Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

Per saperne di più continuate a leggere.

8.5/10
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“Spy x Family” si conferma una delle serie anime più fresche e coinvolgenti degli ultimi anni. Dopo aver visto tutti e trentasette gli episodi usciti finora, posso dire che l’anime riesce a mantenere alta la qualità narrativa e tecnica episodio dopo episodio. Il concept iniziale - un agente segreto che deve costruirsi una famiglia fittizia per infiltrarsi in un’importante scuola - si trasforma rapidamente in qualcosa di molto più profondo e affascinante.

La forza della serie sta nel perfetto equilibrio tra i generi: c’è l’azione, con le missioni di Twilight (alias Loid Forger), c’è la commedia, con le irresistibili espressioni e malintesi di Anya, e c’è anche un pizzico di dramma e tenerezza, soprattutto nei momenti in cui la “famiglia” sembra dimenticare di essere solo una messinscena. Yor, la moglie-assassina, aggiunge un ulteriore livello di tensione e comicità, rendendo ogni interazione in casa Forger imprevedibile e spassosa.

Dal punto di vista tecnico, l’animazione prodotta da Wit Studio e CloverWorks è di altissimo livello, con sequenze d’azione fluide, grande attenzione ai dettagli e un character design accattivante. Le musiche accompagnano bene sia i momenti più leggeri sia quelli più intensi, mentre le opening e ending cambiano in modo creativo tra le stagioni, mantenendo sempre alta la qualità visiva e musicale.

La narrazione riesce a mantenere una struttura episodica, ma anche una progressione coerente: i personaggi evolvono lentamente ma con naturalezza. Anya rimane il cuore comico ed emotivo della serie, con il suo desiderio sincero di mantenere unita la sua “falsa” famiglia e i suoi maldestri tentativi di aiutare nelle missioni, usando la telepatia in modo tanto utile quanto esilarante.

Ogni arco narrativo (la scuola Eden College, il grande scontro al castello e le missioni segrete di Loid) offre qualcosa di unico, mantenendo sempre alto l'interesse. Inoltre, “Spy x Family” è uno di quei rari anime che riesce a essere godibile a un pubblico molto ampio, senza mai diventare banale.

In sintesi, “Spy x Family” è una serie che unisce cuore, azione e intelligenza in un modo raro e prezioso. È divertente, emozionante e costruita con cura. Se i prossimi episodi manterranno questo livello, potrebbe diventare un classico moderno dell’animazione giapponese.

8.0/10
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“Quando la provocazione è fatta bene, arriva fino al limite ma non lo travalica.” (P. Chiambretti)

Quando ho iniziato a sentire l'opening "Otonoke" dei Creepy Nuts ho capito che "Dan da dan" sarebbe stata una di quelle serie che avrei potuto droppare subito, fin dalla sigla di apertura, oppure che avrei continuato a vedere fino alla fine, per verificare fino a dove si sarebbe spinta nella sua originale e surreale "follia". Se sono qui a scrivere una recensione di quello che ho visto al termine del primo cour di 12 episodi, si potrebbe intuire che l'opera tutto sommato mi è piaciuta tra alti e bassi: non avevo letto nessun commento né conoscevo il manga di Yukinobu Tatsu (alla sua prima vera opera di grande successo) e mi sono immerso nella visione completamente scevro da qualsiasi (pre-)giudizio altrui.

Superato il primo momento di smarrimento iniziale (premetto che ho visto anche alcuni anime "surreali", sebbene non siano il mio genere preferito), sono arrivato fino al termine della prima serie (sor)ridendo del coraggio con cui l'anime osa e provoca facendo dell'imprevedibilità (solo sotto certi aspetti) il suo tantra senza mezze misure, utilizzando la demenzialità come strumento per giocare a raccontare una storia soprannaturale e prendendosi gioco di cliché e stereotipi tipici di vari generi per regalare allo spettatore dei momenti di puro svago, ovviamente per chi li saprà apprezzare, e qualche spunto di riflessione, ma senza necessariamente prendersi per forza sul serio.

