, della famiglia, della musica, delle relazioni sentimentali tra adulti, del rapporto uomo/donna in ogni ambito di vita, del bisogno estremo di prendersi cura di sé e scoprire il ruolo più adatto a sé, che faccia fiorire i propri talenti.
Her Story è un tripudio di battute acute e di risate, di ruoli che si rovesciano e si ripristinano, di porte sbattute in faccia e opportunità che si spalancano, del prendersi saldamente per mano respirando in fiducia a pieni polmoni, di occhiolini strizzati a destra e a manca e suggestioni senza fine. Più che alle donne per le donne, Her Story sa infatti parlare a chiunque e su chiunque puntare ironicamente il dito, senza perbenismo né ipocrisia, ma persino senza condanna.
Parrebbe quasi ridondante, a questo punto, sottolineare la buona prova attoriale sui vari personaggi, e la fotografia che serba una consistenza deliziosamente appagante in ogni singolo frame.
E' una mossa perspicace quella di far ridere sonoramente il suo pubblico, uscendo deliziati e stimolati dalla visione del film, a maggior ragione considerando il frangente storico in cui il mondo intero si trova oggi.
Siamo dunque di fronte a un'opera dissacrante e disinvolta, che merita tutto il successo riscosso in patria; la pellicola merita di replicarlo ancora, a onor del vero, anche ben al di fuori del mero circuito asiatico.
 
Autore: 

 

THE LAST DANCE - EXTENDED VERSION: recensione breve

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Secondo la tradizione taoista, la cerimonia funebre prevede un rito di passaggio tanto nobile, scenografico e affascinante quanto importante per l'anima del defunto: spezzare per lui le porte dell'inferno, attraverso l'utilizzo del fuoco e di una spada sacra, diviene così il mezzo per consentirgli di lasciare il mondo terreno e poter ascendere serenamente al Cielo. E' proprio questa "l'ultima danza" citata nel titolo della pellicola The Last Dance, proposta al pubblico udinese nella sua versione estesa, ovvero con ben dieci minuti di scene e dialoghi inediti rispetto al primo rilascio avvenuto nei cinema asiatici. 
Il protagonista Dominic Ngai, sommerso dai debiti dopo il fallimento della propria attività come wedding planner causato dalla pandemia globale, non è religioso e nemmeno interessato ai riti funebri; la sua prospettiva muta di colpo, tuttavia, quando per sopravvivere egli si ritrova a prendere in mano proprio un'attività di pompe funebri. Dominic non nasconde il suo essere venale, desideroso di arricchirsi per potersi lasciare l'incubo dei debiti alle spalle il prima possibile; la preparazione delle salme non è però un lavoro come gli altri, né un'attività che si possa praticare con indifferenza. Le casistiche che gli si presentano innanzi diventano pertanto l'occasione sia per lui che per lo spettatore di entrare in un'ottica completamente diversa: quella della compostezza del dolore, del modo di approcciarsi alle famiglie coinvolte, dell'apprendimento dei rituali di tanatoestetica.
Pur affrontando tematiche certo parallele al celebrato film nipponico Departures, The Last Dance se ne discosta riuscendo a mantenere una propria distinta identità, forse più ruvida e cruda, ma non meno sentita né intensa; parallelamente al percorso di Dominic, la storia mostra i risvolti familiari del suo brusco e anziano socio in affari "Hello Man", sacerdote taoista ritenuto una vera e propria autorità nel settore, venerata e temuta da chiunque, figli compresi. Man non si fa scrupolo di attenersi ai precetti tramandati dagli antenati di generazione in generazione: "le donne sono sporche e impure a causa del ciclo mestruale", tuona l'uomo ripetutamente. Il rapporto messo a repentaglio con la determinata e indipendente figlia Yuet diventa ben presto l'altro cuore pulsante del film: una visione sontuosa che mette a disposizione profondi spunti di riflessione.
Autore: 
 

LIKE A ROLLING STONE: recensione breve

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Like a Rolling Stone colpisce per la delicatezza e l'onestà con cui racconta una figura femminile spesso messa ai margini della propria storia.
La protagonista è sempre "qualcosa per qualcun altro" – figlia, madre, moglie, lavoratrice, nonna – e raramente sé stessa, ma il film si prende il tempo di restituirle la possibilità di essere, prima di tutto, una persona con i propri sogni ed aspirazioni.
Quello che ho apprezzato maggiormente è il modo in cui il racconto riesce a essere universale partendo da un'esperienza profondamente individuale: non c'è mai la volontà di generalizzare o di trasformare il vissuto personale in una "causa" astratta.
Attraverso il ritratto di una sola vita, Like a Rolling Stone riesce a dare voce a molte, offrendo uno specchio in cui riconoscersi senza forzature e senza retorica.
Il film evita facili scorciatoie emotive, rimanendo sempre sincero e sobrio, e proprio per questo riesce a parlare con forza.
È un'opera che emoziona, lasciando spazio a chi guarda di ritrovarsi nei silenzi, nelle scelte mancate, nelle rinunce, nei piccoli gesti quotidiani che, sommati, costruiscono un'intera esistenza.
Autore: mxcol
 

