Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

Per saperne di più continuate a leggere.

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Lo sport è da sempre un catalizzatore d’attenzione universale, sia quando viene preso per sé stesso sia quando viene sfruttato in un altro media quale la letteratura, il cinema e, perché no, l’animazione, per raccontare le storie più varie; innumerevoli sono quindi le serie animate sportive nate in Giappone negli anni, tanto da poterle racchiudere ormai in un genere riconoscibilissimo con tutti i suoi aspetti positivi ma anche clichè più o meno fastidiosi a farne parte. E se, come possiamo vedere nella stessa stagione in cui è iniziato l’anime qui recensito, le formule fisse hanno ancora successo e riescono a produrre serie comunque valide, non può passare inosservata una serie che prova a proporre qualcosa di nuovo, o al limite a sfruttare in modo diverso i meccanismi più consolidati, come fa appunto “Kaze ga Tsuyoku Fuiteiru” (lett. “Il vento soffia forte”, conosciuta anche col titolo inglese di “Run with the Wind” e da qui in poi contratta in “Kazetsuyo”), anime che adatta l’omonimo romanzo di Shion Miura e che racconta la storia di un gruppo di uomini, universitari adulti quindi, e non i classici studenti di scuole medie o superiori, trovatisi a praticare lo sport in questione per "obbligo e per caso", oserei dire, e dei loro sforzi nel seguire un sogno apparentemente impossibile che aiuterà a farli riflettere sulle loro vite, sulla loro amicizia, sul significato dello sport praticato e sui loro scopi futuri in un contesto che cerca di mantenersi, per quanto possibile, più realistico di quanto opere simili ci hanno invece abituato a vedere.

Haiji Kiyose e Kakeru Kurahara sono i due protagonisti principali della serie, due facce opposte di una medaglia che pone l’atletica leggera, e la corsa in particolare, come interesse principale delle loro vite; Haiji è uno studente al quarto anno della facoltà di lettere dell’Università Kansei, che ha dovuto abbandonare la carriera sportiva in seguito a un grave infortunio, ma non del tutto il suo sogno, che continua a coltivare in gran segreto finché non incontra fortuitamente Kakeru, matricola spiantata senza dimora della facoltà di sociologia della stessa Università, che dimostra un talento eccezionale nella corsa e che Haiji costringe, tra virgolette, a diventare inquilino dello stesso dormitorio che divide con altri otto studenti universitari, il Chikuseiso, da loro soprannominato anche Aotake. Quella che può sembrare una semplice storia di studenti fuori sede che condividono la stessa abitazione si rivela tutt’altro invece, quando Haiji dichiara il motivo per cui ha riunito tutti i ragazzi in quel modo: provare a qualificarsi per correre tutti insieme la celebre Ekiden di Hakone, ovvero una maratona a staffetta universitaria corsa in due giorni e lunga dieci tappe e 217,9 km tra Tokyo e Hakone, che si terrà il Capodanno successivo.
Normalmente mi fermerei qua nell’accennare la trama e i personaggi principali, ma trovo che in “Kazetsuyo” il cast completo sia il vero punto di forza, per cui, anche se brevemente, voglio dilungarmi nel presentare gli altri otto studenti inquilini del Chikuseiso, utilizzando i soprannomi che loro stessi si sono assegnati piuttosto che il nome originale, sia per facilitare la lettura sia perché nel 90% dei casi lungo la serie vengono usati solo quelli; in ordine di apparizione quindi abbiamo:
- I fratelli gemelli Jota e Joji, matricole come Kakeru, appassionati di sport ma di calcio in particolare, due ragazzi solari e vivaci dal carattere molto frivolo e apparentemente più interessati alle ragazze che allo studio o altro.
- Shindo, lett. ‘bambino prodigio’, studente al terzo anno di scienze aziendali, una persona mite e un po’ insicura ma dotato di grandissima forza di volontà quando si pone un obiettivo davanti.
- King, in quanto autoproclamatosi ‘Re dei quiz’ di cui è appassionato, studente al quarto anno di sociologia dall’aria un po’ burbera ma dal cuore tenero, in procinto di laurearsi e preoccupato quindi dalla futura ricerca di un lavoro.
- Ouji, ossia ‘principe’, studente al secondo anno della facoltà di letteratura, ragazzo esile e remissivo ma soprattutto otaku incallito, tanto da avere la stanza stracolma di manga dai quali non si separa mai, l’antitesi vera dello sportivo.
- Nico-chan senpai, da nicotina, visto che è un accanito fumatore, lo studente più grande d’età del dormitorio ma ripetente e, per questo, ancora fermo al terzo anno di scienze e ingegneria, un uomo robusto dal carattere socievole e sornione, con un passato da praticante di atletica leggera.
- Yuki, che è semplicemente il diminutivo del nome Yukihiro, brillante studente al quarto anno di legge che ha già passato l’esame di avvocato, persona capace e sicura di sé al limite dell’arroganza.
- Musa Kamara, unico personaggio non giapponese, uno studente straniero originario della Tanzania al secondo anno di scienze e ingegneria, ragazzo spontaneo e tranquillo già integrato ormai nella società giapponese dove, oltre a frequentare l’università, grazie a una borsa di studio, lavora anche part-time per mantenersi.