Scritta la premessa, "Dan da dan" è difficile da inquadrare in uno specifico genere e tale aspetto rappresenta proprio il suo punto di forza. Senza aver la presunzione di rivelare una verità incontrovertibile, questi primi 12 episodi si possono inquadrare in una sorta di storia comico-paranormale in cui due studenti delle superiori, il classico impacciato otaku Ken Takakura e la apparente spigliata e popolare Momo Ayase, scoprono per puro caso (e scommessa...) di essere una sorta di cultori di tutto ciò che afferisce all'occulto e "scoprono" che esistono yokai e alieni, questi ultimi con particolari predilezioni verso gli organi sessuali umani.

I due protagonisti iniziano un percorso in cui combatteranno anche furiosamente contro di tutto e scopriranno man mano che, parallelamente all'acquisizione di consapevolezza e padronanza dei loro poteri (aspetto un po' tipico dei c.d. "battle shonen"), si sviluppa anche una certa "chimica" tra i due protagonisti che sembra un po' un déjà vu delle classiche rom-com ad ambientazione scolastica (con tanto di introduzione del c.d. "terzo incomodo" - alludo al classico amico di infanzia) che conferisce alla serie quel minimo di realismo umano (e comfort zone per lo spettatore...) in mezzo ad una serie di accadimenti molto spesso folli e surreali di cui si stenta a comprenderne il senso e che colpiscono molto più per la sorpresa che suscitano piuttosto che per la logica degli eventi cui lo spettatore assiste (anche sgomento...) senza poter minimamente intuire dove la serie voglia andare a parare...

Evidenzio che qualcuno nella visione potrebbe infastidirsi per certe scene allusive, un po' ecchi e per il linguaggio con battute volgari e sproloqui. Francamente a me hanno fatto sorridere e non hanno arrecato particolare disturbo: la assurdità che vive Ken durante tutti gli episodi alla ricerca per recuperare i propri attributi a seguito della possessione subita dallo yokai Turbononna ha un che di esilarante in alcuni passaggi, tra i quali ricordo la scena in cui la conturbante nonna di Momo, Seiko Ayase, definibile giusto per restare sullo stile del linguaggio della serie, una gran "milfona" e con quel piglio da Clint Eastwood nei film "spaghetti western" (alludo allo sguardo, torvo ma al contempo anche affascinante, e alla immancabile sigaretta accesa in bocca), controlla l'inguine del povero ragazzo incapace di rendersi conto di ciò che stava vivendo.

Quindi in "Dan da dan" si ride non tanto e solo per "quello" che si vede ma per il "come" viene narrato con trovate e accostamenti completamente folli e demenziali corroborato anche da scelte stilistiche e rappresentative piuttosto psichedeliche e fantasiose soprattutto nei combattimenti e in certi frangenti "soprannaturali", tanto da ricordarmi per certi versi lo stile del regista fondatore dello Studio di produzione della serie, Science Saru, ossia Masaaki Yuasa (giusto per memoria tra le opere più celebri: "Mind Game", "The Tatami Galaxy"; "Ping pong the animation"; "Devilman Crybaby"; "Ride your vawe"). Science Saru che, attivo solo da 2017, ha già prodotto diverse opere di Yuasa e ora sta per mettere sul mercato l'ultima fatica di una delle mie registe preferite Naoko Yamada con il film di animazione "I colori dell'anima".

"Dan Da Dan" sembra aver fatto centro, al pari dell'opera cartacea di origine, proprio perché l'anime è riuscito nella difficile impresa di riprodurre piuttosto fedelmente lo stile folle e imprevedibile del manga. Le scene di azione sono al tempo stesso molto dinamiche, quasi travolgenti, grazie alla perizia dell'animazione e dei disegni dettagliati, piacevoli e caratterizzati da colori vivaci e saturi.
Se la trama fa dell'imprevedibilità il suo leit motiv, la realizzazione tecnica (in cui includo anche il comparto musicale con l'opening fuori di testa dei Creepy Nuts) riesce a renderla al meglio. Forse tale fantasia surreale potrebbe rappresentare per alcuni un eccesso di creatività e virtuosismo, ma ripesando ad alcune opere di Yuasa citate in precedenza, "Dan da dan" si inserisce in quel tipo di filone di opere, una sorta di "flipper" delle immagini che è il c.d. marchio di fabbrica del fondatore dello Studio.

