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"Yotterashai, miterasshai! Yami shibai no jikan da yo"

"Yami Shibai" ("Il teatrino dell'oscurità") è una serie di favole nere dalla durata di cinque minuti; il leitmotiv di ogni corto è un sinistro narratore che, con un teatro itinerante montato sulla sua bicicletta, richiama l'attenzione dei bambini per raccontare storie dell'orrore basate su leggende metropolitane e credenze popolari. Non a caso, il titolo stesso della serie suggerisce un gioco di parole con il 'Kamishibai', teatro tradizionale giapponese in cui si fa scorrere una sequenza di fogli illustrati per portare avanti la narrazione.

Lo Studio ILCA ricorre a una bella grafica acquerellata con colori oscuri e contorni marcati, tipica di molte produzioni sperimentali. Le inquadrature sono il più delle volte dinamiche, come se ci fosse una telecamera in movimento a riprendere; un'altra soluzione utilizzata per coinvolgere lo spettatore è, inoltre, quella di inquadrare spesso la scena dal punto di vista dei protagonisti. Le animazioni sono volutamente grezze; lo spostamento degli oggetti in primo piano, infatti, ricorda il movimento scattoso delle marionette di carta sugli sfondi degli emaki. La messa a fuoco è continuamente spostata dallo sfondo al primo piano per dare l'idea di tante superfici piatte sovrapposte tra loro. In sintesi, tutti questi elementi sono stati studiati per ricordare realisticamente le rappresentazioni dei teatrini tradizionali, non rinunciando all'estetica nitida e dettagliata della CG.

Essendo corti di genere horror, il comparto audio si compone quasi esclusivamente di suoni e rumori di fondo (come colpi, urla e sospiri). Le scene sono avvolte nel silenzio, interrotto solo da qualche inquietante musica d'ambiente. Il doppiaggio è convincente e rende bene l'atmosfera di mistero, soprattutto il tono ambiguo del narratore. Carino anche il suono sbiadito del carousel ad ogni inizio episodio, durante la presentazione del titolo. La sigla di chiusura è, infine, un'altrettanto sinistra canzone in stile Vocaloid.

Più che storie dell'orrore, i corti di "Yami Shibai" sembrano voler mettere ansia, e non terrorizzare. Si punta, infatti, sul non-detto e non-mostrato, sul mistero e sull'oscurità; la narrazione viene quindi interrotta nel momento di massima tensione, lasciando lo spettatore in una situazione precaria, col dubbio su ciò che sembra essere suggerito e ciò che realmente accadrà. Non è, perciò, propriamente horror, ma piuttosto una serie di racconti macabri ed eleganti; inadatto per chi cerca lo spavento facile, ottimo per lasciarsi inquietare cinque minuti scarsi.

"Oshimai"