Questo gruppo variegato di personaggi, costretti loro malgrado a darsi alla corsa pena l’espulsione dal dormitorio, è una chiave vincente per la serie, visto che fornisce immediatamente tanti caratteri a cui affezionarsi, con una varietà tale che per lo spettatore è facilissimo ritrovarsi in uno di loro e condividerne quindi entusiasmi così come dubbi e paure.
Dato quest’incipit, la serie, che ricordo è lunga ventitré episodi, risulta divisibile grossomodo in tre momenti principali. Nel primo vediamo gli sforzi di Haiji nel convincere, ma sarebbe giusto dire anche costringere, tutti gli inquilini dell’Aotake a darsi alla corsa e seguire quindi il suo sogno, sforzo tutt’altro che facile, visto che nessuno degli inquilini ha mai avuto esperienza sportiva ad alti livelli né ha mai pensato di cimentarsi in una prova simile. Il secondo, quello più lungo, è dedicato in gran parte al massacrante allenamento al quale saranno costretti i nostri protagonisti, un segmento lungo ma necessario soprattutto per sottolineare gli sforzi di quelli più inadatti allo sport in questione, vedi Ouji, ma anche per riallacciare i frammenti del passato di Kakeru, autentica promessa nazionale dell’atletica che ha misteriosamente accantonato, e di Haiji, che è stato invece costretto ad abbandonare giocoforza la corsa. L’ultimo segmento della serie infine è dedicato alla Ekiden vera e propria, l’estenuante prova di corsa su strada che si dipanerà in diversi episodi dedicati ai personaggi impegnati nel tratto di loro competenza che, detto francamente, sono l’esperienza più bella di tutta la serie: sport, sforzo fisico e volontà si fondono in un crogiolo di emozioni che produce sequenze eccezionali cariche di riflessioni personali sul significato della corsa, del loro impegno, del futuro che li attende, delle relazioni affettive intraprese in quell’arco della loro vita e come potrebbero influenzare i successivi, senza dimenticare comunque lo sforzo fisico mostrato in tutta la sua durezza, finanche in tutta la sua drammaticità nelle circostanze più estreme e, nei limiti della finzione scenica che comunque calca la mano in alcuni momenti, in modo tutto sommato credibile. “Kazetsuyo” è quindi una storia classica e diversa allo stesso tempo, sfrutta l’idea di un grande sogno da raggiungere, ma lo affida a un manipolo di sprovveduti chiamati allo sforzo più grande della loro vita per raggiungerlo, e, per quanto ponga ovviamente in primo piano il risultato sportivo da ottenere, non trasmette mai la sensazione che sia l’unica cosa che conta, quanto, piuttosto, un accessorio, un optional da aggiungere all’esperienza vissuta insieme.