SILENT CITY DRIVER: recensione breve

silent city
Silent City Driver, film mongolo del 2024 diretto da Janchivdorj Sengedorj e scritto da Nomuunzul Turmunkh, è una potente storia di solitudini che si incontrano e di una ricerca di riscatto che termina con un gesto estremo e scioccante.
Il protagonista Myagmar è un ex detenuto profondamente segnato, che vive ai margini della società. Abita con i cani randagi che accoglie e lavora come autista di carro funebre, ma l'inattesa conoscenza di Saruul, figlia di un falegname cieco di bare, riaccende in lui la scintilla e il desiderio di connessione umana. 
Premiato con il Grand Prix per il miglior film  al Tallinn Black Nights Film Festival 2024, questo è uno dei rari film in cui ogni minuto è pienamente giustificato: procede lento e meditativo, scava a fondo nei silenzi e nei gesti ed è elevato dalla fotografia desaturata di Enkhbayar Enkhtur che restituisce tutta la sofferenza psicologica ed emozionale del protagonista. 
Il film è ambientato in una città che sembra un girone infernale senza fiamme, ma pieno di anime perse. Il paesaggio urbano è spoglio, anonimo, quasi asettico. Potrebbe essere ovunque e in nessun luogo, e proprio per questo si trasforma in una sorta di limbo esistenziale, dove i personaggi si muovono come spettri alla deriva
In un’intervista la sceneggiatrice ha dichiarato di aver voluto intrecciare nel racconto temi legati alla filosofia buddhista, al karma e al profondo bisogno d’amore degli esseri umani, che troppo spesso, anziché cercare compassione e armonia, si fanno male l’un l’altro. Il rapporto tra Myagmar e Saruul è costruito su queste basi filosofiche. Cammina su una tensione complessa che intreccia desiderio, bisogno (di legami) e ricerca di riscatto. Quello del protagonista non è dunque un suo "progetto sociale" teso a salvare Saruul tout court, ma più un desiderio di redenzione dal proprio passato, unito a un coinvolgimento affettivo crescente ed evidente, seppur trattenuto.  
Il giovane monaco che accompagna Myagmar nei suoi "viaggi", si fa invece veicolo di una profonda riflessione spirituale. Questi espone una visione completamente diversa della vita e della morte e il contrasto tra la sua tranquillità e il tormento dell'autista diventa parte di una meditazione sul disagio interiore. Nel buddismo, la sofferenza è vista come una condizione universale da comprendere e accettare, e non come qualcosa da combattere o "risolvere" in senso occidentale. Quasi fosse quindi un simbolo di speranza, il monaco trasmette al protagonista alcuni insegnamenti buddhisti, suggerendo che la vera via di salvezza non risiede nel rifiuto del proprio essere, ma nella consapevolezza e nella compassione verso sé stessi e gli altri.
Queste riflessioni sono poi accompagnate dalla canzone ricorrente "Comme un Boomerang", di Serge Gainsbourg, che aggiunge malinconia, sottolineando costantemente che anche quando si tenta di fuggire da sé stessi il passato torna sempre a farsi sentire.
Un'opera intensa e suggestiva, su un uomo tormentato, alla ricerca di una riconciliazione con la propria esistenza. 
Il gesto finale con cui si chiude il film è anche particolarmente criptico: forma estrema di espiazione o unione di due emarginati? Rifiuto totale del mondo o metafora della prigione interiore? Oppure il distacco dall'ego e la consapevolezza della connessione profonda con la sofferenza universale, in chiave buddhista? Una scelta registica tanto estrema che non offre risposte univoche, ma resta incisa nella memoria, lasciandoci il compito di decifrarne i significati.
Autore: Rudido
 

DIAMONDS IN THE SAND: recensione breve

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Quello del "Kodokushi", ovvero della morte in solitaria, è lo spunto attraverso il quale la regista filippina Janus Victoria e la produttrice malese Lorna Tee fanno intraprendere al protagonista della storia un percorso alla ricerca di un possibile frammento di felicità. Un "diamante tra la sabbia", per l'appunto.
Yoji è un giapponese di mezza età che vive a Tokyo, interpretato con misurata compostezza dall'attore di fama internazionale Lily Franky: uno sgradevole incidente con l'anziano vicino di casa, morto in solitudine da mesi, conduce Yoji a chiedersi che ne è della propria esistenza e della direzione che essa potrà prendere nell'immediato futuro e oltre.
Toccherà anche a lui subire quella stessa triste tipologia di morte, dopo essersi ritrovato senza un lavoro e privo di affetti a vincolarlo nella sua madrepatria?
L'interessante confronto con l'ex badante filippina della madre, una donna affabile ed elegante, colta e intelligente, diviene così per l'uomo l'occasione per un viaggio in quelle terre vibranti di colori, tanto rumorose quanto accoglienti.
Nelle Filippine "non si muore soli nemmeno volendolo", si cita nel film; l'opera pone interrogativi di rilievo su temi di estrema attualità, che non rimangono confinati al solo Giappone, ma che possono dirsi comuni a molti dei Paesi più civilizzati al mondo.
Nel racconto, anche i suggestivi ambienti e panorami si fanno parte integrante della personalità del film; essi appagano l'attenzione e solleticano la curiosità dello spettatore al tempo stesso, il quale si sente viaggiatore e attento osservatore almeno al pari di Yoji, nel guardarsi attorno.
E' una co-produzione ambiziosa, quella di Diamonds in the sand, che ha richiesto un quantitativo di anni non indifferente, dietro le quinte, prima di poter vedere la luce; il risultato, tuttavia, ripaga di tutto il tempo e le difficoltà riscontrate durante il lungo percorso.
Autore: 


Per le nostre impressioni su alcuni degli altri film della ventiseiesima edizione della rassegna udinese, vi lasciamo infine alle nostre due notizie a tema.

Fonte consultata:
Sito ufficiale Far East Film Festival I, II