Pertanto, se si fosse patiti di storie sull’occulto, spiriti, entità ultraterrene e alieni bizzarri, credo che questo primo cour della serie non possa non piacere, tanto più che riesce a mixare in una sorta di "melting pot" un po' di tutto, inclusa la parte romance con i due giovani protagonisti e anche alcune citazioni ad altre opere ("Slam dunk") o ad attori reali (rimando all'articolo comparso su AC tempo fa: https://www.animeclick.it/news/105580-dandadan-spiegata-la-citazione-a-hiroshi-abe-nellepisodio-10) in un modo tanto originale quanto anche poco lineare e troppo imprevedibile ed estremizzato. Insomma, piacevole, ma probabilmente non per tutti.

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“Soredake ga Neck”, ovvero “Sto perdendo la testa”.

Siamo in un konbini, uno dei tipici negozi nipponici aperti ventiquattr’ore su ventiquattro, e assistiamo alle vicende umane che lo caratterizzano. Protagonista della vicenda è Mutou, un impiegato assunto però col nome sbagliato, avendolo il datore di lavoro scambiato per un altro e non potendo il poveretto (per problemi suoi che non starò a ‘spoilerare’) chiarire l’equivoco.

Mutou è un individuo misterioso, per alcuni versi, quelli più evidenti, assai inquietante. Nessuno l’ha visto in volto e chi c’è riuscito è fuggito urlando. No, non tutti... E gli espedienti per nascondere il suo volto sono molti: un gattone goloso di riso, un cartello, una fuga veloce dietro lo scaffale, fino ad un’improbabile maschera. Taciturno ma gran lavoratore, Mutou prepara onigiri favolosi, che piacciono proprio a tutti, meno che mai alla persona a cui vorrebbe offrirli. Divertente è la scena in cui cerca di camuffare gli onigiri in forma di pane, per far sì che quella persona li prenda.

Essendo “Soredake ga Neck” un anime breve, non si può che restare stupiti dalla semplicità e dalla linearità della trama, capace però di felici approfondimenti, sia sulla natura gentile di Mutou e sul suo passato, che sulle difficoltà esistenziali ma non così insormontabili (ci pensa Mutou!) dei suoi colleghi.

Restano di quest’anime due messaggi, il primo legato alla riflessione che Mutou fa quando cerca di spiegarsi il perché nessuno si sia accorto della sua menomazione. Lui pensa di essersi trovato in un’epoca in cui per parlarsi non serve guardarsi negli occhi o in faccia, e intanto vede i colleghi, uno che parla, senza guardare, alla collega che fissa il suo cellulare là vicino. È o non è un quadro un po’ desolante della realtà in cui viviamo?

L’altra riflessione si lega al tema della gentilezza. La figura di Mutou è indicativa. Lui non parla, agisce, regalando gesti di comprensione e supporto (vedi la mascherina col sorriso e i diversi onigiri che offre ai dolenti), tanto che poi, scoperta la sua mancanza importante, viene accettato e supportato. A volte sono più le azioni delle parole a parlare del buon cuore di una persona.

Il finale ha uno scioglimento sereno e tenero, particolare, e si può comprendere bene, anche se alla base c’è una situazione assai originale e improbabile.

I personaggi hanno una buona resa. Restano lì un po’ pennellati, ma il loro studio psicologico è accettabile per un anime così breve.

L’anime si presenta ironico, divertente, con una punta di tragico che non fa male e un tocco di profondità che non ti aspetti.

I disegni sono il punto dolente: troppo piatti, troppo abbozzati, stessa cosa per l’ambientazione, ma per un anime così breve non possono essere criticati duramente.