Al giudizio positivo che riservo a “Kazetsuyo” partecipa certamente anche il lato tecnico della serie, di un livello complessivamente più che buono. L’anime è prodotto dal prolifico studio Production I.G., un nome conosciutissimo e di quasi sicura garanzia, recentemente impegnato nella realizzazione di un’altra serie sportiva molto convincente e piuttosto atipica come “Ballroom e Youkoso”, che infatti condivide più di una similitudine grafica con “Kazetsuyo”. Alla regia della serie in questo caso però c’è Kazuya Nomura, alla prima prova in un anime sportivo, che non gli ha impedito comunque di fornire un lavoro convincente, anche nel raccontare il semplice evento agonistico in sé che a volte ha dato la parvenza di una gara quasi reale; il character design invece è opera di Takahiro Chiba, già direttore generale delle animazioni in “Ballroom e Youkoso” e “Haikyuu!!”, un disegno originale che si discosta nettamente dalla trasposizione manga già realizzata per questo titolo, per avvicinarsi alle altre opere dello studio, uno stile pulito e preciso che ci regala personaggi piacevoli, di facile presa e con una notevole cura dedicata al fisico dei ragazzi, convincente in tutte le corporature diverse mostrate nei dieci protagonisti. Convincenti sono anche le animazioni, qui dirette da Takashi Mukoda e Hideki Takahashi, soprattutto nelle tante sequenze di corsa presenti nella serie e che solo nei momenti in cui la scena è occupata da diverse decine di atleti utilizzano della CGI a integrazione, senza risultare comunque mai eccessiva o fuori luogo. Efficace è poi senza dubbio l’apporto delle musiche di un ispirato Yūki Hayashi, composizioni che magari non resteranno nell’immaginario collettivo quanto quelle di serie più celebri a cui ha lavorato come “My Hero Academia”, per esempio, ma che supportano egregiamente ogni scena dell’anime aumentando notevolmente il coinvolgimento emotivo di chi guarda, come fa anche il doppiaggio giapponese, del resto, una prova corale incisiva e appassionante di un cast numeroso diviso tra veterani del ruolo e nuove leve, dove spiccano, a mio parere almeno, le interpretazioni di Toshiyuki Toyonaga, che doppia Haiji, e Miyu Irino che invece doppia Ouji, il protagonista ‘nascosto’ di questa serie, simbolo come nessun altro della capacità di cambiare completamente grazie alla propria forza di volontà e al supporto degli altri, persino nelle condizioni più disperate. In chiusura del commento al comparto sonoro vale la pena citare poi le quattro sigle utilizzate lungo la serie, due opening e due ending, tra l’altro molto simili tra loro, sia dal punto di vista visivo che musicale: la prima opening è “Catch up, Latency” degli Unison Square Garden, rodato gruppo j-pop che ci offre un’opening con un sound rock leggero ma incalzante, a seguire i tanti personaggi che da lì a poco conosceremo impegnati ad allenarsi ancora un po’ goffamente, mentre la seconda si intitola “Kaze Tsuyoku, Kimi Atsuku”, ed è cantata dai Q-MHz, un brano simile ma leggermente più aggressivo del precedente, che ci fa immergere ancora di più nelle atmosfere agonistiche che vedremo da lì a poco. Entrambe le ending sono affidate invece alla calda voce di Taichi Mukai (“Reset” la prima, “Michi” la seconda), due canzoni orecchiabili e rilassanti che sembrano suggerire quasi di riposarsi dopo lo sforzo profuso, accompagnate da due video semplici, gradevoli, il primo che si focalizza solo su Kakeru e Haiji, il secondo invece con tutto il cast al completo.

Difficile dunque per me chiudere questa recensione senza consigliare caldamente questo titolo, già disponibile nel nostro Paese grazie alla trasmissione in simulcast su Crunchyroll; “Kaze ga Tsuyoku Fuiteru” è stata una serie elementare nella struttura ma estremamente coinvolgente nel suo svolgimento, nonostante un inizio un po’ sottotono dovuto soprattutto alle paturnie di Kakeru, che lo rendono quasi lo stereotipo del protagonista ‘sfigato’ della situazione. Ma passati i primi dubbi, e spazzati via i timori di una storia con punti di esagerato dramma ad appesantirla, basta davvero poco per lasciarsi trascinare dall’obiettivo e dai sacrifici di questi ragazzi alla conquista delle montagne di Hakone, “le più ripide del mondo!”.

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“Quella vittoria fu raggiunta una sola volta. Anche se numerose estati erano giunte...”

“MIX: MEISEI STORY” (“ミックス”) è una serie anime andata in onda in Giappone su NTV e YTV dal 6 aprile al 28 settembre 2019.
La serie, composta da ventiquattro episodi, è tratta dal manga di Mitsuru Adachi, che conta ad oggi quindici volumi, pubblicati dalla casa editrice Shogakukan. La serie manga è ancora in corso di realizzazione, motivo per cui l’anime copre solamente un primo arco narrativo. L’anime in questione è realizzato dallo studio d’animazione OLM, che ha affidato la regia a Odahiro Watanabe.
In Italia l’opera è sottotitolata da Yamato Animation, ed è disponibile gratuitamente sul canale YouTube di Yamato Video.

“MIX: MEISEI STORY” si presenta come il seguito ufficiale di “Touch”, il famosissimo manga che affermò definitivamente nel mondo del fumetto giapponese il celebre Mitsuru Adachi, autore di altre famosissime opere come “Miyuki”, “Rough” e “Arcobaleno di spezie”. Pur essendo il seguito ufficiale di “Touch”, è possibile guardare “MIX” senza nessun problema, i rimandi alla precedente opera ci sono e vengono spalmati qua e là abbastanza ripetutamente, però non sono noiosi e non disorientano lo spettatore.
Piccola premessa iniziale, non ho mai né visto né letto “Touch”, e, pur apprezzando tantissimo Adachi, ho letto solamente (se non erro) “Slow Step” e “Q and A”, titoli che ho amato parecchio e che consiglio vivamente a tutti. Ci tengo quindi a precisare che, per questi motivi, non potrò fare molti paragoni, anzi.

Il racconto ruota intorno alle vicende dei tre fratelli Tachibana: Touma, Souichiro e la loro sorellina Otomi. I due fratelli di tredici anni, nati entrambi lo stesso giorno (ma non gemelli, e poi capirete il perché) frequentano il secondo anno delle scuole medie e sono entrambi iscritti al club di baseball, uno in veste di ricevitore e l’altro di lanciatore. Otomi invece ha dodici anni e deve iniziare il primo anno delle scuole medie. La scuola in questione è la Meisei, la stessa in cui, ventisei anni prima, cominciarono le famose avventure di Tatsuya, Katsuya e Minami, protagonisti appunto di “Touch”.
Sin da subito l’obbiettivo dei due fratelli sarà ben chiaro, impegnarsi e sudare per ridare gloria e prestigio all’istituto e puntare dritti al tanto ambito Kōshien, stadio in cui si svolgono le finali del campionato liceale giapponese di baseball.

Trama più classica che mai, tipica dei manga di Adachi. Il racconto si sviluppa con calma e costanza, senza forzature che possono bloccare lo spettatore nella visione. La storia è semplice, forse anche troppo, se guardiamo il lato sportivo, ma è molto incisiva e pungente dal punto di vista sentimentale.
Le qualità di “MIX: MEISEI STORY” risiedono nella capacità dell’anime di far scatenare la nostalgia di chi lo guarda, anche di chi, come me, non ha mai visto o letto “Touch”. La narrazione non è molto altalenante, si presenta e si sviluppa in modo abbastanza lineare senza quasi mai, se non in alcuni punti, cadere nel banale o annoiare.
Dal punto di vista sportivo gli incontri di baseball sono gradevoli e facilmente seguibili, anche per chi non gioca a baseball o per chi sa solo in minima parte le sue regole.
Punto forte dell’opera sono i personaggi, sia i protagonisti che quelli marginali. I disegni richiamano tipicamente quelli di Adachi e si adattano perfettamente alla narrazione e al tipo di opera, riuscendo inoltre ad esprimere benissimo le varie emozioni che si susseguono vicenda per vicenda.
Altro punto fondamentale di “MIX: MEISEI STORY” è l’indagine dal punto di vista psicologico proprio inerente ai personaggi, ai loro sentimenti, alle loro paure e alle loro passioni.

Devo però sottolineare alcuni punti negativi che hanno abbassato il mio voto, comunque abbastanza alto, primo fra tutti il fanservice (anche qui oserei dire “alla Adachi”) abbastanza inutile, ripetitivo e scontato; anche per quanto riguarda l’opera in questione era evitabilissimo. Altro fattore negativo sono i tanti punti lasciati in sospeso: so che in questo caso viene coperto solamente un primo arco narrativo, però sarebbe stato bello scoprire qualcosina in più su alcuni personaggi.

Insomma, resta comunque un buonissimo titolo, considerando anche la cura con cui vengono rappresentati gli sfondi, i paesaggi e i luoghi in cui si svolgono le vicende. Apprezzatissimo inoltre il lavoro della regia, la qualità delle scene, la grafica e la qualità delle immagini.
Infine ci terrei a motivare ulteriormente il mio voto positivo elogiando le ottime colonne sonore, sia per quanto riguarda le due opening, “Equal” dei Sumika e “VS” dei Porno Graffitti, sia per quanto riguarda le due ending, “Kimi ni Todoku Made” delle Little Glee Monster e “Kimi ni Tsutaeta Story” dei Qyoto.

Se amate il baseball, se amate lo sport, se avete visto o letto “Touch” e se siete dei fan di Mitsuru Adachi, questo titolo fa per voi, e dovete assolutamente prenderlo in considerazione.
Opera consigliatissima anche a tutti coloro che vogliono passare un po’ di tempo immersi nelle vicende adolescenziali di tre fratelli tra loro molto legati e che hanno in comune lo sport, l’amicizia e l’affetto reciproco.

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"Hoshiai no Sora" (o "Stars Align") è un anime sportivo di grande spessore che riesce a calibrare alla perfezione lo spazio narrativo dedicato al gioco vero e proprio e quello dedicato ai suoi giocatori, alle loro vicende personali e alle loro personalità. Maki è un ragazzetto sveglio ed energico, pieno di risorse e dotato di un'incredibile intelligenza emotiva. Appena trasferito incontra Shinjo, vecchia conoscenza nonché focoso capitano del club di soft tennis della nuova scuola. Il club, come da manuale, è sull'orlo del baratro a causa dell'inesistente talento naturale e della scarsa motivazione dei suoi componenti. L'unica via di salvezza è ottenere un qualche risultato nel prossimo torneo sportivo o il club sarà chiuso. Indovinate a chi si rivolgerà il disperato Shinjo per salvare il suo amato club dal collasso? Esatto, a Maki, che con la sua innata predisposizione all'attività fisica e strabiliante velocità nell'apprendimento potrebbe rivelarsi la chiave che consentirà alla squadra di risollevare la testa.

La sinossi è veramente delle più classiche, ma in questa serie non mancano picchi di originalità e spunti davvero interessanti. Un aspetto davvero poco usuale in anime di questo tipo è lo spazio dedicato al contesto famigliare di ogni singolo membro della squadra protagonista. Nella stragrande maggioranza degli sportivi i genitori dei protagonisti spesso non sono minimamente contemplati o, al massimo, sono nominati post-mortem per aumentare la drammaticità del personaggio di turno. Eppure, specialmente quando si è così giovani e più "influenzabili" (ma anche dopo), il contesto famigliare è fondamentale per capire perché un individuo pensa e agisce in una data maniera.
Infatti in ogni personaggio è evidente come l'ambiente casalingo ne abbia profondamente influenzato la personalità, e molte peculiarità caratteriali si riveleranno dirette conseguenze del contesto da cui si proviene.

Tuttavia, se da una parte ho davvero apprezzato la grande importanza data alla famiglie dei membri del club, non posso negare che il modo in cui è stato scelto di approfondirle non sia perfetto. Anzitutto nove personaggi su dieci vengono da un contesto davvero difficile contraddistinto nel più dei casi da abusi fisici e/o psicologici, il che è davvero poco probabile e piuttosto inverosimile: l'effetto fa un po' "sagra dei casi umani". Insomma, si vede che chi ha partorito questa storia ci teneva ad affrontare il tema dell'abuso, ma "assegnare" un caso di abuso ad ogni personaggio (o quasi) è esagerato e, a lungo andare, fa perdere molto di credibilità a tutta la storia. Il che è un peccato, perché le singole storie di per sé sono buone e abbastanza verosimili, ma del tutto improbabili se collocate tutte insieme nello stesso tempo e nello stesso luogo. È un po' come dire che gli abusi domestici sono la regola e non l'eccezione, il che non è vero, non più ormai.

Un altro tema fondamentale affrontato dalla serie è l'amicizia fresca e genuina che sboccia lentamente fra i nostri protagonisti squinternati. Sotto questo punto di vista, i problemi personali dei personaggi diventano pretesti per orchestrare dolci e quasi commoventi scene di solidarietà e sostegno reciproco tipiche dell'amicizia vera, quella che, non solo supera i momenti difficili, ma viene rafforzata da essi.

La parte sportiva della serie è meno brillante, ma comunque molto buona. Il gioco, grazie al cielo, viene spiegato nel dettaglio in modo semplice e schematico. Le partite fanno il loro dovere: non annoiano grazie a personaggi che sanno farsi amare e seguire, al modesto carisma degli avversari e a strategie improvvisate forse poco ortodosse, ma sicuramente simpatiche e a tratti esilaranti. Ammetto comunque che le partite, per quanto si lascino guardare, tendono a riciclare uno stesso schema che le fa apparire "orchestrate" e poco naturali. Tuttavia vi posso garantire che i difettucci di questa serie non gravano più di tanto sul suo valore, in quanto tutti i personaggi sono veramente ben caratterizzati e riescono a tenere in piedi la storia nonostante piccole forzature e situazioni inverosimili.

Se devo trovare davvero un grande difetto di questa serie è che la storia è troncata a metà, mozzata sul più bello. I miseri dodici episodi concessici non bastano minimamente a chiudere le varie sottotrame, nemmeno le più importanti. Perciò il voto altino assegnato a questa serie vale soltanto se sarà continuata e conclusa a dovere, cosa non scontata in quanto, proprio ora che sto scrivendo, un sequel non è stato ufficialmente annunciato. Io ritengo che dato il cliffhanger del finale sia impossibile che la storia non venga continuata ma siccome (purtroppo) non sono nata chiaroveggente, non mi resta che aggrapparmi alla speranza di vedere una seconda stagione, possibilmente all'altezza della prima.